17/06/08

La pazza


Ci ritrovavamo spesso d'estate a pranzo da mia nonna. Si giocava, si mangiava, si diventava grandi. Lei, minuta ed in nero come ogni donna-icona siciliana, ci accoglieva con i suoi capelli bianchi raccolti sulla nuca e gli intingoli a cuocere sulla vecchia cucina a legna.
Pochissime volte sono riuscito a veder libere quelle chiome: erano lunghissime e folte. Magnifiche. Amo pensare che quello spettacolo sia stato il suo regalo allo sposo, nelle notti d'amore.
La sera, per chi di noi restava, c'era il "cuttigghiu". Ci si raccontava la vita dei vicini o degli avi sperando nel frattempo (anche quella sera, anche quella volta) in una leggera brezza di vento. A volte le storie si ripetevano uguali, altre si rincorrevano in versioni sempre nuove, alcune volte tacevano.
Era già la fine di Settembre ed io non potevo aspettare oltre. Le chiesi, con noncuranza, di quella finestra sempre chiusa al primo piano, indicandola con il dito.
Faceva parte di un vecchio palazzo che sorgeva di fronte casa sua. Davanti ad esso un piccolo giardino. Un nespolo, aranci, ma soprattutto un banano; i suoi frutti erano piccoli e deliziosi (sarà il ricordo, o l'età, ma non credo d'aver mangiato mai cosa più gustosa). Il verone che dava su quel giardino era sempre vuoto ma ciononostante l'abitazione non pareva abbandonata. Era stata quest'ultima considerazione a far nascere la mia curiosità.
"E' la casa della pazza." Rispose lei abbandonando, solo per un attimo, il lavoro ad uncinetto. Non mi bastava e lei davanti alla mia faccia dubitante sembrò rendersene conto.
"Lì abita la famiglia Xxxx, il padre è un avvocato ed hanno, anzi avevano, un'unica figlia: Clotilde. Era bellissima e intelligente anche. Le suore, mi aveva raccontato un giorno suo padre, erano state costrette a farla studiare da sola per consentirle così di apprendere cose nuove (talmente evidente era la differenza con le altre alunne) e quando era entrata all'università subito aveva stupito tutti per le sue capacità. Un giorno, purtroppo, le malelingue iniziarono a raccontare in giro di un amore tra lei e un professore sessantenne e i genitori si precipitarono ad impedirle ogni cosa, fino a non permetterle più neanche di continuare gli studi. Lei sembrava aver accettato tutto. La scorgevo seduta a quella finestra; sempre intenta a leggere, senza pause, senza svaghi. Erano passati circa otto mesi dall'inizio della sua clausura quando accadde l'irreparabile.
Era appena sonata la sesta, la gente iniziava a ritirarsi a casa dal mercato del lunedì. Io aspettavo qui davanti il nonno per andare a prendere l'acqua alla fontana e non lasciar sole le tue zie.
La vidi alzarsi dalla sedia, bloccare, con quella, le imposte dall'esterno e, affacciandosi al balcone, iniziare a spogliarsi lentamente, come se aspettasse quella gente che, puntualmente, si radunò davanti al giardino.
Sentivo le voci dei suoi genitori chiederle di aprire, urlarle di smettere, ma lei proseguì in silenzio fin quando non fu completamente nuda. Aveva un corpo splendido. Da sotto, dopo i primi lazzi, non era giunto più alcun rumore, la folla pareva pregare muta una madonna.
A spezzare quel momento fu il rumore dei vetri infranti, il cedere degli scuri, le urla della madre, la misera forza del padre che, senza alcuna resistenza, la ricondusse alle proprie stanze. Ecco, questa è la storia di quella casa, ed ora, che hai da chiedermi?".
Rimasi in silenzio, poi volli chiederle se qualcuno l'avesse più rivista.
Improvvisamente si rabbuiò come se solo allora si fosse resa conto di aver evocato un fantasma."Tuo nonno... credo".
Si fermò, poi iniziò a parlare d'altro con le zie e mia madre, come se quella risposta fosse stata sufficiente a saziarmi.
"Nonna! Nonna!" urlai. Dieci occhi scuri si fissarono su di me.
"Nonna -continuai- ma... allora?".
Sulle sue labbra una strana smorfia simile ad un sorriso: "Perchè?" stranamente mi domandò. Non sapevo cosa risponderle.
" Mamma sei stata tu ad incuriosirlo- disse, spiccia, Zia Mela- vuoi che gli parli io di quell'incontro?". Mi sembrò che ridesse.
La nonna si alzò senza rimbeccarla, come era invece solita fare. "Vado a prendere dell'acqua fresca" disse, ma già la zia aveva iniziato un nuovo racconto.


Fonte immagine: Santiago Caruso

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