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19/06/10

[revisioni] Diario, lividi sparsi -Fine-

E' domenica mattina.

L'ufficio è ancora deserto. Il lungo corridoio ha solo pochi oblò di luce e un grande silenzio. Affiori come fossi stata lì da sempre ad aspettarmi. Come se avessi già saputo. Non avrei voluto incontrarti così. Non ora, ma sei qui e io non posso, non voglio, mostrarti ancora la mia resa.
"Anche tu poco sonno?"
"Sì, ciao. Funziona già il server? Puoi tirare fuori la lista dei fornitori?"
"Te l'ho già data ieri, ricordi?"
"Certo. Sì, sì, è vero, grazie! Io sono nella mia stanza, allora."
"Ok. Debbo passarti tutte le telefonate?"
Sai benissimo che non è così. Sai benissimo con chi non voglio parlare.
"Si. Grazie. A più tardi."
"Vuoi un caffè?"
Stronza.
"No."

Annuisco. Mi riprometto di parlartene stanotte. La chiave di casa cade morbida dentro la tasca. Sento lontano il tuo saluto. La porta è già chiusa. Stanotte.

Infreddolita mi guardi. Alla finestra i colori si fanno più vivi. Peccato sia tardi, peccato dover andar via, anche perchè la stanza è proprio carina  mi dico. Dovremo tornarci un giorno. Dovremo.
"Sognavo noi due. Tu che dormivi"
Ti stringo e non parlo, poi mi baci prima di tornare a essere uno.

Osservo Ersilia al lavoro. I suoi occhi corrono sul bordo del racconto. Il mio, suppongo.
Ogni tanto una sosta, una smorfia del viso.
"Un'accetta! Datemi un'accetta! No! Non si può così!"
Ride. Fissa lo sguardo sulla mia cravatta, poi riprende.
"Odio affogare tra lacrime e nuvole"
"Scartalo" le propongo.
"E' il tuo!" risponde.
Ridiamo.

I bimbi camminano volando. Lo vedi dalla fatica che fai, dal loro inventare, dal tuo iniziare a non capire. Ci sei anche tu e il prato ha guance rosse e vocine assordanti. Pianti, anche, e macchie di gelato sulla pelle verde. Ma non è più tempo di rincorrersi adesso. Lo spettacolo dei burattini inizia e finalmente non hai, non hanno, occhi che per quello.

Ogni tanto riaffiora un compleanno e, a turno, la ricerca del numero giusto.
"Cheffa' vieni?"
Ho detto tante di quelle volte no che forse mi convinco ad andare. Sì! Vado.
Caldo. Auguri. Abbracci.
"E tu come stai?" " E tu cosa fai?" "E tu come vivi?"
Baglioni impera tra quei brutti ricordi instillati che mai penseresti di possedere, che non ti interessa possedere.
Una voce, sconosciuta, alle spalle: "Lei non c'è! La cercavi, vero? ".
Non ci avevi pensato, ma sì, avrebbe potuto anche esserci. Epperò lei non c'è.
Meglio così, meglio così.

Guardiamo la partita. Ad un tratto arriva l'illuminazione, mi guardi cercando in anticipo la mia approvazione, poi parli:
"Papà, sono proprio bravi questi turchesi, non è vero?".
Sorridendo faccio di sì con il capo. Ho sempre amato il turchese, forse un po' più il rosso.

E' domenica mattina.

13/06/10

[revisioni] Diario, lividi sparsi -2-

E' domenica mattina.

Ho ritrovato il tuo libro tra le lettere, dentro uno scatolone giallo. La copertina ocra rimanda a un sogno non fatto, a una frase mai detta. Non ho neanche provato a sfogliarlo, non è necessario.

Ho conservato di me, della mia storia, per lungo tempo quello che ho potuto, senza senso logico, senza partecipazione. Come spiegare a se stessi che ci si vuole "tramandare"? Poi ho distrutto ogni cosa. Con cura ho strappato fogli, tagliuzzato immagini. Tutto, poi, è stato bruciato. Tutto è tornato polvere.

Allora, quando me lo regalasti, finsi di non conoscere il tuo desiderarmi. Io cercavo solo di spingerti verso la "logica", la "scienza" esatta del materialismo, tu sorridevi e mi mostravi un mondo che non conoscevo, che non credevo potesse esistere. Innegabile il fatto che tu abbia vinto. Nelle tue parole, nei tuoi gesti ho assaporato la grazia della sconfitta, la dolce narcosi del perdente, e me ne sono innamorato. Come di te del resto.

Una bottiglia esplode in mille lucidi pezzi. Ho mancato la mira, eppure una fiammata illumina la via, traccia il nero acciottolato cittadino. Il "nemico" s'allontana di corsa fuori dalla portata del mio rancore, gli altri sono già scappati nel momento stesso in cui si sono accorti del nostro essere già pronti allo scontro. Il teatro è già pronto per la prossima recita.

I nomi di coloro che mancano a volte t'inseguono e scegli, impietoso, di farne bandiera od accarezzi, cieco, il loro ricordo. L'elenco degli uccisi divenne ogni giorno più lungo, ad esso subentrò, a poco a poco, quello di chi decideva d'andarsene con un buco, un lavoro lontano, la casuale morte. A chi rimaneva restava un liquido se stesso.

"Sai penso che potremmo vederci oggi con gli amici... dobbiamo discutere del viaggio... potremmo anche uscire dopo... Luisa mi ha detto che viene... hai voglia d'andare al cinema?".
Scruti le mie pause a caccia del mio imbarazzo. Ti volti. Ti sposti richiamata da un miagolare tenero, per poi ritornare e sezionare il mio viso contrariato. Avrei voglia di darti della puttana, sorrido e cerco di baciarti. Forse lo penso soltanto. Ritrovo i tuoi occhi sopra i miei, ma sei già lontana.

Francesca sembra scomparsa. Vorrei farmi perdonare. Le vorrei chiedere scusa. Nessuno sembra più averla vista, sentita. Poi l'incontro vicino casa. Il suo seno pieno sembra sorridermi dalla camicia. Lei però mi supera ignorando il mio saluto. Non so se la riavrò. Mi fermo fino ad accompagnare il suo sparire. Ho tutto il tempo per pressare la sigaretta tra le dita, per cercare qualcosa con cui accendere la cicca, poi torno ad incamminarmi verso casa.

Luigi mi passa la canna. Lui ha un aspetto strano. I tratti plebei cozzano con i riccioli biondi, gli occhi azzurri. La prima volta che lo conobbi rimase in silenzio sino alla fine della serata, poi iniziò a parlare. Ricordo che tutti noi lo seguimmo sempre più attenti, sempre più stupiti. Forse per questo è riuscito a conquistare Anna... e me.

Ancora una sigaretta. Ancora senza lavoro. Cerco di sforzare la mente per avere l'Idea. Un'idea suprema che mi permetta di vivere con un mucchio di soldi. Novello Troisi mi accingo ad avvicinare a me, con il pensiero, "Il Capitale".

La tv è accesa. Dalla mia stanza individuo solo i jingle più noti. Nient'altro. Sono arrivate le prime giornate di sole, la camicia brucia sotto il maglione pulito. Forse solo perché debbo incontrarti. Forse solo perché non ne ho voglia.

Ho rivisto Anna. Seduta. Su un bus in attesa. Vetri sporchi e poca luce. Ho accelerato il passo.
In un triangolo ogni lato è sempre minore della somma degli altri due e maggiore della loro differenza. L'esattezza euclidea ha ucciso il suo ricordo.

Ersilia ha grandi occhi ed una moto nera. Le sue gonne nascondono poco al mondo, una vecchia cicatrice dietro i primi pizzi, il profumo della pelle rasata, la passione per la Cina. Ersilia mi ha scelto. Mi ha dato un collare e la libertà di giocare.

Spingi la mia testa fra le tue cosce. Chi serba serba al gatto, ripeti. Anche qui. Anche ora. Chi serba serba al gatto, e sospiri, e spingi. Solo quando inizi a tremare ti fermi.

Appena fuori città. La birra costa meno. Ci si può permettere una fantasia di supplementi sulla Margherita poco cotta. Anna taglia la pizza a fette sottili, alternando i passaggi fino a formare una stella. Luigi studia il punto d'attacco, in silenzio, poi mangia in fretta per paura che freddi. Francesca gioca col bordo. Per lei niente crosta, e tanti avanzi sul piatto, alla fine.

E' domenica mattina.

08/06/10

[revisioni] Diario, lividi sparsi -1-

E' domenica mattina.

Indossi una gonna sdrucita, sandali indiani. Potresti passare per una hippie fuori tempo o per una zingara dai buffi e inadeguati tratti borghesi. Non posso fare a meno di osservarti mentre mi lanci quel solito tuo sguardo a indagare. E' il corpo la tua forza, il resto rimane solo un inutile orpello, buono per consentirti di confonderti tra la gente, per confondere se vuoi. E' il corpo, sono le spalle scolpite dal nuoto, i fianchi adolescenti, il ventre da baciare. Sono i tuoi denti, le pieghe morbide del collo, il lungo paradiso della schiena. La tua mano ora stringe la mia con preoccupazione. Ci abbracciamo ma restiamo in silenzio, chè a poco servono le parole.

Aprendo la busta sapevo già che avrei dovuto cercarmi un nuovo lavoro. Ci dispiace... A norma della legge... In data odierna... . Ho cercato di tornare a dormire. Ho bevuto un caffè. Ho urinato. Ho telefonato all'avvocato sindacalista. Ho guardato la tele. Ti ho evitato. Ho chiuso gli occhi, il mondo.

Anna mi guarda. Leggiamo insieme un libro di Doblin. A turno le nostre voci si confondono sulle pagine fitte di un disastro umano. Arrossisco quando, all'improvviso, inizia a cantare. La sua voce s'infrange sulle mie labbra mentre le sue mani mi cercano. La casa è vuota. Un grido a stento soffocato, un mordersi le labbra. Rimaniamo due estranei che si amano, corpi affamati che si cercano.

Il corpo mi duole. Due ore di pesi, una fatica incessante, beata assenza di pensieri "alti". Riconosco Francesca dall'odore della pelle, un profumo forte, ricco d'oriente e argenti. Il piccolo gioiello che le ho regalato luccica incastonato tra i seni, vezzeggiato da lucide perle di sudore. Vorrei possederla qui. Vorrei penetrare in lei allargando le sue gambe su una di queste macchine ridicole, fare di questo luogo uno di quei pessimi set di film porno a basso budget. Lo sfigato, l'attrice infoiata, il regista inutile.

L'impossibilità d'emozionarsi è divenuta il cruccio maggiore. Coltivi il nulla, speranzoso che cresca e t'ingoi.
Il tuo silenzio, il tuo agire con assoluta padronanza ignara di niente altro che non sia il tuo desiderio. Questo di te mi emoziona e mi impaurisce. Ascolto il concerto e mi chiedo quanto io sia pronto per la tua libertà. Tu applaudi, balli, mi sento quasi escluso ma ritengo sia giusto così. Poi ti volti e mi guardi, sono sicuro che riesci a leggere tutto di me e vorrei nascondermi un po' ma tu sorridi e m'arrendo.

Un giorno come un altro. Passeggio con spavalderia sulle ombre. Tante bottiglie, tanta gente. Mi racconti il tuo amore per lui e non mi eviti neanche la pena dei particolari. Vorrei fermarti. Continuo ad ascoltarti.
Sogno, ad occhi chiusi, d'accarezzare il tuo corpo aprendomi con le dita un varco tra le pieghe umide del tuo ventre, dentro il rosa hollywoodiano del tuo culo. Hai deciso di partire per la Francia. Non ci vedremo per tutta l'estate. Resisterò? Resisterai?

La caccia al lavoro procede senza sosta. Le prime ore della mattinata impiegate per le telefonate, l'invio dei curricula. A volte gli incontri con i potenziali padroni. "Ha già lavorato in questo settore?". "E' sposato?". "Avevamo pensato ad una donna, sa è una questione d'immagine". "Non possiamo offrirle di più, la crisi... ci dispiace". "Abbiamo già fatto la nostra scelta, non abbiamo avuto il tempo di avvertirla".

Chiamo Francesca. Cattivo e scortese la scopo in macchina a 100 metri da casa sua. I jeans appena abbassati, la sua gonna spinta sul ventre, gli slip scostati. Il suo passivo silenzio mi rende ancora più nervoso. Le urlo di muoversi. Vengo. Lei scosta decisa il mio corpo. Si asciuga lanciandomi poi addosso il fazzolettino appallottolato. Chiudo gli occhi. Lo scatto della portiera mi fa rendere conto che è già scesa dall'auto. Mi rannicchio sul sedile in cerca del suo odore, in cerca.

Tra corpi sconosciuti  t'osservo. Bevi un miscuglio rosso che dovrebbe ricordare una sangria (l'ho bevuto anch'io) poi inizi a muoverti al ritmo di un lento sudamericano. Ti chini per allacciare con indifferenza le scarpe (sai che ti guardo) poi riprendi a ballare scordando l'effetto che fai.

E' domenica mattina.