"Teatro Romano di Catania (1930)" di Ignoto |
Le parole sono poche. Seduti sulla cavea, le gambe allungate sul vuoto delle gradinate, si attende il sacro rito della canna: l'iniziatore, l'aspirante, il testimone.
Vecchie case e palazzi sventrati, marmo, erbacce, tre ragazzi che ridono, un silenzio pre-industriale attorno. L’immagine è quella di sfondo di un eroico Pazienza. Pippo e Zanardi, un settantasette ancora fresco di arresti. Il Male e un Nulla in lontananza che muove i primi passi.
Ritorniamo però a teatro, ora.
Non c'è tempo per altra erba, non ci sono i soldi per sprecare la magica pozione.
“Ma tu fumi?”
“No”
“E come facciamo allora?”
Il testimone accende una emme esse e poi ne stacca il filtro.
“Tieni. Fuma questa”
L'iniziatore sembra non accorgersi di quei possibili intoppi. La mano rolla leggera e precisa, un attimo.
L'aspirante inizia a tossire, pare che vomiti, poi si riprende. Accanto a lui il testimone ride, mentre l'iniziatore attende tranquillo come colui che sa.
“Passato?” sono le prime sue parole.
“Sì. Sì” risponde l’asmatico lacrimando.
La canna passa di mano, le istruzione sono semplici.
Lasciare bruciare leggermente la punta, togliere il cappuccio di carta, aspirare bene fino ai polmoni.
Il fumo arriva come fosse una locomotiva, “la stessa forza della dinamite”. “La stessa forza della dinamite”.
Il sole inizia a giocare con il bianco dei marmi e il nero della pietra lavica.
Uscire, prima che faccia buio.
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