E' il primo gennaio: 10 ore, quattordici minuti e trentasette secondi dopo la mezzanotte. Sono sveglio, lo sono da circa quattro ore poiché erano le sei, tre minuti e ventisette secondi quando ho sentito i primi rumori e ho aperto gli occhi e cazzo stava solo sognando e la stanza era la mia stanza, il letto il mio letto e anche la macchia sul soffitto era la stessa e il fascio di luce dell'orologio spezzava ancora i colori sul muro e quella cazzo di vicina continuava a pulire, a sbattere i tappeti, a spostare i mobili come ogni giorno, come ogni anno, come sempre. Ore sei di un fottutissimo giorno qualunque.
Il letto rimanda il mio odore e il cuscino a terra ha piccole macchie di sangue e saliva. Chiudo gli occhi. 10 ore, sedici minuti e quarantacinque secondi. Ho freddo, indosso in fretta la felpa e la tuta e vado a preparare il caffè. Nel frigo la miscela si conserva bene. Un leggero profumo nell'aria prima di mettere la moka sul fornello e correre a pisciare. Cosa stavo sognando? Non ricordo mai i sogni, non che me ne dispiaccia molto, evito in questo modo fantasie e deliri, ma a volte vorrei sapere, non trovarmi come ora con un'eiaculazione notturna senza poter ringraziare nessuno, senza sapere se eri tu.
"Che fretta c'era..." canticchio dietro la voce di una cover della Goggi trasmessa sulla radio digitale in tv e cerco i biscotti, "...maledetta primavera" sono rimasti solo quelli dell'ultimo viaggio a casa, quelli a forma di esse, quasi tutti spezzettati, briciole. Ricordo, li ho scartati tutti in questi giorni e "Che fretta c'era..." non importa, n o n i m p o r t a. Afferro la busta di plastica e verso in bocca il contenuto prima del caffè, prima di scottarmi, ancora una volta, ancora. "...lo sappiamo io e te".