vigilare

Arreri a vanedda cè na casuzza ruvinata.

Arreri a casuzza na grutta

e ni sta grutta ncristianu.

Ci teni a ddisa dà intra, stu purazzu.

U so tisoru.


Ogni tantu u talia,

du so travagghiu sfurtunatu,

e saddumanna su farini crinu o corda.

Su dommiri na notti,

su dommiri pì sempri.


Arreri a vanedda, a casuzza, a grutta,

ci sta u paisi, a città, u munnu.

E arreri u munnu ci stà un Cristu,

allalatu.

The show must go on?

A picciridda chianci e camina, 

non parra. 

Furia a testa a circari qualcosa, qualcuno, 

senza mai truvari.

È dà, arreri u vitru. A viru. 

È luntana e però, no sacciu picchì,

ne me pinseri pari attagghiu ammia.


Iu,iu na stu tavulu assittatu 

iu, ca mi lamentu e cacu,

iu ca manciuliu civili 

munnizza, do supermercatu,

iu no sacciu caia fari:

astutari a televisioni, santiari,

parrari di palluni, babbiari...


Futtitinni, mi rici, su tutti malvagi.

Ma su chiuru locchi,su tascutu,

saccumenciu a cririri e to minchiati,

comu fazzu chiu a taliarimi o specchiu?

A viviri? A campari?

Nesciri, nesciri ne stradi,

riri ci sugnu, do picca accuminciari. 

Jacques Werup - Il lavoro

Ci piace quel presagio

di morte che ci coglie

nel viaggio verso casa dal lavoro.

Il volto allora muta: questo si vede

dal mio volto ugualmente cambiato

che d’un tratto se ne sta più comodo

quando penso: anch’io, fra poco.

Una volta in una grande città ne parlai

con uno che visse per poco ancora.

Attraversammo una grande piazza,

fra resti di penne di piccioni

i nostri dolori lasciarono dei segni

sul terreno umido

alla fine del quale le case

sembravano scogliere di pioggia.

Nel separarci ci sembrò di essere molti

che tornavano a casa, ognuno alla sua,

dopo un lungo discorso. Il tribuno incomprensibile.

Il treno mi prese. Nel tempo sprofondò la città.

E ora quando dormo dopo il lavoro

vedo quella piazza.

E quando non so più chi vede la piazza

so che sto dormendo.

Forse è così morire, o forse è più come il lavoro.


Fausto Amodei (Torino, 18 giugno 1934 – 18 settembre 2025) - Canzone della marcia della pace

E se Berlino chiama

ditele che s'impicchi:

crepare per i ricchi

no! non ci garba più.

E se la Nato chiama

ditele che ripassi:

lo sanno pure i sassi:

non ci si crede più.

Se la ragazza chiama

non fatela aspettare:

servizio militare

solo con lei farò.

E se la patria chiama

lasciatela chiamare:

oltre le Alpi e il mare

un'altra patria c'è.

E se la patria chiede

di offrirgli la tua vita

rispondi che la vita

per ora serve a te.

Babbasuni - 1, 2 -

Nella putia non c'era tanto spazio, ma i tavoli erano puliti e il vino buono e poi a cucinare c'era la signora 'Nzina che tutti lo sapevano che le cose sue non si putevano livari dalla ucca. Daniele si pigghiau un piatto  di pasta che masculini e il finocchietto rizzo e un bicchiere di vino macari. Si parrau, sarririu, si fici scuru. 

Iano e Daniele niscenu soddisfatti salutando gli amici. L'aria era frisca e la luna arrireva come a confortarli. 

Fu un attimo. Una machina arrivò a tutta velocità proprio dietro all'angolo della putia e Daniele non si ricordò più niente. Quando apri gli occhi di novu era circondato da una decina di persone. C'era anche Iano che lo taliava tutto preoccupato. Lui non capiva cosa stava succedendo. Si alzò da terra e si scutulò i pantaloni che erano tutti impolverati. La machina era ferma contro il muro. Aveva una botta davanti come se fosse andata dritta contro un palo. 

"Come ti senti? " ci spiò Iano, ma subito senza aspettare la risposta "Comu ciarriniscisti?" chiese. 

Alfredo non sembrava capirlo poi si ricordò che per difendere l'amico si era abbiato addosso alla machina ma lì i ricordi si fermavano.

"Bene, bene" rispose. 

Gli altri non dicevano niente che forse non avevano capito quello che era successo o forse erano solo contenti ca du carusu si era susuto senza danni. Sulu un cristiano lo guardava dall'altro lato della strada sorridendo e ora si stava dirigendo verso di lui. 

Effetto soglia

 Poi succede così,

che le cose sfuggono,

che gli  aerei all’orizzonte partono

e si alzano, si alzano

fino a sparire

lì dove si confonde il cielo.

Succede così,

che lo yogurt è già scaduto,

il limone si è ammuffito,

la piccola sveglia non suona più.

La batteria pensi,

e sai già che non la cercherai,

non la comprerai.

Perché succede così.

E si rimane in attesa

di una striscia rossa 

ad annunciare l’alba,

di un suono, di una canzone.

Avviso inutile

Non ci vuole molto,

nella memoria degli altri,

a sparire.

Forse solo quel tuo vuoto affanno,

quell’insignificante bisogno,

di apparire.

Prosecco


Cazzo sono ubriaco e scrivo

perché non so far altro 

perché è questo il mio modo 

di trovarmi, di trovarti.

Cazzo sono ubriaco e scrivo

e non me ne fotte niente di passare per coglione

che non è altro, che non è questo

il senso del mio dolore.

Sono ubriaco e scrivo

lascio a questo inchiostro,

al colore,

un senso, uno spazio,

il mio mondo che muore.

Memoria

Non so cosa ci sia dentro i ricordi.

Il piccolo fotogramma da salvare?

Un proustiano evidenziare?

La brusca delusione? L’amare?

Gran parte di essi mi sfuggono,

nello stesso attimo in cui,

per un momento, altri si aggiungono.

Fugaci onde da catalogare.

Cosi procedo, novello Orfeo,

e il mio sbirciare diviene solo stupore

per questo perenne dimenticare.

Detox

Quanto tempo passa

per disintossicarsi da un amore?

Un amore di quelli a lungo corso,

un amore allegro, triste, 

come tutti gli amori 

un amore un po’ speciale.

Sarà come smettere di fumare?

Sarà necessario il circolo anonimo

dove piangere e raccontare?

Sarà uno strappo alla memoria?

Il cerotto da tirare?

Quanto tempo passa, mi domando.

Quanto ancora dovrà durare?

Dal balcone l’orizzonte 

è proprio lì dove finisce il mare.