«Sono figlio di un ex operaio Ilva, non un operaio a caso, mio padre. L'ultimo del mondo. Sono figlio dell'ultimo del mondo. Io sono un traditore. Sono un reietto. Come Bruto ho ucciso mio padre. L'ho ucciso con il silenzio. Caino me. Mio padre aveva tre figli, io l'unico maschio, ultimo a nascere». Questa la lettera letta da Pierfrancesco Favino (il Giuseppe di Vittorio della fiction recentemente trasmessa dalla rai, sulla storia del padre della Cgil) dal palco del Circo Massimo, in occasione della manifestazione della Cgil, di Roberto Romano, figlio di un operaio morto sul lavoro, scritta il 13 dicembre 2008 per l'anniversario della tragedia alla ThyssenKrupp. «Secondo Riva a me spettava un posto di diritto in fabbrica. Per me il destino era scritto», mio padre «da buon operaio, padre di famiglia, voleva per il suo unico figlio maschio il riscatto sociale, voleva una carriera all'avanguardia. Mi diceva: studia, impegnati, costruisci il tuo futuro perchè nessuno qua ti da niente. Perchè il futuro si costruisce sporcandosi le mani. Mi diceva di non arrendermi perchè all'Ilva non c'era neanche il padre eterno a difenderti». «Sì, mio padre era cattolico, praticante - si legge ancora nella lettera - Io prima ci credevo. A ventitre anni con una moglie e un diploma di perito industriale il suo futuro era segnato. Come era segnata la nascita, un anno dopo, della sua prima figlia. Lavorare all'Ilva era l'unica soluzione. Operaio. In fondo alla società per diritti e protezione ci sono gli operai. Lui aveva molti doveri ma pochi diritti. Aveva il dovere di proteggere la sua famiglia, sfamandola, educandola, aveva il dovere di non scioperare perchè lo sciopero significava portare a casa meno soldi perchè, dopo quasi tre anni mio padre volle assieme a mia madre concepire un figlio, la fortuna ne diede due: mia sorella e me. Perchè avere due gemelli significava doppio lavoro, significava visite pediatriche doppie, ogni volta che ci si ammalava ci si ammalava in due, ogni volta significava andare in farmacia e lasciare una settimana di lavoro. Ma in famiglia non si era in due ma in cinque».
Fonte: ioballodasola