Partiamo da una certezza, la più ovvia di tutte: l'amore è dentro il mondo. Ma se è dentro il mondo, deve necessariamente essere anche parte del suo racconto.
E la parte di un racconto è racconto essa stessa. Ecco allora, se l’amore è racconto, deve sottostare almeno alle regole basilari d’ogni narrazione.
Caratteristica d’ogni narrazione è la necessità di spazio. Non c’è storia senza spazio.
Cos’altro è una storia, se non un vuoto che viene riempito? Una pagina bianca che viene scritta? un personaggio che va ad occupare mondi immaginati? una trasformazione, una metamorfosi che muove sviluppandosi da A fino a B?
Ora non voglio far diventare queste poche parole che dovevano essere sull’amore parole sulla narrazione, ma non posso fare a meno di dare seguito al mio ragionamento: sento che ha un suo perché.
Sempre più spesso vedo amori ingombranti, che si trascinano con fatica di anno in anno.
Questa idea mi aiuta a chiarire: quando la sovrapposizione è perfetta, quando ogni riga è stato scritta, quando ogni angolo del foglio è stato riempito, quando il personaggio ha realizzato tutte e dodici le sue fatiche, non c’è più possibilità per nessuna forma di racconto. Quanto tutto è compiuto è terminato anche lo spazio. Ed è vero il contrario. Quando non c’è più spazio: tutto è compiuto. Vale per ogni racconto. Bene, allora deve valere anche per l'amore. Quando ci appiccichiamo, quando colmiamo per intero la distanza, quando ci sovrapponiamo. Quando non siamo semplicemente vicini – intimi – ma attaccati uno all’altro, quando non esiste più uno spazio seppur minimo per il movimento, allora non esiste più alcuna possibilità di relazione.
Manca il tempo per lo stupore.
Tutto diviene fermo. Inalterabile. Già raccontato.
Ecco, all’amore evidentemente questo duole.
Come al racconto.
E duole anche a me. Perché molta, troppa gente vedo appiccicata, soffocata dentro una relazione che non può più essere tale, perché privata di qualunque distanza. Abitata in ogni sua minima parte.
Soffocata e soffocante.
Gaber direbbe: obesa.
Una relazione che ha straripato oltre il suo corpo, oltre il suo spazio. Una relazione che non ha più possibilità di dialogare, perché non ha più un luogo seppur piccolo dove posare parole nuove.
Una relazione che i proprietari ancora si sforzano di chiamare amore, ma non lo è più. Perché l’amore è racconto. E il racconto vive nella continuità di un cambiamento. Nella possibilità di un nuovo inatteso stupore.
Il racconto può esistere solo nell’occasione meravigliosa che offre un rigo che tiene viva ancora la sua parte di bianco.
Non c’è tempo per lo stupore senza uno spazio.
E dove non c’è spazio, non c’è più amore.
Un bravo narratore lo sa: è il momento di scrivere a quel racconto la parola fine.
Fonte: Eco-Sapere (Via vai di parole per una conoscenza eco-logica ) di drfani