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17/03/08

La picciridda - 3 -

Era passata la notte e io ero peggio di un pagghiazzo della cucina troppo usato. La nicuzza aveva voluto il latte verso le sei e poi si era addumisciuta. E io con lei.
Fu il campanello a svegliarmi che potevano essere le sette. Le sette e mezza. Cullocchi abbuscicati non mi preoccupai nemmeno di mettermi una maglietta e così con le mutande a coprirmi dove era necessario e quacche maledizione nella testa rapii la porta.
Era Margherita Azzara. Tutta frisca e profumata come per andare a missa. Solo che forse con le minigonne come a quella che ciaveva lei ancora alle fimmine non le fanno entrare vicino allaltare.
La signora partiu sparata:
"Cheffaccio disturbo? Volevo dirti che sono proprio ammirata di quello che stai facendo"
Locchi nel frattempo le erano andati dove non dovevano e lamico mio birbante lesto lesto ci vosi ricambiare la taliata a quel pasticcino prima di ritornare sotto allelastico delle mutanne.
"No! No! Ci mancassi! Vuoi...vuole entrare?"
Margherita però già era nella saletta e stava chiudendo la porta dietro di lei. Nemmeno il tempo di dire pio che mi pigghiau la faccia tra le mani e mi fici assapurari quantera duci la sua ucca. Non ci stavo capennu nenti.
"Me la fai vedere?" Mi chiese subito dopo dandomi il tu tutta ammizzigghiata come se niente fosse successo.
Nella mia testa mi ero scordato di ogni cosa e faticai tannicchia a capire che non era il battagghio che la signora voleva ammirare.
"Certo! Non fari rumore però che sta dormendo"
Appena visti alla picciridda ci si illuminò la faccia. A taliau un bello pezzo fino a quando non saccalò sopra alla culla per darici un bacio e farici una carizza.
Io arreri a lei non potei fare a meno di darici unocchiata ai suoi segreti. Quando lavevo sognata una vista come a quella! Ma pareva che era destino che con Margherita non ci puteva nesciri nenti e che ogni vota che ci vedevamo cera qualche situazione strana a impedirici di arrivare a concludere.
"Ignazio voleva passare pure lui ma è dovuto rimanere con la nostra picciridda. Anche lei ancora sta dummennu"
Accalai la testa come per dire che era giusto e ci spiai se voleva qualcosa. Ci rissi macari che non ciavevo acqua però. Solo quella del rubinetto che laltra con quel caldo era finita tutta.
Lei mi passi dispiaciuta. Ciaveva siti purazza. Ma io cosa ci potevo fare? Lultima bottiglia celeravamo divisa io e la picciridda. Non penso che avrebbe accettato una birra e così le proposi un caffè.
"Caldo o freddo?" aggiunsi.
"Caldo grazie. - marrispunniu lei - Possiamo aiutarti io e Ignazio in qualche modo?"
Non sapevo che dire e poi la testa in quel momento ce lavevo ad altro.
Margherita sassittau vicino al tavolo in cucina e accuminciau a parrari della figghia e di quando era nica e delle cose che dovevo sapere che bisognava fare.
Io mentre preparavo la cafittera seguivo tutto attento che tante cose non le sapevo e ci facevo domande e chiedevo. Lei sembrava soddisfatta di quel mio interesse e quando massittai macari iu ad aspettare che il caffè acchianasse mi fece una specie di corso rapido supra ai primi mesi di vita.
Un ciauro nuovo nellaria ci fermò improvviso e fici cangiari direzione o ventu. Mi susii per sistemare tutto e quando mavvicinai con il caffè che fumava lei era ritornata a essiri la fimmina che sognavo. Prima mi rissi che aveva troppa siti. Poi lesta lesta maccalau i mutanni per provare a viviri alla fonti. Arristai come a un babbasunazzu con locchi chiusi e la tazzina nelle mani.
Forse la picciridda accuminciava veramente a portarmi fortuna.
Quando però tornai a viriri la luce ci misi poco a capire che era stato tutto solo un sogno. Giusto il tempo di passare la mano sopra alle mutande vagnate.
Assittato nella seggia e con la testa appoggiata al bordo della culla mero fatto due ore di sonno chino senza neanche accorgermene. La nicuzza si stava guardando in giro.

Chissà su pensano a questetà. O se sognano macari. E se è così chi sogni sù? Di quello che cè prima? Oppure di quello che cè dopo? Forse sulu di mangiari? E ti virunu macari? Mah!
Comunque era già passato un giorno e ancora lei non ciaveva un nome. Bisognava provvedere.
Minni ii a sciacquarimi la faccia e a canciarimi di sutta e poi mavvicinai al balcone. Mi serviva qualche consiglio. Cera ancora calma. Come se tutti si fossero messi daccordo per non disturbarci. Non si sentiva manco lodore delle cose che di solito in quel periodo saccuminciavano a preparare di matina presto per il pranzo.
Stirai il collo fuori dalla finestra e provai a chiamare alla signora Ardenti.
Bastò quello a fare spuntare da ogni puttuso i facci dei cristiani.
"Chi succeri Totò?"
Fu chista la sola voce del coro dellopera.

2 commenti:

  1. Ciao, Dario. Come va? Non ci si sente da un bel po'. Sottoscrivo il tuo feed così non ti perdo di vista.

    A presto!

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  2. Ciao :-) Contento di ritrovarti... e non solo qui :-)

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