“Senti, ma potremmo vederci, uscire, non so, andare al cinema, bere qualcosa”
La mano poggiata sul braccio è leggera, ma Alfredo ne sente lo stesso il calore, anche se oggi indossa un cappotto pesante a proteggersi dal freddo, anche se non lo confessa.
“Se invece tu venissi a casa mia, ora?” pensa, e intanto la frase gli è già sfuggita e lei sorride, come non aspettasse altro.
Il resto è un silenzio fatto di passi brevi, di sguardi che fingono di guardare distratti le vetrine, di pensieri che corrono in fretta a coprire ogni rumore.
Quando si ritrovano sul letto sono già nudi dentro. Sullo specchio, dalla finestra, li saluta un raggio di luce.
"La poesia è scritta da qualcuno che non è lo scrittore a qualcuno che non è il lettore" - Paul Valéry -
mercoledì, gennaio 29, 2020
martedì, gennaio 28, 2020
cinema
Prima ancora ca finisci u filmi saccumencia
a immaginari lesito,
a fare previsioni.
"Talia a chisti" veni di riri,
si unu non ciansetta.
Comu fussi chidda a propria vita,
comu
su ciavissumu arrinisciutu sempri.
a immaginari lesito,
a fare previsioni.
"Talia a chisti" veni di riri,
si unu non ciansetta.
Comu fussi chidda a propria vita,
comu
su ciavissumu arrinisciutu sempri.
lunedì, gennaio 27, 2020
[Alfredo] luce e neve
Alfredo sogna e nei suoi sogni le cose cambiano colore e forma e sostanza e certe luoghi diventano di zucchero e di miele che cola su dita su labbra avide, altri trovano esseri che si arrampicano su alberi nodosi, su rami sempre in bilico tra il verde e il vuoto. Esseri che cercano una luce che non troveranno, un sogno nel sogno che non esiste. Alfredo sogna e i volti si fanno di cartapesta e la pioggia li disfa prima che arrivi il sole.
“Come va oggi? Cosa le servo? Ha visto che strana luce nel cielo? Crede che riusciremo a vedere la neve quest’anno? Ecco questo è per lei. Dieci euro. Sì, sì vanno bene anche quelli, non si preoccupi per i cinquanta centesimi, me li darà la prossima volta. Anzi, sa cosa le dico? Le va un caffè? Tanto è ancora presto. Chiudo qui un attimo e andiamo al bar”
Alfredo si stupisce ancora quando incontra qualcuno che si ostina a vivere. Il caffè è buono e la spesa leggera. Forse tornerà anche il sole stamattina o nevicherà, invece, a coprire con una coperta di luce il mondo.
“Come va oggi? Cosa le servo? Ha visto che strana luce nel cielo? Crede che riusciremo a vedere la neve quest’anno? Ecco questo è per lei. Dieci euro. Sì, sì vanno bene anche quelli, non si preoccupi per i cinquanta centesimi, me li darà la prossima volta. Anzi, sa cosa le dico? Le va un caffè? Tanto è ancora presto. Chiudo qui un attimo e andiamo al bar”
Alfredo si stupisce ancora quando incontra qualcuno che si ostina a vivere. Il caffè è buono e la spesa leggera. Forse tornerà anche il sole stamattina o nevicherà, invece, a coprire con una coperta di luce il mondo.
domenica, gennaio 26, 2020
[Alfredo] Elezioni
Alfredo è andato tante volte a votare, forse sempre anche se di questo non è sicuro.
Anche oggi lo ha fatto. Ė uscito presto da casa e si è incamminato verso il seggio. La giornata era grigia e per strada c’erano poche persone, la maggior parte in cerca di un bar e di una colazione; Alfredo, invece, ha la sua Bialetti, i biscotti conservati nella scatola di latta, le arance recuperate al mercato.
La scuola dove vota Alfredo è un po’ lontana, bisogna cambiare quartiere, attraversare strade, ricordare il percorso. Però lui lo fa volentieri quel tragitto e gli sembra nuova ogni cosa che vede, che incontra e nello stesso tempo ricorda che lì ha rischiato di cadere, che in quella bottega, ora chiusa, ha incontrato una sua amica, che il tempo è passato.
Alfredo non ama molto le elezioni. Un tempo per tutti quei volti che sembravano fissarlo da ogni strada e che lui si rifiutava di guardare. Lo interessavano solo quei collage surreali che a volte si formavano su strati di colla e lembi strappati. Gli sembravano rivelare qualcosa più quelli che i sorrisi d’accatto e le promesse da una riga degli altri. Oggi quei manifesti sono quasi spariti, sostituiti da chiacchiere anche peggiori che a volte gli capita di sentire in tv o al supermercato.
Quando arriva al seggio prepara la tessera e il documento. Come era giovane lì. Alfredo ha un attimo di smarrimento e per accertarsi di essere ancora se stesso cerca una vetrina dove potersi guardare. Poi sale le scale, consegna, ritira, segna, esce. In mano tiene ancora tutto.
Anche oggi lo ha fatto. Ė uscito presto da casa e si è incamminato verso il seggio. La giornata era grigia e per strada c’erano poche persone, la maggior parte in cerca di un bar e di una colazione; Alfredo, invece, ha la sua Bialetti, i biscotti conservati nella scatola di latta, le arance recuperate al mercato.
La scuola dove vota Alfredo è un po’ lontana, bisogna cambiare quartiere, attraversare strade, ricordare il percorso. Però lui lo fa volentieri quel tragitto e gli sembra nuova ogni cosa che vede, che incontra e nello stesso tempo ricorda che lì ha rischiato di cadere, che in quella bottega, ora chiusa, ha incontrato una sua amica, che il tempo è passato.
Alfredo non ama molto le elezioni. Un tempo per tutti quei volti che sembravano fissarlo da ogni strada e che lui si rifiutava di guardare. Lo interessavano solo quei collage surreali che a volte si formavano su strati di colla e lembi strappati. Gli sembravano rivelare qualcosa più quelli che i sorrisi d’accatto e le promesse da una riga degli altri. Oggi quei manifesti sono quasi spariti, sostituiti da chiacchiere anche peggiori che a volte gli capita di sentire in tv o al supermercato.
Quando arriva al seggio prepara la tessera e il documento. Come era giovane lì. Alfredo ha un attimo di smarrimento e per accertarsi di essere ancora se stesso cerca una vetrina dove potersi guardare. Poi sale le scale, consegna, ritira, segna, esce. In mano tiene ancora tutto.
venerdì, gennaio 24, 2020
[Alfredo] a volte
A volte si ha solo bisogno di sentire che il cuore dell’altro è più vicino di quanto sembri: basta una parola, un sorriso, il carezzare con timidezza un corpo, il viso.
A volte Alfredo vede tutto questo avvenire è il suo cuore ne gioisce anche se non sono storie che gli appartengono o a lui prossime.
A volte si ha solo bisogno di sentire che il cuore dell’altro è più vicino di quanto sembri, chiunque sia l’altro, di chiunque sia il cuore che chiede.
A volte Alfredo vede tutto questo avvenire è il suo cuore ne gioisce anche se non sono storie che gli appartengono o a lui prossime.
A volte si ha solo bisogno di sentire che il cuore dell’altro è più vicino di quanto sembri, chiunque sia l’altro, di chiunque sia il cuore che chiede.
giovedì, gennaio 23, 2020
[Alfredo] treni
Ci sono dei luoghi che Alfredo frequenta malvolentieri, tra questi , un tempo, c’erano le carrozze dei treni. Ora i vagoni son diversi da allora e se capita di parlare con il compagno di viaggio è solo per uno scambio rapido su qualcosa di preciso: la valigia, il ritardo, l’arrivo del capotreno.
Alfredo non viaggia più così spesso, nessun nuovo scompartimento che non sia il tavolino di un bar o una panchina al sole o all'ombra (a seconda della stagione), la stanza sconosciuta di una nuova amicizia.
Ripensando a quei viaggi ricorda sempre il senso di fastidio provato quando gli capitava di non aver nessuna voglia di parole, lo strategico rifugiarsi dietro un libro o una rivista, il far finta di dormire. Certo non sempre era così. A volte piaceva ad Alfredo ascoltare attento le strane rivelazioni esplose in quei momenti di vita forzatamente condivisa. Si abbandonava in quei casi all'ascolto dell’altro, annuendo partecipe, attento a non far fermare quel flusso sonoro. Era, gli sembrava, un vivere i ricordi, le storie altrui, come fossero stati i propri. Nessun commento, quasi sempre, nessuna remora.
Alfredo era però consapevole della possibilità di potersi trasformare da spettatore a protagonista di quegli scambi. Era successo, soprattutto durante i suoi primi viaggi, sarebbe, di certo, potuto nuovamente capitare. Si chiedeva allora, a volte, cosa avrebbe confessato in questi casi, cosa sarebbe uscito fuori magari da semplici assonanze o da sguardi distratti, dallo stesso odore di un improvvisato anfitrione. La paura che ciò accadesse gli faceva scegliere, ogni volta, scompartimenti quasi pieni o totalmente vuoti, ma non sempre ciò era possibile.
“Va a trovare qualcuno?”
“Sì, un’amica”
La donna aveva lanciato la domanda con cortesia non appena il treno aveva lasciato la città per tuffarsi tra paesaggi di pianura sempre uguali. Era una bella signora anche se, in realtà, era stata la tonalità di quella voce a colpire Alfredo. Qualcosa che alludeva a un partecipato distacco.
Stettero parecchio altro tempo in silenzio, la luce illuminava ancora il vagone e Alfredo non aveva portato nulla con se da leggere, cosi si era ritrovato a fissare le stampe che intristivano lo scompartimento. Lei, invece, aveva poggiato leggera il capo allo schienale per continuare a guardare in silenzio al di là del finestrino.
“Deve essere una donna fortunata” aveva, a un tratto, detto, come non avesse pensato ad altro, come se riprendesse quelle poche parole iniziali.
“Io sì” aveva risposto Alfredo, chinandosi leggermente verso di lei che lo guardava con attenzione.
Avevano subito ripreso la propria posizione e non si erano più parlati fin quando lui non si era preparato per scendere.
Alfredo l’aveva salutata sorridendole e lei, per tutta risposta, aveva aggiunto un “ Non soffra!” che aveva il tono dolce di un augurio.
Alfredo non viaggia più così spesso, nessun nuovo scompartimento che non sia il tavolino di un bar o una panchina al sole o all'ombra (a seconda della stagione), la stanza sconosciuta di una nuova amicizia.
Ripensando a quei viaggi ricorda sempre il senso di fastidio provato quando gli capitava di non aver nessuna voglia di parole, lo strategico rifugiarsi dietro un libro o una rivista, il far finta di dormire. Certo non sempre era così. A volte piaceva ad Alfredo ascoltare attento le strane rivelazioni esplose in quei momenti di vita forzatamente condivisa. Si abbandonava in quei casi all'ascolto dell’altro, annuendo partecipe, attento a non far fermare quel flusso sonoro. Era, gli sembrava, un vivere i ricordi, le storie altrui, come fossero stati i propri. Nessun commento, quasi sempre, nessuna remora.
Alfredo era però consapevole della possibilità di potersi trasformare da spettatore a protagonista di quegli scambi. Era successo, soprattutto durante i suoi primi viaggi, sarebbe, di certo, potuto nuovamente capitare. Si chiedeva allora, a volte, cosa avrebbe confessato in questi casi, cosa sarebbe uscito fuori magari da semplici assonanze o da sguardi distratti, dallo stesso odore di un improvvisato anfitrione. La paura che ciò accadesse gli faceva scegliere, ogni volta, scompartimenti quasi pieni o totalmente vuoti, ma non sempre ciò era possibile.
“Va a trovare qualcuno?”
“Sì, un’amica”
La donna aveva lanciato la domanda con cortesia non appena il treno aveva lasciato la città per tuffarsi tra paesaggi di pianura sempre uguali. Era una bella signora anche se, in realtà, era stata la tonalità di quella voce a colpire Alfredo. Qualcosa che alludeva a un partecipato distacco.
Stettero parecchio altro tempo in silenzio, la luce illuminava ancora il vagone e Alfredo non aveva portato nulla con se da leggere, cosi si era ritrovato a fissare le stampe che intristivano lo scompartimento. Lei, invece, aveva poggiato leggera il capo allo schienale per continuare a guardare in silenzio al di là del finestrino.
“Deve essere una donna fortunata” aveva, a un tratto, detto, come non avesse pensato ad altro, come se riprendesse quelle poche parole iniziali.
“Io sì” aveva risposto Alfredo, chinandosi leggermente verso di lei che lo guardava con attenzione.
Avevano subito ripreso la propria posizione e non si erano più parlati fin quando lui non si era preparato per scendere.
Alfredo l’aveva salutata sorridendole e lei, per tutta risposta, aveva aggiunto un “ Non soffra!” che aveva il tono dolce di un augurio.
domenica, gennaio 19, 2020
respirare
Chittaia diri?
Ca si ciauru di pani,
di tavula cunsata a festa?
Ca si meravigghia di passulina,
scoccia daranci zuccarata?
Chittaia fari?
No sai chi facissuru sta ucca,
sti iammi ne to iammi,
i manu ca ti cercunu assitati?
Sugnu ciatu ca sattacca na specchiera,
signami ancora cu li to ita.
Ca si ciauru di pani,
di tavula cunsata a festa?
Ca si meravigghia di passulina,
scoccia daranci zuccarata?
Chittaia fari?
No sai chi facissuru sta ucca,
sti iammi ne to iammi,
i manu ca ti cercunu assitati?
Sugnu ciatu ca sattacca na specchiera,
signami ancora cu li to ita.
sabato, gennaio 18, 2020
venerdì, gennaio 17, 2020
[Alfredo] insonnia
La sveglia suonava alle sette, ma non è stato necessario pigiare sul tasto per silenziarla; Alfredo era già sveglio.
Era successo alle tre circa, lui aveva provato a riaddormentarsi, cambiando più volte posizione, scoprendosi per poi ricoprirsi di nuovo, inseguendo sogni fantastici e incubi che tardavano ad arrivare, ma non c'era proprio riuscito; così si era semplicemente arreso a quello che il suo corpo ordinava e aveva deciso di alzarsi.
Era andato in cucina, tostato due fette di pane, abbondato su quelle con il miele, preparato una calda e lunga tazza di caffè. Quest'ultima l'aveva sorseggiata in piedi vicino alla piccola finestra, con calma, pensando.
"La vita fuori riflette sempre un po' la vita dentro" si era detto "sarà che sono i nostri occhi a vederla, a crearla. Magari, mentre fissiamo qualcosa, è solo il particolare che ci serve in quel momento ad attirare la nostra attenzione e così l'insieme perde di importanza, di significato"
Alfredo aveva chiuso gli occhi sicuro che nel momento in cui avesse deciso di aprirli quelli gli avrebbero svelato qualcosa, magari ciò che, ne era sicuro, ancora fingeva di non vedere. Attendeva, attendeva e contava Alfredo.
Uno, due, tre, quattro... giunse a cento prima di scoprire davanti a se lo stesso muro, lo stesso identico silenzio.
Era successo alle tre circa, lui aveva provato a riaddormentarsi, cambiando più volte posizione, scoprendosi per poi ricoprirsi di nuovo, inseguendo sogni fantastici e incubi che tardavano ad arrivare, ma non c'era proprio riuscito; così si era semplicemente arreso a quello che il suo corpo ordinava e aveva deciso di alzarsi.
Era andato in cucina, tostato due fette di pane, abbondato su quelle con il miele, preparato una calda e lunga tazza di caffè. Quest'ultima l'aveva sorseggiata in piedi vicino alla piccola finestra, con calma, pensando.
"La vita fuori riflette sempre un po' la vita dentro" si era detto "sarà che sono i nostri occhi a vederla, a crearla. Magari, mentre fissiamo qualcosa, è solo il particolare che ci serve in quel momento ad attirare la nostra attenzione e così l'insieme perde di importanza, di significato"
Alfredo aveva chiuso gli occhi sicuro che nel momento in cui avesse deciso di aprirli quelli gli avrebbero svelato qualcosa, magari ciò che, ne era sicuro, ancora fingeva di non vedere. Attendeva, attendeva e contava Alfredo.
Uno, due, tre, quattro... giunse a cento prima di scoprire davanti a se lo stesso muro, lo stesso identico silenzio.
giovedì, gennaio 16, 2020
[Alfredo] colazione
Seduto al tavolino della piccola tavola calda Alfredo sfoglia distratto il giornale. Non c'è nulla che lo colpisca particolarmente, sono ben più vivi, per strada, gli sguardi della gente, i loro discorsi.
Due ragazzi accanto a lui parlano di esami e di università, al bancone altri ragazzi consumano velocemente un caffè prima di ripartire per le loro consegne. Hanno lasciato all'ingresso due zaini coloratissimi pieni di volantini e il loro sguardo è, al tempo stesso, sazio e assonnato, come di chi si sia appena svegliato dopo una notte non certo tranquilla, ma divertente.
La proprietaria ha una parola per tutti, conosce tutti. In un attimo serve ad Alfredo il suo dolcetto di ricotta e cannella e riparte per fare altro prima di completare l'ordine con l'immancabile caffè.
"Posso sedermi qui?" Una donna lo guarda cortese e Alfredo non può che sorriderle, anche se non ama troppo avere accanto qualcuno che non conosce quando mangia. "Certo, certo" risponde ma la donna si è già seduta, sarà stato il sorriso precedente pensa lui e comunque già riprende a sbocconcellare la pasta che ha sul piattino tutto contento per la qualità della ricotta.
"Mi puoi dare una pizzetta, per favore? E anche un caffè dopo grazie" La signora, dal tono, sembra una cliente abituale. Alfredo alza gli occhi un attimo e gioca a decifrarla. Quarantacinque, cinquantanni, forse una madre che ha accompagnato i figli alla scuola vicina separata? Probabile. E' uscita da casa in fretta, a giudicare dalla pettinatura, ma non tanto in fretta da pregiudicare la cura nel suo abbigliamento. Forse è il suo giorno libero, forse non deve rendere conto a nessuno dei suoi orari di lavoro.
Alfredo riprende a scorrere le pagine del giornale. Nelle cronache locali qualche furto, qualche incidente, un premio dato per qualcosa a qualcuno.
"Mi metti da parte qualcosa per me e Giancarlo?" La donna è stata appena servita , ma non sembra poi aver così tanta fame. Guarda la pizzetta fumante e la proprietaria attendendo una risposta. "Va bene quello con la salciccia?" chiede quella. "Sì, sì, certo " risponde come confortata.
"A mensa non mangia mai nulla e così mi tocca sfamarlo appena esce da scuola, prima del tennis" La confessione, non prevista e non voluta, è fatta di corsa ad Alfredo che abbozza un "Sì, certo" prima di chiedere il suo caffè. Non ha voglia oggi di chiacchiere in questo momento e men che meno di storie su bimbi e impegni. Lei però non desiste, deve essere stato il primo morso alla pizza che le ha dato forza. “Siamo arrivati tardissimo oggi - prosegue - Sa, non abbiamo sentito la sveglia e lui mi ha chiamato che ancora dormivo. Che caro! Si può andare sempre di corsa? Ci sono giorni che mi sembra impossibile avere la forza per reggere. Mi chiedo se riuscirò mai ad avere un po’ di tempo per me stessa. No che non sia contenta, no. Lui è un così caro bimbo... ma insomma... sono impegni sa? " Tutto è stato detto velocemente, anche se la voce, anch'essa stanca, ha continuato a tenere un tono da riflessione, quasi da confessionale.
Alfredo non sa bene cosa rispondere, si limita a una espressione del volto che vorrebbe essere di conforto e finisce le ultime gocce del suo caffè. "Siamo sempre di corsa" poi mormora, alzandosi e sorridendo e salutando, prima di allontanarsi.
"Camilla non prendere niente, offro io al signore"
Alfredo si gira, ora è proprio in imbarazzo. "A buon rendere" riesce a dire, prima di ritrovarsi infreddolito sul marciapiede.
Due ragazzi accanto a lui parlano di esami e di università, al bancone altri ragazzi consumano velocemente un caffè prima di ripartire per le loro consegne. Hanno lasciato all'ingresso due zaini coloratissimi pieni di volantini e il loro sguardo è, al tempo stesso, sazio e assonnato, come di chi si sia appena svegliato dopo una notte non certo tranquilla, ma divertente.
La proprietaria ha una parola per tutti, conosce tutti. In un attimo serve ad Alfredo il suo dolcetto di ricotta e cannella e riparte per fare altro prima di completare l'ordine con l'immancabile caffè.
"Posso sedermi qui?" Una donna lo guarda cortese e Alfredo non può che sorriderle, anche se non ama troppo avere accanto qualcuno che non conosce quando mangia. "Certo, certo" risponde ma la donna si è già seduta, sarà stato il sorriso precedente pensa lui e comunque già riprende a sbocconcellare la pasta che ha sul piattino tutto contento per la qualità della ricotta.
"Mi puoi dare una pizzetta, per favore? E anche un caffè dopo grazie" La signora, dal tono, sembra una cliente abituale. Alfredo alza gli occhi un attimo e gioca a decifrarla. Quarantacinque, cinquantanni, forse una madre che ha accompagnato i figli alla scuola vicina separata? Probabile. E' uscita da casa in fretta, a giudicare dalla pettinatura, ma non tanto in fretta da pregiudicare la cura nel suo abbigliamento. Forse è il suo giorno libero, forse non deve rendere conto a nessuno dei suoi orari di lavoro.
Alfredo riprende a scorrere le pagine del giornale. Nelle cronache locali qualche furto, qualche incidente, un premio dato per qualcosa a qualcuno.
"Mi metti da parte qualcosa per me e Giancarlo?" La donna è stata appena servita , ma non sembra poi aver così tanta fame. Guarda la pizzetta fumante e la proprietaria attendendo una risposta. "Va bene quello con la salciccia?" chiede quella. "Sì, sì, certo " risponde come confortata.
"A mensa non mangia mai nulla e così mi tocca sfamarlo appena esce da scuola, prima del tennis" La confessione, non prevista e non voluta, è fatta di corsa ad Alfredo che abbozza un "Sì, certo" prima di chiedere il suo caffè. Non ha voglia oggi di chiacchiere in questo momento e men che meno di storie su bimbi e impegni. Lei però non desiste, deve essere stato il primo morso alla pizza che le ha dato forza. “Siamo arrivati tardissimo oggi - prosegue - Sa, non abbiamo sentito la sveglia e lui mi ha chiamato che ancora dormivo. Che caro! Si può andare sempre di corsa? Ci sono giorni che mi sembra impossibile avere la forza per reggere. Mi chiedo se riuscirò mai ad avere un po’ di tempo per me stessa. No che non sia contenta, no. Lui è un così caro bimbo... ma insomma... sono impegni sa? " Tutto è stato detto velocemente, anche se la voce, anch'essa stanca, ha continuato a tenere un tono da riflessione, quasi da confessionale.
Alfredo non sa bene cosa rispondere, si limita a una espressione del volto che vorrebbe essere di conforto e finisce le ultime gocce del suo caffè. "Siamo sempre di corsa" poi mormora, alzandosi e sorridendo e salutando, prima di allontanarsi.
"Camilla non prendere niente, offro io al signore"
Alfredo si gira, ora è proprio in imbarazzo. "A buon rendere" riesce a dire, prima di ritrovarsi infreddolito sul marciapiede.
mercoledì, gennaio 15, 2020
[Alfredo] giostre
"C'è un prima e un dopo in ogni cosa e succede così sempre, forse per questo non ci accorgiamo del presente perché vorremmo sempre sapere solo come siamo arrivati a quel punto, cosa ci succederà."
La donna seduta di fronte ad Alfredo continua a parlare, ma lui quasi non l'ascolta concentrato, come è, a fare sua quella ovvietà. Un po' vecchia, in effetti, ma sempre dimenticata.
Si risveglia solo quando lei posiziona un “noi” nel suo discorso e allora accarezza il bicchiere di vino sul tavolo e sorride attento.
“Ecco, noi che siamo seduti qui, perché dovremmo preoccuparci del perché ci siamo arrivati o di dove andremo dopo?”
In altri tempi Alfredo a quel punto si sarebbe chinato su quelle labbra per baciarle, forse era anche la cosa più giusta da fare, a dispetto degli anni che avevano, della gente attorno, di quello che lei realmente volesse o pensasse, invece dice solo: “Già...” e si alza per cercare qualcosa in tasca.
Lei sembra presa alla sprovvista, tace, lo guarda perplessa.
Alfredo esamina le comode tasche dei pantaloni, poi passa al cappotto che giace, in ordine, sulla sedia accanto.
“Ecco, questo lo avevo preso per te”.
Nella mano destra un piccolo oggetto di legno colorato: una giostra tutta rossa con le sagome di tre cavalli bianchi.
La donna seduta di fronte ad Alfredo continua a parlare, ma lui quasi non l'ascolta concentrato, come è, a fare sua quella ovvietà. Un po' vecchia, in effetti, ma sempre dimenticata.
Si risveglia solo quando lei posiziona un “noi” nel suo discorso e allora accarezza il bicchiere di vino sul tavolo e sorride attento.
“Ecco, noi che siamo seduti qui, perché dovremmo preoccuparci del perché ci siamo arrivati o di dove andremo dopo?”
In altri tempi Alfredo a quel punto si sarebbe chinato su quelle labbra per baciarle, forse era anche la cosa più giusta da fare, a dispetto degli anni che avevano, della gente attorno, di quello che lei realmente volesse o pensasse, invece dice solo: “Già...” e si alza per cercare qualcosa in tasca.
Lei sembra presa alla sprovvista, tace, lo guarda perplessa.
Alfredo esamina le comode tasche dei pantaloni, poi passa al cappotto che giace, in ordine, sulla sedia accanto.
“Ecco, questo lo avevo preso per te”.
Nella mano destra un piccolo oggetto di legno colorato: una giostra tutta rossa con le sagome di tre cavalli bianchi.
martedì, gennaio 14, 2020
[Alfredo] audiocassette
La schiena tornava a far male e Alfredo si sentiva quasi intrappolato da quel corpo che gli impediva quasi di muoversi.
La città era di nuovo fredda, ma più che la temperatura erano i pensieri a farlo rabbrividire: sembravano essersi rattrappiti, aver perso la loro primavera.
Alfredo aveva preparato mentalmente quello che gli sarebbe servito per preparare il pasto. Aveva controllato che ci fosse tutto, aperto il frigo , il piccolo scaffale, in alto, adibito a dispensa, quello, in basso, dove erano riposte le pentole... poi aveva richiuso tutto con cura per scegliere di tornare a sedersi sul divano. Dalla finestra provenivano pochi rumori, lo scalpiccio veloce di un passante, il lontano suono della voce di un ragazzino.
Passarono pochi minuti. Provò ad alzarsi, era una fatica farlo, per avvicinarsi ai vetri e scrutare il cielo. Sulla finestra un volto. Alfredo stentava a riconoscersi.
"Vuoi proprio piangerti addosso?" chiese. L'altro rimase muto, ma Alfredo non aveva voglia di desistere, così gli venne naturale decidere di iniziare a raccontargli una storia pescata a caso tra quelle conservate nella sua memoria.
Erano storie strane quelle di Alfredo. Si sarebbe detto che fossero senza senso e in effetti, forse, era proprio così.
"Sai quando ero molto più giovane di ora amavo ascoltare la musica di un gruppo, credo fosse irlandese, no inglese, sì, sì era inglese. Ecco non era facile ascoltarli e anche i dischi credo fosse difficile trovarli, anche se io allora neanche ci tentavo. Non potevo mica permettermi di spendere i soldi che avevo per quelli! Insomma capitava che li ascoltassi alla radio e allora li registravo velocemente su una cassetta che era sempre pronta per queste evenienze. Così capitava spesso che mi mancasse l'inizio di un brano o che avessero tagliato la fine, o che qualcuno ci avesse parlato sopra. Insomma cose così, ma io continuavo a riascoltarli lo stesso e, insomma, non me ne facevo un cruccio.
Ti dicevo, c'era questo gruppo e la cantante aveva una voce bellissima, almeno a me così sembrava, e allora io me la la immaginavo questa sirena chiamarmi e ogni volta ad ascoltarla c'era un pezzo di lei che si aggiungeva alle mie fantasie e tutto era così reale che chiudendo gli occhi potevo vederla e vedevo anche gli altri che suonavano o cantavano e le chitarre e la batteria e il contrabbasso. Insomma, come dirti, per anni quelle costruzioni sono state la mia realtà, fin quando ho potuto vedere i video dei loro concerti, avere i loro album. Jacqui, la cantante che ti dicevo, era un po' bruttina a dire la verità, ma a chiudere gli occhi lei e gli altri rimanevano come me li ero sempre immaginato e anche dopo quella scoperta non serviva altro."
Il sole era improvvisamente sparito e anche l'amico di Alfredo si era dissolto. Lui, invece, era tornato a sedersi sul divano.
La città era di nuovo fredda, ma più che la temperatura erano i pensieri a farlo rabbrividire: sembravano essersi rattrappiti, aver perso la loro primavera.
Alfredo aveva preparato mentalmente quello che gli sarebbe servito per preparare il pasto. Aveva controllato che ci fosse tutto, aperto il frigo , il piccolo scaffale, in alto, adibito a dispensa, quello, in basso, dove erano riposte le pentole... poi aveva richiuso tutto con cura per scegliere di tornare a sedersi sul divano. Dalla finestra provenivano pochi rumori, lo scalpiccio veloce di un passante, il lontano suono della voce di un ragazzino.
Passarono pochi minuti. Provò ad alzarsi, era una fatica farlo, per avvicinarsi ai vetri e scrutare il cielo. Sulla finestra un volto. Alfredo stentava a riconoscersi.
"Vuoi proprio piangerti addosso?" chiese. L'altro rimase muto, ma Alfredo non aveva voglia di desistere, così gli venne naturale decidere di iniziare a raccontargli una storia pescata a caso tra quelle conservate nella sua memoria.
Erano storie strane quelle di Alfredo. Si sarebbe detto che fossero senza senso e in effetti, forse, era proprio così.
"Sai quando ero molto più giovane di ora amavo ascoltare la musica di un gruppo, credo fosse irlandese, no inglese, sì, sì era inglese. Ecco non era facile ascoltarli e anche i dischi credo fosse difficile trovarli, anche se io allora neanche ci tentavo. Non potevo mica permettermi di spendere i soldi che avevo per quelli! Insomma capitava che li ascoltassi alla radio e allora li registravo velocemente su una cassetta che era sempre pronta per queste evenienze. Così capitava spesso che mi mancasse l'inizio di un brano o che avessero tagliato la fine, o che qualcuno ci avesse parlato sopra. Insomma cose così, ma io continuavo a riascoltarli lo stesso e, insomma, non me ne facevo un cruccio.
Ti dicevo, c'era questo gruppo e la cantante aveva una voce bellissima, almeno a me così sembrava, e allora io me la la immaginavo questa sirena chiamarmi e ogni volta ad ascoltarla c'era un pezzo di lei che si aggiungeva alle mie fantasie e tutto era così reale che chiudendo gli occhi potevo vederla e vedevo anche gli altri che suonavano o cantavano e le chitarre e la batteria e il contrabbasso. Insomma, come dirti, per anni quelle costruzioni sono state la mia realtà, fin quando ho potuto vedere i video dei loro concerti, avere i loro album. Jacqui, la cantante che ti dicevo, era un po' bruttina a dire la verità, ma a chiudere gli occhi lei e gli altri rimanevano come me li ero sempre immaginato e anche dopo quella scoperta non serviva altro."
Il sole era improvvisamente sparito e anche l'amico di Alfredo si era dissolto. Lui, invece, era tornato a sedersi sul divano.
sabato, gennaio 11, 2020
Ciao Alfredo
Dove sei stato Alfredo? Dove sei sparito? E come stai? Non so se mi sembri invecchiato o forse, invece, un po' più giovane. Sarà questa luce che cambia in continuazione; saranno questi spigoli, sul tuo volto inventato, che inseguono i solchi delle rughe. Sarai tu che sorridi con gli occhi, arricciando, timido, le labbra. Sai, non posso dirti che tu mi sia mancato, sei solo improvvisamente scomparso e io non avevo voglia d'insidiare questo tuo volontario esilio. Sapevo già che saresti tornato se tu lo avessi voluto o che magari saresti rimasto per me solo un ricordo tra altri. Anch'io sono cambiato, mi sa; ma questo non è neanche necessario dirtelo, credo che tu lo veda da solo. A volte ho avuto ancora voglia di tuffarmi tra le tue strade, di osservare la gente con i tuoi occhi, di parlare al mondo. A volte ho anche sognato; sogni brevi, subito dimenticati. Credo di iniziare a capire solo ora quello che allora volevi dirmi, ma già oggi io sono un altro, tu sei un altro.
giovedì, gennaio 09, 2020
Alfredo
"Lei non ha figli?"
Alfredo abbassa un po’ lo sguardo poi riprende a parlare d’altro.
Gli sembra che quella storia di cui stavano discutendo sia poco plausibile, montata a dovere per dimostrare che nessuno si salva, che tutti sono uguali. L’uomo con cui sta dialogando da più di un’ora riprende allora a elencargli date e avvenimenti, ma Alfredo non lo segue più.
Quando sente la voce di quello spegnersi dice solo:
"Ecco adesso mi è più chiaro" e si alza come si fosse ricordato in quel momento di qualcosa di importante da fare.
"E’ stato un piacere" aggiunge salutando. L'altro lo ferma porgendogli la mano.
"Potremmo vederci domani, lei viene spesso qui?" domanda.
"A volte" risponde Alfredo e si allontana.
Il sole è già andato via e l’aria è più fresca. Alfredo chiude il cappotto e sistema meglio il cappello sul capo. Sull'autobus che lo porta verso casa poche persone: un giovane immigrato che guarda passare le vetrine, una badante con una busta da supermercato sdrucita poggiata a terra tra le gambe, due ragazzi che si annusano innamorati.
-------------
Capita che Alfredo sia molto distratto. E' facile per lui perdersi dietro il contorno di una nuvola o inseguendo una coccinella che lenta si arrampica sul muro. Capita.
E' successo anche oggi, mentre qualcuno gli parlava di catapecchie bruciate, di morti.
"Sono bruciati in due, gli altri li hanno cacciati via. Ci sono i caporali lì... e poi tutte quelle baracche... Come in Africa! Che vergogna!"
Alfredo era altrove. Il fatto è che qualcosa tra i rami dell'albero di fronte a lui pareva brillare e Alfredo non riusciva a stabilire se quel luccichio fosse dovuto a un piccolo raggio di sole che filtrava tra i fitti aghi o ad un semplice riflesso dovuto a qualcosa rimasto impigliato tra i rami, magari un oggetto portato lì dal vento gentile o da un uccello innamorato. Forse era solo una lacrima, una vecchia ferita della pianta oppure lo scherzo di una strana prospettiva che giocava a ingannarlo.
"Cosa ne pensa?" chiese quello e ad Alfredo sfuggì un incauto:
"Dobbiamo vedere, sarebbe meglio guardare con più attenzione"
I due si salutarono poco dopo.
--------------------
Alfredo aveva tentato di afferrare qualcosa di utile tra tutte quelle notizie che gli erano piovute in testa come pioggia battente.
Era ancora a tavola. Era stato invitato a cena da una sua vecchia amica e la loro conversazione, fino a quel punto abbastanza piacevole, era stata interrotta da un'espressione di sorpresa sul volto di lei (alla veloce lettura seguita a un bip d'avviso del cellulare) e dall'immediato arrivo (dopo un'affannata ricerca del telecomando) di un torrente di voci a commentare l'ennesima strage.
La televisione era alle sue spalle, ma lui non si era nemmeno voltato a guardarla. Piuttosto aveva atteso paziente che lei si decidesse a ritornare al loro incontro.
"E' incredibile, è incredibile" continuava a mormorare la donna. E poi:
"Ma come fai? Come riesci a non preoccuparti?"
Alfredo aveva alzato le spalle per poi riprendere a cenare da solo.
Il pesce era proprio buono, gli sembrava fosse anche un ennesimo affronto alle vittime e ai carnefici rovinarlo.
-------------------------
C’è una strada del centro che Alfredo ama percorrere. Un vicolo, piccoli portoni e mura di colori diversi.
Ad Alfredo quella via ha sempre fatto venire in mente i regoli con cui da piccolo avevano tentato di insegnargli la matematica, gli stessi con cui si divertiva a giocare, a inventare ballerine costruzioni sempre sul punto di crollare per essere poi ricostruite.
Lì, in quella via, qualcuno aveva realizzato i suoi sogni.
Certo Alfredo sapeva benissimo che quel curioso aspetto era dovuto a una lunga serie di successioni familiari. Conosceva il fatto che, per uno strano vezzo nobiliare, le divisioni erano state fatte in verticale. Aveva visitato una di quelle abitazioni, come le altre composta da due, altre più, piani con una sola grande stanza per piano… questo, però, non toglieva nulla alla magia di quel piccolo caleidoscopio.
Lui, dopo averla attraversata, dopo aver scoperto ogni volta un nuovo particolare sfuggito alle visite precedenti, chiudeva gli occhi e tornava bambino.
--------------------------
Il sole è appena tramontato, una luce affiora fioca da dietro i palazzi illuminando ancora un poco il cielo. E’ il vespro.
Alfredo toglie gli occhiali, guarda lontano. Tutto gli appare indistinto, spariscono i contorni. Le luci delle case, delle strade, tremolano come stelle. A volte Alfredo viene così preso da quel paesaggio che raggiunge per un attimo la sicurezza di farne parte. Di essere anch'egli mondo.
Da piccolo una volta la maestra gli aveva chiesto di disegnare con un gessetto la città su di un cartoncino nero.
“Ora ritaglia i contorni escludendo il cielo” gli aveva poi detto lei prima di invitarlo a scegliere un nuovo cartoncino.
“Prova a incollare il primo sul secondo”
“Così?” aveva chiesto Alfredo, guardando il cartoncino arancione scelto.
“Prova a capovolgerlo” aveva suggerito la maestra.
Improvvisamente erano sparite porte, finestre, strade e palazzi. Un indistinto nero su cui la donna aveva applicato polverosi punti di luce subito sfumati dai polpastrelli delle sue dita lunghe e sottili. Alfredo si accorse per la prima volta che la maestra non portava lo smalto sulle unghie.
----------------------
Alfredo cerca le chiavi di casa, gli occhiali, il portafoglio, le caramelle alla menta che porta sempre con sé, i fazzolettini di carta. Si muove da una stanza all'altra e si siede e si rialza e di nuovo controlla di avere tutto.
Quando finalmente esce di casa un sole festoso lo accoglie, lo abbraccia, lo accompagna verso il parco.
“Alfredo! Alfredo!”
Qualcuno continua a chiamarlo da lontano, ma lui non si ferma e allora la voce lentamente sparisce fin quando non ne rimane che un rivolo nella mente.
Alfredo si ferma all'edicola. Gira lentamente gli occhi tra tutte quelle copertine sapendo già che non acquisterà nulla, che prenderà il solito giornale e con quello proverà a trovare un luogo dove sostare tra ombra e luce.
Alfredo si siede e sfoglia con attenzione le pagine prima di iniziare a leggere e ritorna indietro e inizia e smette e riflette su come sia strano il fatto che i giornali parlino così tanto di televisione, poi ricorda che lui la televisione ha smesso di guardarla già da tanti anni.
--------------------------
La bimba, seduta a cassetta sulla diligenza di plastica, tira le redini di quattro cavalli neri e ride sballottata da sussulti automatizzati, sempre uguali agli occhi degli adulti, per lei sempre diversi.
La madre è poco lontana. Gli occhi e le mani sul cellulare, parla degli acquisti e dell’amante con l’amica forzando le parole fino a farne una trama rumorosa di menzogne.
Ragazzini si esplorano su una delle panchine poste di fronte ai negozi, gli altri sedili sono quasi tutti terra di conquista di vecchi abbandonati o di mariti che fumano insofferenti.
Alfredo non ricorda bene perché sia finito lì, o meglio lo sa ma la cosa ha perso per lui ogni importanza. Vorrebbe abbandonare subito quel luogo, ma è contro la sua natura fuggire. Cammina lentamente allora, le mani dietro la schiena e un cappello leggero a proteggere dal sole che scalda la pista.
Ovunque voci e pessima musica in sottofondo. La gente è accaldata, i maglioni mattutini spariscono attorno ai fianchi degli adolescenti o si affacciano, timidi, dalle borse delle signore. La primavera, improvvisa, è arrivata.
--------------------------
Alfredo ama la gente, tutte le persone che incontra o conosce, anche se spesso questo amore somiglia a quello dell’etologo per le sue creature.
Il fatto è che ad Alfredo piace osservare gli umani. Passerebbe ore a spiarne i movimenti, a sentirne le parole, a immaginarne l’anima. Tutto questo avviene senza che egli dia alcun valore morale alle azioni sviluppate dal suo oggetto di studio. Alfredo è sempre pronto a giustificare, a razionalizzare qualsiasi scelta, qualsiasi pulsione.
Certo questo tirarsi fuori nel momento dello sguardo non gli impedisce, quando egli stesso rientra negli osservabili, di criticare, di esprimere giudizi, di partecipare attivamente al proprio presente, poiché anche il suo vivere è un personalissimo caso di studio.
----------------------------
Alfredo cammina. E’ sulla via principale della città in questa giornata di luce. Il suo passo è lento: non ama correre Alfredo. E poi correre verso cosa, verso dove?
Qualcuno lo supera urtandolo, gli arriva addosso distratto, ma lui non se la prende troppo. Vuole solo arrivare in piazza, sedersi un po’ a leggere il giornale, guardare passare la gente. Non lo fa da tempo. Ultimamente al massimo è andato al parco più vicino.
Quando finalmente lo spazio si allarga, scopre che sono sparite tutte le panchine. Per sedersi ora bisogna utilizzare le sedie ai tavoli dei bar o i pochi gradini che portano al piedistallo del barbuto. Alfredo scarta quest’ultima possibilità. Non ha più l’età e non c’è più spazio tra quei ragazzi che a gruppetti giocano a definirsi. Così decide di tornare verso la fermata del bus, verso casa.
All'angolo della piazza, sul lato opposto a quello da cui è arrivato, un tavolo con delle bandiere. Fanno firmare i passanti, distribuiscono volantini “contro il degrado”.
L’autobus è in ritardo.
-----------------------------
E’ mattina.
Ora Alfredo ascolta alla radio Alice Sara e nel frattempo pulisce le sardine acquistate il giorno prima, in offerta, al supermercato.
Sembravano ancora fresche e lui aveva proprio voglia di pesce.
Sotto le sue dita i piccoli animali si aprono delicatamente e con pazienza Alfredo toglie loro le viscere, la lisca, la testa appuntita.
Nella cucina piena di sole Chopin lo accompagna e tutto pare abbia un senso, una dolcezza infinita.
Anche quelle povere vite, a cui ha già chiesto perdono, brillano. Sul tavolo un bicchiere, dei biscotti, una bottiglia ancora chiusa di vino.
Alfredo abbassa un po’ lo sguardo poi riprende a parlare d’altro.
Gli sembra che quella storia di cui stavano discutendo sia poco plausibile, montata a dovere per dimostrare che nessuno si salva, che tutti sono uguali. L’uomo con cui sta dialogando da più di un’ora riprende allora a elencargli date e avvenimenti, ma Alfredo non lo segue più.
Quando sente la voce di quello spegnersi dice solo:
"Ecco adesso mi è più chiaro" e si alza come si fosse ricordato in quel momento di qualcosa di importante da fare.
"E’ stato un piacere" aggiunge salutando. L'altro lo ferma porgendogli la mano.
"Potremmo vederci domani, lei viene spesso qui?" domanda.
"A volte" risponde Alfredo e si allontana.
Il sole è già andato via e l’aria è più fresca. Alfredo chiude il cappotto e sistema meglio il cappello sul capo. Sull'autobus che lo porta verso casa poche persone: un giovane immigrato che guarda passare le vetrine, una badante con una busta da supermercato sdrucita poggiata a terra tra le gambe, due ragazzi che si annusano innamorati.
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Capita che Alfredo sia molto distratto. E' facile per lui perdersi dietro il contorno di una nuvola o inseguendo una coccinella che lenta si arrampica sul muro. Capita.
E' successo anche oggi, mentre qualcuno gli parlava di catapecchie bruciate, di morti.
"Sono bruciati in due, gli altri li hanno cacciati via. Ci sono i caporali lì... e poi tutte quelle baracche... Come in Africa! Che vergogna!"
Alfredo era altrove. Il fatto è che qualcosa tra i rami dell'albero di fronte a lui pareva brillare e Alfredo non riusciva a stabilire se quel luccichio fosse dovuto a un piccolo raggio di sole che filtrava tra i fitti aghi o ad un semplice riflesso dovuto a qualcosa rimasto impigliato tra i rami, magari un oggetto portato lì dal vento gentile o da un uccello innamorato. Forse era solo una lacrima, una vecchia ferita della pianta oppure lo scherzo di una strana prospettiva che giocava a ingannarlo.
"Cosa ne pensa?" chiese quello e ad Alfredo sfuggì un incauto:
"Dobbiamo vedere, sarebbe meglio guardare con più attenzione"
I due si salutarono poco dopo.
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Alfredo aveva tentato di afferrare qualcosa di utile tra tutte quelle notizie che gli erano piovute in testa come pioggia battente.
Era ancora a tavola. Era stato invitato a cena da una sua vecchia amica e la loro conversazione, fino a quel punto abbastanza piacevole, era stata interrotta da un'espressione di sorpresa sul volto di lei (alla veloce lettura seguita a un bip d'avviso del cellulare) e dall'immediato arrivo (dopo un'affannata ricerca del telecomando) di un torrente di voci a commentare l'ennesima strage.
La televisione era alle sue spalle, ma lui non si era nemmeno voltato a guardarla. Piuttosto aveva atteso paziente che lei si decidesse a ritornare al loro incontro.
"E' incredibile, è incredibile" continuava a mormorare la donna. E poi:
"Ma come fai? Come riesci a non preoccuparti?"
Alfredo aveva alzato le spalle per poi riprendere a cenare da solo.
Il pesce era proprio buono, gli sembrava fosse anche un ennesimo affronto alle vittime e ai carnefici rovinarlo.
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C’è una strada del centro che Alfredo ama percorrere. Un vicolo, piccoli portoni e mura di colori diversi.
Ad Alfredo quella via ha sempre fatto venire in mente i regoli con cui da piccolo avevano tentato di insegnargli la matematica, gli stessi con cui si divertiva a giocare, a inventare ballerine costruzioni sempre sul punto di crollare per essere poi ricostruite.
Lì, in quella via, qualcuno aveva realizzato i suoi sogni.
Certo Alfredo sapeva benissimo che quel curioso aspetto era dovuto a una lunga serie di successioni familiari. Conosceva il fatto che, per uno strano vezzo nobiliare, le divisioni erano state fatte in verticale. Aveva visitato una di quelle abitazioni, come le altre composta da due, altre più, piani con una sola grande stanza per piano… questo, però, non toglieva nulla alla magia di quel piccolo caleidoscopio.
Lui, dopo averla attraversata, dopo aver scoperto ogni volta un nuovo particolare sfuggito alle visite precedenti, chiudeva gli occhi e tornava bambino.
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Il sole è appena tramontato, una luce affiora fioca da dietro i palazzi illuminando ancora un poco il cielo. E’ il vespro.
Alfredo toglie gli occhiali, guarda lontano. Tutto gli appare indistinto, spariscono i contorni. Le luci delle case, delle strade, tremolano come stelle. A volte Alfredo viene così preso da quel paesaggio che raggiunge per un attimo la sicurezza di farne parte. Di essere anch'egli mondo.
Da piccolo una volta la maestra gli aveva chiesto di disegnare con un gessetto la città su di un cartoncino nero.
“Ora ritaglia i contorni escludendo il cielo” gli aveva poi detto lei prima di invitarlo a scegliere un nuovo cartoncino.
“Prova a incollare il primo sul secondo”
“Così?” aveva chiesto Alfredo, guardando il cartoncino arancione scelto.
“Prova a capovolgerlo” aveva suggerito la maestra.
Improvvisamente erano sparite porte, finestre, strade e palazzi. Un indistinto nero su cui la donna aveva applicato polverosi punti di luce subito sfumati dai polpastrelli delle sue dita lunghe e sottili. Alfredo si accorse per la prima volta che la maestra non portava lo smalto sulle unghie.
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Alfredo cerca le chiavi di casa, gli occhiali, il portafoglio, le caramelle alla menta che porta sempre con sé, i fazzolettini di carta. Si muove da una stanza all'altra e si siede e si rialza e di nuovo controlla di avere tutto.
Quando finalmente esce di casa un sole festoso lo accoglie, lo abbraccia, lo accompagna verso il parco.
“Alfredo! Alfredo!”
Qualcuno continua a chiamarlo da lontano, ma lui non si ferma e allora la voce lentamente sparisce fin quando non ne rimane che un rivolo nella mente.
Alfredo si ferma all'edicola. Gira lentamente gli occhi tra tutte quelle copertine sapendo già che non acquisterà nulla, che prenderà il solito giornale e con quello proverà a trovare un luogo dove sostare tra ombra e luce.
Alfredo si siede e sfoglia con attenzione le pagine prima di iniziare a leggere e ritorna indietro e inizia e smette e riflette su come sia strano il fatto che i giornali parlino così tanto di televisione, poi ricorda che lui la televisione ha smesso di guardarla già da tanti anni.
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La bimba, seduta a cassetta sulla diligenza di plastica, tira le redini di quattro cavalli neri e ride sballottata da sussulti automatizzati, sempre uguali agli occhi degli adulti, per lei sempre diversi.
La madre è poco lontana. Gli occhi e le mani sul cellulare, parla degli acquisti e dell’amante con l’amica forzando le parole fino a farne una trama rumorosa di menzogne.
Ragazzini si esplorano su una delle panchine poste di fronte ai negozi, gli altri sedili sono quasi tutti terra di conquista di vecchi abbandonati o di mariti che fumano insofferenti.
Alfredo non ricorda bene perché sia finito lì, o meglio lo sa ma la cosa ha perso per lui ogni importanza. Vorrebbe abbandonare subito quel luogo, ma è contro la sua natura fuggire. Cammina lentamente allora, le mani dietro la schiena e un cappello leggero a proteggere dal sole che scalda la pista.
Ovunque voci e pessima musica in sottofondo. La gente è accaldata, i maglioni mattutini spariscono attorno ai fianchi degli adolescenti o si affacciano, timidi, dalle borse delle signore. La primavera, improvvisa, è arrivata.
--------------------------
Alfredo ama la gente, tutte le persone che incontra o conosce, anche se spesso questo amore somiglia a quello dell’etologo per le sue creature.
Il fatto è che ad Alfredo piace osservare gli umani. Passerebbe ore a spiarne i movimenti, a sentirne le parole, a immaginarne l’anima. Tutto questo avviene senza che egli dia alcun valore morale alle azioni sviluppate dal suo oggetto di studio. Alfredo è sempre pronto a giustificare, a razionalizzare qualsiasi scelta, qualsiasi pulsione.
Certo questo tirarsi fuori nel momento dello sguardo non gli impedisce, quando egli stesso rientra negli osservabili, di criticare, di esprimere giudizi, di partecipare attivamente al proprio presente, poiché anche il suo vivere è un personalissimo caso di studio.
----------------------------
Alfredo cammina. E’ sulla via principale della città in questa giornata di luce. Il suo passo è lento: non ama correre Alfredo. E poi correre verso cosa, verso dove?
Qualcuno lo supera urtandolo, gli arriva addosso distratto, ma lui non se la prende troppo. Vuole solo arrivare in piazza, sedersi un po’ a leggere il giornale, guardare passare la gente. Non lo fa da tempo. Ultimamente al massimo è andato al parco più vicino.
Quando finalmente lo spazio si allarga, scopre che sono sparite tutte le panchine. Per sedersi ora bisogna utilizzare le sedie ai tavoli dei bar o i pochi gradini che portano al piedistallo del barbuto. Alfredo scarta quest’ultima possibilità. Non ha più l’età e non c’è più spazio tra quei ragazzi che a gruppetti giocano a definirsi. Così decide di tornare verso la fermata del bus, verso casa.
All'angolo della piazza, sul lato opposto a quello da cui è arrivato, un tavolo con delle bandiere. Fanno firmare i passanti, distribuiscono volantini “contro il degrado”.
L’autobus è in ritardo.
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E’ mattina.
Ora Alfredo ascolta alla radio Alice Sara e nel frattempo pulisce le sardine acquistate il giorno prima, in offerta, al supermercato.
Sembravano ancora fresche e lui aveva proprio voglia di pesce.
Sotto le sue dita i piccoli animali si aprono delicatamente e con pazienza Alfredo toglie loro le viscere, la lisca, la testa appuntita.
Nella cucina piena di sole Chopin lo accompagna e tutto pare abbia un senso, una dolcezza infinita.
Anche quelle povere vite, a cui ha già chiesto perdono, brillano. Sul tavolo un bicchiere, dei biscotti, una bottiglia ancora chiusa di vino.
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