Fausto Amodei (Torino, 18 giugno 1934 – 18 settembre 2025) - Canzone della marcia della pace

E se Berlino chiama

ditele che s'impicchi:

crepare per i ricchi

no! non ci garba più.

E se la Nato chiama

ditele che ripassi:

lo sanno pure i sassi:

non ci si crede più.

Se la ragazza chiama

non fatela aspettare:

servizio militare

solo con lei farò.

E se la patria chiama

lasciatela chiamare:

oltre le Alpi e il mare

un'altra patria c'è.

E se la patria chiede

di offrirgli la tua vita

rispondi che la vita

per ora serve a te.

Babbasuni - 1, 2 -

Nella putia non c'era tanto spazio, ma i tavoli erano puliti e il vino buono e poi a cucinare c'era la signora 'Nzina che tutti lo sapevano che le cose sue non si putevano livari dalla ucca. Daniele si pigghiau un piatto  di pasta che masculini e il finocchietto rizzo e un bicchiere di vino macari. Si parrau, sarririu, si fici scuru. 

Iano e Daniele niscenu soddisfatti salutando gli amici. L'aria era frisca e la luna arrireva come a confortarli. 

Fu un attimo. Una machina arrivò a tutta velocità proprio dietro all'angolo della putia e Daniele non si ricordò più niente. Quando apri gli occhi di novu era circondato da una decina di persone. C'era anche Iano che lo taliava tutto preoccupato. Lui non capiva cosa stava succedendo. Si alzò da terra e si scutulò i pantaloni che erano tutti impolverati. La machina era ferma contro il muro. Aveva una botta davanti come se fosse andata dritta contro un palo. 

"Come ti senti? " ci spiò Iano, ma subito senza aspettare la risposta "Comu ciarriniscisti?" chiese. 

Alfredo non sembrava capirlo poi si ricordò che per difendere l'amico si era abbiato addosso alla machina ma lì i ricordi si fermavano.

"Bene, bene" rispose. 

Gli altri non dicevano niente che forse non avevano capito quello che era successo o forse erano solo contenti ca du carusu si era susuto senza danni. Sulu un cristiano lo guardava dall'altro lato della strada sorridendo e ora si stava dirigendo verso di lui. 

Effetto soglia

 Poi succede così,

che le cose sfuggono,

che gli  aerei all’orizzonte partono

e si alzano, si alzano

fino a sparire

lì dove si confonde il cielo.

Succede così,

che lo yogurt è già scaduto,

il limone si è ammuffito,

la piccola sveglia non suona più.

La batteria pensi,

e sai già che non la cercherai,

non la comprerai.

Perché succede così.

E si rimane in attesa

di una striscia rossa 

ad annunciare l’alba,

di un suono, di una canzone.

Avviso inutile

Non ci vuole molto,

nella memoria degli altri,

a sparire.

Forse solo quel tuo vuoto affanno,

quell’insignificante bisogno,

di apparire.

Prosecco


Cazzo sono ubriaco e scrivo

perché non so far altro 

perché è questo il mio modo 

di trovarmi, di trovarti.

Cazzo sono ubriaco e scrivo

e non me ne fotte niente di passare per coglione

che non è altro, che non è questo

il senso del mio dolore.

Sono ubriaco e scrivo

lascio a questo inchiostro,

al colore,

un senso, uno spazio,

il mio mondo che muore.

Memoria

Non so cosa ci sia dentro i ricordi.

Il piccolo fotogramma da salvare?

Un proustiano evidenziare?

La brusca delusione? L’amare?

Gran parte di essi mi sfuggono,

nello stesso attimo in cui,

per un momento, altri si aggiungono.

Fugaci onde da catalogare.

Cosi procedo, novello Orfeo,

e il mio sbirciare diviene solo stupore

per questo perenne dimenticare.

Detox

Quanto tempo passa

per disintossicarsi da un amore?

Un amore di quelli a lungo corso,

un amore allegro, triste, 

come tutti gli amori 

un amore un po’ speciale.

Sarà come smettere di fumare?

Sarà necessario il circolo anonimo

dove piangere e raccontare?

Sarà uno strappo alla memoria?

Il cerotto da tirare?

Quanto tempo passa, mi domando.

Quanto ancora dovrà durare?

Dal balcone l’orizzonte 

è proprio lì dove finisce il mare.

trasferimenti

Questa città ca è bellezza

questa città  ca è  munnizza

questa città ca futti e veni futtuta

questa città unni si fa tuttu a muta muta

questa città ca elemosina

questa città carriala

questa città ca voli, pretendi

questa città ca caula i causi davanti ai potenti

questa città di acqua, focu, suli

questa città ca mi scassa i cugghiuni

questa città senza chiù catanisi

questa città ca tuttu u munnu è paisi

questa città ca vannia prepotenti

questa città ca non cunta nenti

questa città delle cortesie allamici

questa città ca ta scantari pi zoccu rici

questa città ca amu e schifiu

questa città unni nascii iu.


Babbasuni - 1,1 -

Ci piaceva iri alla posta, macari se c'era sempre confusione che uno almeno un'ora ce la perdeva se andava ritta. Il motivo era semplice che alla posta ci travagghiava Crocifissa, una carusidda niciula niciula che però non ci assumigghiava al suo nome e ci piaceva divertirsi che nel paese le fimmine la sparravunu e i masculi si vantavano.

Daniele ogni vota la guardava da lontano assittatu con il numero nelle mani che non ci levava gli occhi di dosso, ma poi quando era il suo turno accuminciava a confondersi e cercava di fare quanto più presto possibile. Crocifissa ci sorrideva e più lei lo faceva e più u carusu ci pareva di moriri. Anche ora fu accussì.

Fatto quello che andava fatto Daniele pensò che forse visto che era nella stessa strada della posta poteva fare visita a Iano u chianchieri. Certo non ci faceva molto piacere che quello non lo trattava bene e su capitava lo pagava solo con tannicchia di carne attaccata alle ossa che lui doveva ittari.

Quel giorno però Iano era di buon umore e accussì appena Daniele trasiu nel negozio ci rissi:

"Che bella novità! Attia stavo pensando! Sei libero? Ma runi una mano oggi che devo preparare centu chili di sasizza per stasera?"

Daniele non si fici priari. Qualcosa ci sarebbe uscito e il lavoro era facile. Accussì si puliziau, si misi u mantali e iniziò con impegno. 

Iano cominciò a luvari la carne dalle ossa e a tagliarla prima di passariccilla. Daniele aveva il compito di macinarla insieme al grasso. Ogni tanto Iano si fermava per qualche cliente o per una sigaretta e Daniele ne approfittava per assaggiare tannicchia di zuzzu che lui era licco di quella squisitezza sapurusa. Passau quasi tutta la matinata che ancora ce ne era da fare. Ora bisognava preparare l'impasto. Sale, pepe nero, semi di finocchietto e tanta forza per ammiscari prima di inchiri u budellu e legarlo con lo spago. Il lavoro fu fatto preciso e i caddozzi ca niscenu erano una opera d'arte.

Tutti impegnati come erano parranu picca mentre travagghiavano, ma finita ogni cosa Iano volle a tutti i costi che Daniele issi cu iddu a bere qualcosa nella putia. Non era mai stato un grande bevitore Daniele che subito il vino ci dava alla testa, ma non poteva dirici no a quell'invito. Eppoi era gratis e ci nisceva macari la cena.

Babbasuni - 1 -

Appena calava la notte Daniele Acquaforte si trasformava. Era come un forza grande che lo pigghiava tutto. Era come i vampiri che avissa potuto anche volare o trasiri con la forza in ogni palazzo, in ogni stanza, in ogni cuore se solo lo avesse desiderato.

Questo potere lui ce lo aveva avuto da nico nico che però presto se lo era tenuto nascosto che gli altri non lo capivano e certe volte si scantavano e altre invece arrirevunu prima di piangere.

Così una volta cera spuntato nella stanza di sua nonna solo perchè voleva salutarla e a quella purazza ci era presa una paura forte che la sua casa era sempre chiusa a chiave e ci era sembrato come un presagio di morte vedere u picciriddu che allantrasatta ci acchianava nel letto. Lei ce lo aveva chiesto come era entrato ma Daniele non ciaveva saputo rispondere e così se lo era tenuto nel suo letto a dommiri con lei.

Unaltra volta invece Giuseppe che era il suo migliore amico non ci aveva creduto alla confessione che lui ci aveva fatto. "Ma chi dici!" ci ripeteva e Daniele sillava pigghiatu e appena calato il sole a quello ci aveva distrutto la bicicletta dentro al garage. Però dopo si era pentito.

Ora era bello questo potere ma il fatto è che Daniele di giorno era un grande babbasunazzo e anche la notte la situazione non migliorava che sempre babbasunazzu arristava. Forse per questo non aveva ancora trovato un lavoro e anche a fimmini la cosa era messa male che lui sì ogni tanto ci pinsava ma poi lassava stari che "Tanto non sono capace" riceva per la prima e per la seconda cosa. E però non si arrendeva che ogni giorno accuminciava presto a furiari e a chiedere per qualche travagghio e per trovare i soldi per mangiare. 

Anche quella giornata era accuminciata in questo modo. Una sciacquata alla facci, una maglietta pulita e subito fuori di casa prima che u cauru avissa arrubbato le forze. La prima sosta da Miciu u pannitteri.

 Daniele si pigghiau una brioscia con lo zucchero e si offrì come sempre per qualche lavoretto.

"Oggi non c'è nenti. Su veni domani mattina mi aiuti a scaricare la farina ca veni chiddu co camiun. Epperò na cosa a poi fari... ci vai alla posta e mi pavi sti bollette? Mi raccomando Danieluzzu non perdiri i soddi" 

Daniele ci accalau la testa, finiu la briosca e partiu per quell'incarico.

La posta era nell'autru lato del paese, ma u carusu camminava svelto e non ci volli assai.