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22/02/13

Domenica e lunedì - fine -

«Nell’analisi dei partiti politici italiani si può vedere che essi sono stati sempre volontari per ogni iniziativa anche la più bizzarra che sia vagamente sovversiva (a destra o a sinistra). Nell’analisi dei partiti politici italiani si può vedere che essi sono stati sempre di volontari, e mai o quasi di blocchi omogenei sociali. Un’eccezione è stata la destra storica cavourriana  e quindi la sua superiorità organica e permanente sul Partito d’Azione mazziniano e garibaldino, che è stato il prototipo di tutti i partiti italiani di massa, che non erano in realtà tali (cioè non contenevano blocchi omogenei sociali) ma attendamenti zingareschi e nomadi della politica» 

 Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, Einaudi Torino 1977


[«Sovversivo».] Il concetto prettamente italiano di «sovversivo» può essere spiegato cosí: una posizione negativa e non positiva di classe: il «popolo» sente che ha dei nemici e li individua solo empiricamente nei cosí detti signori (nel concetto di «signore» c’è molto della vecchia avversione della campagna per la città, il vestito è un elemento fondamentale di distinzione c’è anche l’avversione contro la burocrazia, in cui si vede unicamente lo Stato: il contadino – anche il medio proprietario – odia il «funzionario», non lo Stato, che non capisce, e per lui è questo il «signore» anche se economicamente il contadino gli è superiore, onde l’apparente contraddizione per cui per il contadino il signore è spesso un «morto di fame»). Quest’odio «generico» è ancora di tipo «semi-feudale», non moderno, e non può essere portato come documento di coscienza di classe: ne è appena il primo barlume, è solo appunto la posizione negativa e polemica elementare: non solo non si ha coscienza esatta della propria personalità storica, ma non si ha neanche coscienza della personalità storica e dei limiti precisi del proprio avversario. (Le classi inferiori, essendo storicamente sulla difensiva, non possono acquistare coscienza di sé che per negazioni, attraverso la coscienza della personalità e dei limiti di classe dell’avversario: ma appunto questo processo è ancora crepuscolare, almeno su scala nazionale).
Un altro elemento per comprendere il concetto di «sovversivo» è quello dello strato noto con l’espressione tipica dei «morti di fame». I «morti di fame» non sono uno strato omogeneo, e si possono commettere gravi errori nella loro identificazione astratta. Nel villaggio e nei piccoli centri urbani di certe regioni agricole esistono due strati distinti di «morti di fame»: uno è quello dei «giornalieri agricoli», l’altro, quello dei piccoli intellettuali. Questi giornalieri non hanno come caratteristica  fondamentale  la  loro  situazione  economica, ma la loro condizione intellettuale-morale: essi sono ubbriaconi, incapaci di laboriosità continuata e senza spirito di risparmio e quindi spesso biologicamente tarati o per denutrizione cronica o per mezza idiozia e scimunitaggine. Il contadino tipico di queste regioni è il piccolo proprietario o il mezzadro primitivo (che paga l’affitto con la metà, il terzo o anche i due terzi del raccolto secondo la fertilità e la posizione del fondo), che possiede qualche strumento di lavoro, il giogo di buoi e la casetta che spesso si è fabbricato egli stesso nelle giornate non lavorative, e che si è procurato il capitale necessario o con qualche anno di emigrazione, o andando a lavorare in «miniera», o con qualche anno di servizio nei carabinieri, ecc., o facendo qualche anno il domestico di un grande proprietario, cioè «industriandosi» e risparmiando. Il «giornaliero», invece, non ha saputo o voluto industriarsi e non possiede nulla, è un «morto di fame», perché il lavoro a giornata è scarso e saltuario: è un semimendicante, che vive di ripieghi e rasenta la malavita rurale.
Il «morto di fame» piccolo-borghese è originato dalla borghesia rurale: la proprietà si spezzetta in famiglie numerose e finisce con l’essere liquidata, ma gli elementi della classe non vogliono lavorare manualmente: cosí si forma uno strato famelico di aspiranti a piccoli impieghi municipali, di scrivani, di commissionari, ecc. ecc. Questo strato è; un elemento perturbatore nella vita delle campagne, sempre avido di cambiamenti (elezioni ecc.) e dà il «sovversivo» locale, e poiché è abbastanza diffuso, ha una certa importanza: esso si allea specialmente alla borghesia rurale contro i contadini, organizzando ai suoi servizi anche i «giornalieri morti di fame». In ogni regione esistono questi strati, che hanno propaggini anche nelle città, dove confluiscono con la malavita professionale  e  con la malavita fluttuante. Molti piccoli impiegati delle città derivano socialmente da questi strati e ne conservano la psicologia arrogante del nobile decaduto, del proprietario che è costretto a penare col lavoro. Il «sovversivismo» di questi strati ha due facce: verso sinistra e verso destra, ma il volto sinistro è un mezzo di ricatto: essi vanno sempre a destra nei momenti decisivi e il loro «coraggio» disperato preferisce sempre avere i carabinieri come alleati.
Un altro elemento da esaminare è il cosí detto «internazionalismo» del popolo italiano. Esso è correlativo al concetto di «sovversivismo». Si tratta in realtà di un vago «cosmopolitismo» legato a elementi storici ben precisabili: al cosmopolitismo e universalismo medioevale e cattolico, che aveva la sua sede in Italia e che si è conservato per l’assenza di una «storia politica e nazionale» italiana. Scarso spirito nazionale e statale in senso moderno. Altrove ho notato che è però esistito ed esiste un particolare sciovinismo italiano, piú diffuso di quanto non pare. Le due osservazioni non sono contraddittorie: in Italia l’unità politica, territoriale, nazionale ha una scarsa tradizione (o forse nessuna tradizione), perché prima del 1870 l’Italia non è mai stata un corpo unito e anche il nome Italia, che al tempo dei Romani indicava l’Italia meridionale e centrale fino alla Magra e al Rubicone, nel Medioevo perdette terreno di fronte al nome Longobardia (vedere lo studio di C. Cipolla sul nome «Italia», pubblicato negli «Atti dell’Accademia di Torino»). L’Italia ebbe e conservò però una tradizione culturale che non risale all’antichità classica, ma al periodo dal Trecento al Seicento e che fu ricollegata all’età classica dall’Umanesimo e dal Rinascimento. Questa unità culturale fu la base,molto debole invero, del Risorgimento e dell’unità per accentrare intorno alla borghesia gli strati piú attivi e intelligenti della popolazione, ed e ancora il sostrato del nazionalismo popolare: per l’assenza in questo sentimento dell’elemento politico-militare e politico-economico, cioè degli elementi che sono alla base della psicologia nazionalista francese o tedesca o americana, avviene che molti cosí detti «sovversivi» e «internazionalisti» siano «sciovinisti» in questo senso, senza credere di essere in contraddizione.
Ciò che è da notarsi, per capire la virulenza che assume talvolta questo sciovinismo culturale, è questo: che in Italia una maggior fioritura scientifica, artistica, letteraria ha coinciso col periodo di decadenza politica, militare, statale (Cinquecento-Seicento). (Spiegare questo fenomeno: cultura aulica, cortigiana, cioè quando la borghesia dei Comuni [era] in decadenza, e la ricchezza da produttiva era diventata usuraria, con concentrazioni di «lusso», preludio alla completa decadenza economica).
I concetti di rivoluzionario e di internazionalista, nel senso moderno della parola, sono correlativi al concetto preciso di Stato e di classe: scarsa comprensione dello Stato significa scarsa coscienza di classe (comprensione dello Stato esiste non solo quando lo si difende, ma anche quando lo si attacca per rovesciarlo), quindi, scarsa efficienza dei partiti, ecc. Bande zingaresche, nomadismo politico non sono fatti pericolosi e cosí non erano pericolosi il sovversivismo e l’internazionalismo italiano. Il «sovversivismo» popolare è correlativo al «sovversivismo» dall’alto, cioè al non essere mai esistito un «dominio della legge», ma solo una politica di arbitrii e di cricca personale o di gruppo. Tutte queste osservazioni non possono essere, naturalmente, categoriche e assolute: esse servono a tentare di descrivere certi aspetti di una situazione, per valutare meglio l’attività svolta per modificarla (o la non attività, cioè la non comprensione dei propri compiti) e per dare maggior risalto ai gruppi che da questa situazione emergevano per averla capita e modificata nel loro ambito.

Antonio Gramsci, Passato e presente

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