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28/03/09

Dante l'americano

Io non me lo ricordo a Dante. A dire la verità sì lho visto al collo di sua madre dentro alla foto in bianco e nero però non me la ricordo lo stesso la sua faccia.
La Signora Franca invece cè laveva bene in testa quel figghio perso con i puttusa della droga e nel cuore anche se lo ricordava che lui era stato il segno della seconda parte della sua vita quella dove sera innamorata per la prima vota e risposata anche.
Sò marito novu aggiustava e vinneva le machinette per i picciriddi. Quelle dove ci si spinnevano le dieci lire. Quelle che andavano davanti ai bar e ai panifici. Quelle insomma dove cera un volante che ci dovevi guidare una pallina di vetro in una strada piena di buche e che se eri bravo e fortunato la pallina finiva nelle tue mani. Era una magia quel pezzo di vetro. Ciaveva dentro una specie di farfalla acculurata che se la vedevi con un occhio solo in direzione della luce tutto il mondo diventava brillante e meraviglioso. Lui tante volte me le ha regalate quelle palline che io ogni volta mi sentiva ricco e fortunato anche. Dante ci voleva bene a quel mischinazzo di so pattri che ci cascau u munnu incoddu quannu muriu sutta a un carretto in un paese della provincia mentre faceva un nuovo grande affare.
Lui Dante quannu era caruso e mi vedeva giocare al balcone sammucciava nel suo e mi fiscava per poi uscire di sorpresa chiamandomi.
"Sugnu cà! Sugnu cà! E chiffai non mi viri?" diceva e io lo sapevo a memoria quel gioco però mi ci addivittevu sempri.
Aveva diciassette anni Dante quando partiu per Milano. Venticinque quannu sarritirau in vacanza con un figghiu avuto con una carusa americana che sua madre mancu u sapeva. Ventisette quanno a lei ci arrivò un telegramma da Niu Iocchi che ci diceva che so figghiu era morto di overdose.

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