Ho aspettato di sentire cadere le prime gocce dai rami prima di decidermi ad aprire l'ombrello. Giorgio è rimasto a casa, "ti raggiungo dopo" mi ha detto, anche se è domenica, anche se.
Non ho molti luoghi da visitare: il necessario, che poi mi ci perdo; e così mi ritrovo ancora una volta al parco, e siamo soli io e lui. La pioggia a farci compagnia.
La panchina non è ancora inzuppata, il legno ha solchi profondi, ferite inferte da ragazzi e innamorati, medaglie al valore date dal tempo. Mi sono chinato a raccogliere della terra, luccicava, e improvvisamente anche le mie labbra avevano sete, ed era buona la terra come mai nessuna cosa prima. Poi mi sono seduto sul prato, accanto al grande cirmolo, e con le dita ho scavato, ma non c'era nulla sotto, nessun tesoro, ed i segni che avevo visto sparivano sotto le mie mani ecco... venti gradi ad est, quaranta ad ovest, tre passi prima della roccia con inciso il tuo nome.
All'improvviso ho sentito Giorgio accanto a me, l'ombrello piantato a bandiera ci proteggeva. "Cantiamo?" mi ha chiesto alle spalle, ma poi non mi ha dato il tempo di pensare a cosa mi sarebbe piaciuto ascoltare. "Oggi potrebbe essere festa, come ogni giorno, del resto" ha aggiunto ed è stato allora, solo allora, che ho pianto.
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