Il galeone
Siamo la ciurma anemica
d’una galera infame
su cui ratta la morte
miete per lenta fame.
Mai orizzonti limpidi
schiude la nostra aurora
e sulla tolda squallida
urla la scolta ognora.
I nostri dì si involano
fra fetide carene
siam magri smunti schiavi
stretti in ferro catene.
Sorge sul mar la luna
ruotan le stelle in cielo
ma sulle nostre luci
steso è un funereo velo.
Torme di schiavi adusti
chini a gemer sul remo
spezziam queste catene
o chini a remar morremo!
Cos’è gementi schiavi
questo remar remare?
Meglio morir tra i flutti
sul biancheggiar del mare.
Remiam finché la nave
si schianti sui frangenti
alte le rossonere
fra il sibilar dei venti!
E sia pietosa coltrice
l’onda spumosa e ria
ma sorga un dì sui martiri
il sol dell’anarchia.
Su schiavi all’armi all’armi!
L’onda gorgoglia e sale
tuoni baleni e fulmini
sul galeon fatale.
Su schiavi all’armi all’armi!
Pugnam col braccio forte!
Giuriam giuriam giustizia!
O libertà o morte!
Giuriam giuriam giustizia!
O libertà o morte!
Il Galeone, Belgrado Pedrini e la "Liberazione" di Riccardo Venturi.
"Il galeone" è una poesia che Belgrado Pedrini, anarchico carrarese, scrisse in galera, a Fossombrone, nel 1967. Fu poi messa in musica da Paola Nicolazzi sulla base di una canzone popolare intitolata, curiosamente, Se tu ti fai monaca; la Nicolazzi, nel trasformarla in canzone (e in uno dei più noti canti anarchici italiani di ogni tempo), ne omise però la quarta e l'ultima strofa, che così recitano:
Nessun nocchiero ardito,
sfida dei venti l’ira?
Pur sulla nave muda,
l’etere ognun sospira!
(...)
Falci del messidoro,
spighe ondeggianti al vento!
Voi siate i nostri labari,
nell’epico cimento!
Fu poi pubblicata, senz'alcuna indicazione di titolo, nel giornale Presenza anarchica, a cura dei gruppi anarchici riuniti di Massa e Carrara, supplemento quindicinale a Umanità Nova, il 5 ottobre 1974.
Fin qui la storia di questa canzone scritta in galera. La quale, specialmente per il suo linguaggio, potrebbe far sorridere il lettore e l'ascoltatore di oggi. E' il linguaggio aulico di molti canti anarchici classici. Ma il sorriso scompare immediatamente quando si pensa al fatto che "Il galeone" è in realtà il simbolo stesso, anche nella parola stessa, della galera, anzi, della "galera infame". Quella dove il suo autore era rinchiuso.
Belgrado Pedrini aveva iniziato la Resistenza ben prima dell'8 settembre; era, la sua, una vita di resistenza da sempre. Durante il fascismo conduce la sua lotta clandestina, poi già nel 1942 partecipa ad azioni di lotta. Si unisce poi alla formazione partigiana anarchica "Elio" con cui lotta fino alla...
Stavo per dire "Liberazione". Ma la "liberazione" del partigiano Belgrado Pedrini si chiama galera. Nel 1942, per poter continuare la lotta, lui e i suoi compagni sottraggono ad alcuni industriali fascistoni milanesi e carraresi un bel po' delle loro ricchezze; nel 1949 il tribunale di Livorno giudica tali atti come "reati comuni" e condanna Belgrado Pedrini a trent'anni di carcere. Questa la ricompensa.
E sono galere su galere. Nel 1977, il presidente Leone gli concede la grazia; ma, appena uscito, viene rinchiuso in una casa di lavoro presso Pisa, dove muore all'età di sessantasei anni. Per Belgrado Pedrini non c'è mai stata nessuna "liberazione". Solo la galera dello "stato democratico"
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