Io nascii in una casa vicino alla "Castagna la navi" che fu un incidente quello. Mio padre non ci arrivò a portare mia madre fino all’ospedale a Giarre che il suo compare con la macchina arrivò tardi e allora l’aiutarono le vicine che già erano state avvisate, ma quella nascita forse segnò la mia vita che sarà stato per questo che me ne andai a lavorare al porto quando arrivò l’età.
Ora io non voglio annoiare a nessuno che cunto la mia infanzia che di sicuro fu come a quella di tanti altri. Per tirare avanti la famiglia mio padre andò da certi parenti in Germania e io arristai nella casa con mia madre e mia nonna Teresa che a quel tempo mio nonno Filadelfo era già morto. Invece non li ho mai conosciuti i genitori di mia madre che quelli quando seppero che lei era incinta la ittarono fuori dalla loro casa per la vergogna a causa della sua età che era ancora una picciridda. Però ogni tanto li sentivo nominare ammucciuni in qualche discussione e a volte sentivo mia madre che chianceva senza farsi vedere dopo questi fatti. Una volta pensai anche che fossero loro che si erano riconciliati quando due vecchi tutti allicchitiati vennero a fare visita a nonna Teresa. Si assittarono a prendere il caffè e a mangiare i rami di napuli che ero stato mandato a comprare dalla Zia Santina, la vecchia del negozio dei dolci. Per me avevano portato un arco dellindiani ma questo lo scoprii solo la mattina dopo che era il tempo dei defunti e io trovai l’ossa dei morti e i fichi secchi e quest’arco per l’appunto che ne fui felice. Quando se ne sono andati nonna Teresa disse che erano parenti suoi e io non li ho più visti a quelli.
Con quell’arco io ci davo la caccia alle zazzamite e ai suggiteddi e qualche soddisfazione me la sono levata nel tempo che sono diventato pure bravo e veloce.
Alla caccia ci andavo con Sara Tricomi, la figlia del massaro Nino. Sara ci aveva un anno meno di mia e però eravamo nella stessa classe che sua madre ci aveva fatto fare la primina dalle suore. La maestra a Sara la trattava come a una principessa che la picciridda ogni fine settimana le portava il bendidio dalle campagne dove lavorava il padre.
Io con Sara facevamo la strada insieme e passavamo dalle case e dalle terre che ci piaceva correre sopra alla pietra lavica e acchianare nei rami degli alberi più alti. Il pomeriggio poi io andavo nella sua casa a giocare che le nostre madri si conoscevano e le famiglie macari.
L’arco l’avevo lasciato dentro al baule grande di vimini che lei teneva nella sua stanza e insieme giocavamo nel cortile e nel giardino che ci divertivamo. Lei però non voleva mai essere salvata nelle cose che ci inventavamo e così finiva che nelle nostre storie eravamo quasi sempre due guide apache. Come quelle dei fumetti accattati la domenica davanti alla chiesa.
Lei si era fatta una fionda potente con la camera d’aria della bicicletta e io l’avevo anche aiutata che ero bravo con il coltello ma lei con quella era proprio diventata esperta che certe volte riusciva anche a battermi quando qualcosa si muoveva in mezzo alle foglie. Però questa sua spittizza se la doveva tenere ammucciata che a sua madre non ci piacevano quei giochi da masculazzo e appena poteva ci controllava a tutti e due dalla finestra che così si sentiva più tranquilla.
Io con Sara facevamo la strada insieme e passavamo dalle case e dalle terre che ci piaceva correre sopra alla pietra lavica e acchianare nei rami degli alberi più alti. Il pomeriggio poi io andavo nella sua casa a giocare che le nostre madri si conoscevano e le famiglie macari.
L’arco l’avevo lasciato dentro al baule grande di vimini che lei teneva nella sua stanza e insieme giocavamo nel cortile e nel giardino che ci divertivamo. Lei però non voleva mai essere salvata nelle cose che ci inventavamo e così finiva che nelle nostre storie eravamo quasi sempre due guide apache. Come quelle dei fumetti accattati la domenica davanti alla chiesa.
Lei si era fatta una fionda potente con la camera d’aria della bicicletta e io l’avevo anche aiutata che ero bravo con il coltello ma lei con quella era proprio diventata esperta che certe volte riusciva anche a battermi quando qualcosa si muoveva in mezzo alle foglie. Però questa sua spittizza se la doveva tenere ammucciata che a sua madre non ci piacevano quei giochi da masculazzo e appena poteva ci controllava a tutti e due dalla finestra che così si sentiva più tranquilla.
Quando successe il fatto era una mattina di maggio che a scuola ci avevano fatto uscire prima per via che mancavano l’acqua e la luce. C’era stata l’ordinanza del sindaco disse la maestra e poi ci ittò fuori dalle stanze. L’Etna buttiava a intervalli regolari che di lì a poco ci sarebbe stata l’eruzione, ma questo ancora non lo sapevamo.
Io e Sara ne avevamo approfittato per cambiare percorso che nelle campagne, la settimana prima, avevamo scoperto una piccola trazzera. Noi non ci avevamo mai fatto caso a quella a causa del fatto che era pieno di more, i contadini però in quei giorni avevano levato tutte quelle piante che forse avevano intenzione di seminare qualcosa e così era venuta fuori quella striscia di pietre antiche. Noi comunque eravamo curiosi, prima però eravamo passati a lasciare i libri e i quaderni nella casa del massaro Nino che con quelli non era possibile muoversi bene e a prendere le armi che conservavamo.
La trazzera era bella lunga e faceva tutta delle curve strane per finire poi davanti a un fosso. A guardare bene si vedeva che proprio lì c’erano dei gradini che scinnevano di assai anche se erano ammucciati dalle piante. C’erano castagni antichi e giovani e quercie, lecci, cerri, pini in quel pezzo di terra che si vedeva dall’alto. Era tutto ammiscato e fitto fitto come se gli uomini non ci passassero da secoli .
Io guardavo tutto con meraviglia e tannicchia di scantazzo anche che qualcosa mi diceva che era meglio tornare a casa. Sara invece aveva già iniziato a scendere che quasi non si vedeva più la testa a causa dei rovi che si univano al muretto per fare una specie di arco nella scinnuta.
Io e Sara ne avevamo approfittato per cambiare percorso che nelle campagne, la settimana prima, avevamo scoperto una piccola trazzera. Noi non ci avevamo mai fatto caso a quella a causa del fatto che era pieno di more, i contadini però in quei giorni avevano levato tutte quelle piante che forse avevano intenzione di seminare qualcosa e così era venuta fuori quella striscia di pietre antiche. Noi comunque eravamo curiosi, prima però eravamo passati a lasciare i libri e i quaderni nella casa del massaro Nino che con quelli non era possibile muoversi bene e a prendere le armi che conservavamo.
La trazzera era bella lunga e faceva tutta delle curve strane per finire poi davanti a un fosso. A guardare bene si vedeva che proprio lì c’erano dei gradini che scinnevano di assai anche se erano ammucciati dalle piante. C’erano castagni antichi e giovani e quercie, lecci, cerri, pini in quel pezzo di terra che si vedeva dall’alto. Era tutto ammiscato e fitto fitto come se gli uomini non ci passassero da secoli .
Io guardavo tutto con meraviglia e tannicchia di scantazzo anche che qualcosa mi diceva che era meglio tornare a casa. Sara invece aveva già iniziato a scendere che quasi non si vedeva più la testa a causa dei rovi che si univano al muretto per fare una specie di arco nella scinnuta.
Mi spostai un poco avanti per vedere se c’erano altre strade per scinniri nel bosco, ma non ne trovai nessuna e così mi fici quei gradini di corsa che non la volevo perdere alla mia amica e arrivai presto in un piccolo spazio tra gli alberi che sembrava come a un cerchio verde pieno di sole.
Sara si era assittata lì, in mezzo all’erba alta con le gambe incrociate e la gonna bella sistemata per non piegarla. Guardava fisso davanti a lei come se ci fosse qualcosa, ma io non vedevo niente neanche piegandomi per guardare dove guardava lei e allora mi ci misi davanti che con l’ombra la coprivo tutta e aspettai di sapere. Sara però continuava a non parlare. Aveva solo questi occhi fissi e una calma che non le avevo mai visto.
Non lo so quanto durò questo momento che il tempo certe volte non lo puoi calcolare e ti passa davanti che possono essere minuti oppure ore senza che c’è differenza. Quello che so è che a un certo punto io ci misi la mia mano davanti agli occhi e lei sembrò riprendersi e mi diede la sua di mano e io, io mi arrivò dentro una energia, una forza che non avevo mai avuto prima. Una specie di scossa che dalle dita passò alla mano, al braccio, a tutto il corpo e non potei fare a meno di chiudere gli occhi e di sentirla tutta quella forza. E poi quando li ho riaperti eravamo nella trazzera e Sara mi taliava preoccupata che io ero sdraiato a terra e nella mia mano c’era sangue e altro sangue mi gocciolava da sopra l’occhio. Lei mi indicò un ramo sopra di me e poi si mise a ridere.
Anche Sara sera macchiata il vestitino di sangue e così in silenzio siamo ritornati a casa che quella storia non aveva senso e io non avevo nemmeno provato a raccontargliela, anche se me la ricordo bene anche oggi, anche se a ripensarla mi sembra di sentirla di nuovo quella forza. E sarebbe bello.
Sara si era assittata lì, in mezzo all’erba alta con le gambe incrociate e la gonna bella sistemata per non piegarla. Guardava fisso davanti a lei come se ci fosse qualcosa, ma io non vedevo niente neanche piegandomi per guardare dove guardava lei e allora mi ci misi davanti che con l’ombra la coprivo tutta e aspettai di sapere. Sara però continuava a non parlare. Aveva solo questi occhi fissi e una calma che non le avevo mai visto.
Non lo so quanto durò questo momento che il tempo certe volte non lo puoi calcolare e ti passa davanti che possono essere minuti oppure ore senza che c’è differenza. Quello che so è che a un certo punto io ci misi la mia mano davanti agli occhi e lei sembrò riprendersi e mi diede la sua di mano e io, io mi arrivò dentro una energia, una forza che non avevo mai avuto prima. Una specie di scossa che dalle dita passò alla mano, al braccio, a tutto il corpo e non potei fare a meno di chiudere gli occhi e di sentirla tutta quella forza. E poi quando li ho riaperti eravamo nella trazzera e Sara mi taliava preoccupata che io ero sdraiato a terra e nella mia mano c’era sangue e altro sangue mi gocciolava da sopra l’occhio. Lei mi indicò un ramo sopra di me e poi si mise a ridere.
Anche Sara sera macchiata il vestitino di sangue e così in silenzio siamo ritornati a casa che quella storia non aveva senso e io non avevo nemmeno provato a raccontargliela, anche se me la ricordo bene anche oggi, anche se a ripensarla mi sembra di sentirla di nuovo quella forza. E sarebbe bello.
Ora avvocato lo so che voi state ridendo che non è possibile che uno cunta la storia di quando era nico e andò a sbattere contro un ramo e dice che è importante, ma io sono serio che punto uno non lo so se è vero che tutto quello fu colpa dell’albero e punto due da quel giorno cambiò la mia vita.
Io me ne accorsi solo per caso di questa cosa che poi ci vosi tempo per capirlo davvero.
Il fatto è che quando ci diceva a lei nella mia testa succedeva qualche cosa che io lo sapevo cosa sarebbe successo dopo. Fu così che un paio di giorni dopo quando al mio compagno di classe Ignazio ci arrubbano le figurine e lui si lamentò con me io nella mia testa visti la maestra trovarle nella tasca del grembiule di Ciccio, il figlio del farmacista, e questo fatto però avvenne solo a fine giornata che io non potevo saperlo prima. E anche quando Sara se ne andò a studiare a Giarre io lo vidi nascere quel bambino che ci sarebbe cresciuto nella panza e che non era mio anche se poi me la maritai lo stesso a quell’angelo. Oppure quando stavo per partire per l’Africa che la nave era pronta a Palermo io lo visti la fine che faceva arrivata nell’oceano e arristai a casa e mi misi a chianciri che lo sapevo che nessuno mi avrebbe creduto.
Insomma avvocato io mi sono trovato a sapere tante cose e tante volte queste cose non le ho mai potuto dire e altre invece mi sono servite nella vita che a scangiare il bene con il male ci vuole picca se la verità non la si conosce. E anche ora avvocato io ci voglio dire che quel mischino che lei ha fatto condannare io lo so che non l’aveva ammazzata lui a sua moglie. Quello purazzo si era solo innamorato che anche lei ci voleva bene e si erano iniziati a vedere senza fare male a nessuno. Neanche a lei e ai suoi intrallazzi che a loro non ce ne fotteva niente di soldi e di potere. Solo che lei avvocato quando lo ha scoperto non ci poteva passare sopra che gli amici allora non lo avrebbero più preso sul serio. Che dire? Accussì certe volte vanno le cose della vita solo che io lo so, l’ho saputo quando visti la mischinazza, prima di moriri, chianciri a casa di mia moglie Sara che lei, mia moglie, ci faceva le suvvizze e l’aiutava alla sua signora.
Ecco ora che sono morto e che lei lo ha letto questo foglio io ci vulissi dire che quel dolore che sente al petto è il cuore e che tra poco ci conosceremo meglio, ma forse questo non glielo dico che poi lei ci potrebbe anche credere e magari si scanta. La saluto, saluto tutti.
In fede,
Cusumano Filadelfo di fu Cirino
Io me ne accorsi solo per caso di questa cosa che poi ci vosi tempo per capirlo davvero.
Il fatto è che quando ci diceva a lei nella mia testa succedeva qualche cosa che io lo sapevo cosa sarebbe successo dopo. Fu così che un paio di giorni dopo quando al mio compagno di classe Ignazio ci arrubbano le figurine e lui si lamentò con me io nella mia testa visti la maestra trovarle nella tasca del grembiule di Ciccio, il figlio del farmacista, e questo fatto però avvenne solo a fine giornata che io non potevo saperlo prima. E anche quando Sara se ne andò a studiare a Giarre io lo vidi nascere quel bambino che ci sarebbe cresciuto nella panza e che non era mio anche se poi me la maritai lo stesso a quell’angelo. Oppure quando stavo per partire per l’Africa che la nave era pronta a Palermo io lo visti la fine che faceva arrivata nell’oceano e arristai a casa e mi misi a chianciri che lo sapevo che nessuno mi avrebbe creduto.
Insomma avvocato io mi sono trovato a sapere tante cose e tante volte queste cose non le ho mai potuto dire e altre invece mi sono servite nella vita che a scangiare il bene con il male ci vuole picca se la verità non la si conosce. E anche ora avvocato io ci voglio dire che quel mischino che lei ha fatto condannare io lo so che non l’aveva ammazzata lui a sua moglie. Quello purazzo si era solo innamorato che anche lei ci voleva bene e si erano iniziati a vedere senza fare male a nessuno. Neanche a lei e ai suoi intrallazzi che a loro non ce ne fotteva niente di soldi e di potere. Solo che lei avvocato quando lo ha scoperto non ci poteva passare sopra che gli amici allora non lo avrebbero più preso sul serio. Che dire? Accussì certe volte vanno le cose della vita solo che io lo so, l’ho saputo quando visti la mischinazza, prima di moriri, chianciri a casa di mia moglie Sara che lei, mia moglie, ci faceva le suvvizze e l’aiutava alla sua signora.
Ecco ora che sono morto e che lei lo ha letto questo foglio io ci vulissi dire che quel dolore che sente al petto è il cuore e che tra poco ci conosceremo meglio, ma forse questo non glielo dico che poi lei ci potrebbe anche credere e magari si scanta. La saluto, saluto tutti.
In fede,
Cusumano Filadelfo di fu Cirino
... zazzamite e suggiteddi?
RispondiEliminaLucertole e topolini :-)
RispondiEliminaNon ci sarei mai arrivata... Lusertla e pundeg...
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