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19/03/18

I Tomasello [6]


Ora cè da dire ca Nino è una brava persona. Un cristiano bonu. Lui non ce la farebbe a fare una malaparte a qualcuno. Macari che questo qualcuno è uno che tutti lo sanno che cerca di fotterlo sempre al prossimo. Uno come a Iano insomma. Nino in queste occasioni preferisce sparire. Non farsi trovare. Diventare invisibile. Quella volta invece quello laveva fregato che allora lui mai ci sarebbe passato dal bar.
I due niscirinu sulla strada. Iano pareva tutto contento. Fatti pochi passi sunau a una fila di campanelli e trasirunu in un portone di quelli antichi.
Il palazzo era stato rifatto e il cortile interno era divintato strittu e scurusu dombra. Un tempo ci doveva essere stato un giardino in quel posto e ora invece apparivano a una decina di metri i balconi di un palazzo di quelli moderni. Di quelli fatti in fretta di notte o scuru. Un pugno in un occhio insomma.
Della vecchia gloria di quel cimelio cerano rimaste però le due grandi scale. Una a destra e una a sinistra. Con i gradini tutti manciati dal tempo e il marmo delle statue dingresso a inchiri locchi.
“Arrivamu” ci disse Iano fatta la prima rampa di scale. Erano davanti a una porta nicuzza.
“Sarà stata la casa del purtinaro” pensò Nino preparandosi a entrare.

Fonte immagine: Antonio Berni, La siesta y su sueño, 1932

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