10/01/12

Factory



Per raggiungerla bisognava uscire fuori città. Un tempo quel luogo era una piccola palude e l'opera di bonifica non aveva prodotto grandi risultati: poche gocce e piccoli ruscelli richiedevano forza e coraggio al guado. Quasi nessuno poi all'epoca possedeva un'automobile e i pochi fortunati dividevano le spese per il carburante con tre, quattro compagni raccattati lungo il percorso, gli altri attendevano pazienti l'arrivo dell'unica corsa pubblica che fermava davanti ai cancelli, cinque minuti prima del suono della sirena e cinque minuti dopo, alla chiusura. Il tempo di una sigaretta, di uno ciao frettoloso, di uno sguardo d'intesa. Si aspettava sempre fino al fischio prima di entrare, si attendeva il soffio meccanico prima di rinascere in un'altra vita.
Noi non lo capivamo che quelli erano tempi eroici, che ne avremmo un tempo parlato con rabbia e orgoglio. Quello che vedevamo era solo un lavoro sempre uguale, il servo che misurava i nostri tempi, i movimenti che non dimenticavi più, la nausea. Quello che sapevamo era sotto le gonne della carusidda appena assunta o nei volantini che giravano sotto banco dentro i cessi gonfi d'urina. No, noi non lo immaginavamo che di quel primo sciopero avrebbero parlato tutti i giornali o che del cadavere della carusidda stuprata e annegata in uno di quei rigagnoli si sarebbe occupata la giustizia degli uomini. Erano cose della vita, come la bestia che si ribella alla soma o la capra sgozzata per la festa del padrone. A noi bastava la magia del ventisette, la faccia allegra per le vie del corso, il cinema, qualche bicchiere di vino a volte. A noi inorgogliva essere uno, mentre si era in tanti.
Quelli di noi che ci hanno passato tanto tempo dentro ci hanno raccontato che era come vedersi allo specchio: una ruga, un ciuffo bianco, qualche acciacco, ma dentro si pensa di essere ancora giovani e si fanno sempre le stesse cose e si pensano sempre le stesse cose e invece il mondo cambia e quelli che arrivano dopo iniziano a non capirti e poi a poco a poco nemmeno più ti considerano, fino a quando...
Quelli di noi che l'hanno vista invecchiare invece la maggior parte non ci sono arrivati alla sua morte che sono andati via loro prima, quasi tutti per cancro, quasi tutti dentro un'ospedale.
Infine quelli di noi che l'hanno vista morire ancora ogni tanto ci tornano dietro ai cancelli chiusi, per dare un'occhiata alle lamiere contorte, all'erba che prende tutto, al cielo più grande.

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Questo post nasce da un "gioco" lanciato da  LaDonnaCamel sul suo blog
Gli altri partecipanti sono:

- Melusina con Ho visto un re
- Lillina con  Le voci nel silenzio 
- Cielo sopra Milano con  Addicted to love 
- Mai Maturo con  Quelli dell'EDS
- Hombre con  Sottoposti
- Giodoc con  My Sharona
- Mai Maturo con Cronache dell'anno mille
- LaDonnaCamel con  E quando suonano le sirene ti sembra quasi che canti il gallo

7 commenti:

  1. Definirei questo pezzo un'epopea, condensata dal tuo solito lodevole ed efficace minimalismo. E tuttavia ha il sapore e lo spessore dell'epica. La chiusa poi tocca il cuore. Sempre bravo, Dario.

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  2. Anche questo è bellissimo, mi congratulo con me stessa :-P

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  3. Vi ringrazio :-) A me sembra di averlo mandato troppo presto (lo rileggo e vorrei modificarlo), ma un eds è un eds :-)

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  4. Ubi maior...
    complimenti, bravissimo!

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  5. mi compiaccio e mi congratulo anch'io con Bianca, che ci stimola.
    E anche con te, dài, non piangere...

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  6. Grazie MaiMaturo :-)

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    Non lo farò questa volta, Hombre :-)

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