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30/06/15

Berti, smagliature e mestruo



Giulia si sveglia che vorrebbe vomitare, ma non riesce. Beve un bicchiere d’acqua e poi torna accanto a Michele. Lui dorme, la mano sotto il cuscino. Leggermente poggiato sul fianco sinistro. Giulia gli si mette a fianco e incrocia le mani dietro la nuca. Non riesce proprio a riprendere sonno.
 E’ stata una bella serata. Con le amiche sì è fatto casino. Una di quelle serate in cui nulla di importante avviene, niente di prezioso viene detto o memorizzato. Una di quelle serate in cui basta solo lasciarsi andare. Uno ci ha anche provato e quelle streghe l’hanno presa in giro che a loro invece è andata buca. Niente di che. Un paio di bicchieri, chiacchiere, un numero telefonico falso, e tutto è finito con due baci sulla guancia e la mano di lui sul fianco per un attimo. Non era neanche male il ragazzo. 
Non sa perché ma improvvisamente le ritorna in mente l’immagine di una sua zia. Era stato durante una vacanza al mare, lei aveva appena finito le elementari e la zia era arrivata all’improvviso, anticipata solo da una breve telefonata, a casa dei suoi. Non si vedevano da anni con sua madre e Giulia di lei aveva solo visto una vecchia foto. Quella di una bimba che poteva avere la sua età, al mare e sorridente.L'aveva tirata fuori nuovamente quel giorno mentre attendevano gli ospiti.
“Vedi come ti somiglia? Siete identiche!” La mamma era contenta di quella somiglianza. Aveva sofferto tanto quando era dovuta partire per seguire il marito, poi con la sorella solo telefonate e promesse di rivedersi. Ora finalmente era lì.
“Speriamo tu sia fortunata come lei oltre a somigliargli così tanto”
Zia Grazia aveva fatto un bel tris al lotto con i numeri datele dalla nonna in sogno e ne aveva profittato subito per venire a trovare la sorella. C’era tutta la famiglia tranne il marito che sarebbe arrivato dopo. Lei, due maschietti poco più piccoli di Giulia e due gemelline di quasi due anni.
“Voglio portare Giulia e te con noi al mare per qualche giorno” Aveva detto Grazia alla sorella e quella aveva subito acconsentito più felice che mai. Erano partiti subito. Il pomeriggio di un giorno di Luglio. Sul treno la zia tra un riepilogo e l’altro della propria vita e qualche sgridata ai figli non aveva fatto altro che canticchiare un ritornello che Giulia non conosceva. Quando lei le aveva chiesto chi fosse la zia non si era fatta pregare e così Giulia oltre al titolo “Tu sei quello” della canzonetta aveva imparato un po’ tutto su Orietta Berti. 
La casa era quasi sul mare, tutta azzurra con i cancelli e le porte e le finestre bianche. Erano Quattro appartamenti e Giulia aveva sperato in uno di quelli con un piccolo giardinetto sulla strada, invece a loro era toccato uno dei due posti al primo piano. Giulia dormiva nella stessa stanza con le gemelle. Ricordava un letto stretto, un forte odore di muffa nonostante il caldo.  La prima notte, un po’ impaurita, si era rifugiata per un po’ nella grande camera da letto dove si erano sistemate le due sorelle prima di essere convinta ad andare nella sua stanza. Toccava a lei stare attenta al sonno delle due piccoline.
“E’ tempo che tu faccia la donnina di casa” le aveva detto la madre.
Mentre ancora era lì la zia si era tolta tutto per andare a dormire. Il seno enorme poggiava sullo stomaco e il corpo era interamente attraversato da solchi che a Giulia parvero come delle cancellature su un disegno mal riuscito. Non immaginava proprio che una donna potesse essere così. Era terribile. Giulia la fissò fin quando non andò anche lei a dormire. La sua stanza era in leggera penombra e le gemelle erano già crollare dentro il lettino da viaggio che avevano montato appena arrivate. Giulia pensò che non sarebbe mai voluta diventare come sua zia. Forse era meglio morire. Ecco, quella fu la prima volta che le venne in mente quella parola, che pensò a quella possibilità. Si poteva anche morire, anzi a volte si poteva anche desiderare che ciò avvenisse.
Aveva passato una settimana chiusa a casa, leggendo. Per fortuna aveva portato dei libri con se. Era stato un disastro. La sera stessa una grossa chiazza rossa aveva macchiato le lenzuola. Giulia era corsa nella stanza della mamma e lì le era stata spiegata ogni cosa.
“E’ strano, proprio come me alla sua età” aveva detto la zia. “Ricordi quelle vacanze dove ci fecero la foto?” aveva aggiunto rivolgendosi alla sorella. La mamma di Giulia aveva sorriso.

Non riesce proprio a riaddormentarsi e poi non ne ha più voglia.  Giulia si alza nuovamente dal letto e non vuole più restare lì, così si riveste in fretta ed esce.




«Tu sei quello
che s’incontra una volta e mai più.
L’ho sentito quando m’hai guardato tu
per un attimo.

Sei tu solo
che con niente fai tutto scordar,
ma ho capito che puoi farmi innamorar
per poi piangere.

Ecco chi sei, tutte le cose che amai
sono in te.
Ecco chi sei, quello che sempre cercai
ora c’e’, solo per me, tutto per me.

Tu sei quello,
sono troppo sicura di me.
Non esiste al mondo un altro come te,
come te.

Ecco chi sei, tutte le cose che amai
sono in te.
Ecco chi sei, quello che sempre cercai
ora c’e’, solo per me, tutto per me.

Tu sei quello,
sono troppo sicura di me.
Non esiste al mondo un altro come te,
come te.

Non esiste al mondo
un altro come te.»

29/06/15

Thomas, Pollicino e il tonno


Apre gli occhi e si guarda attorno. E’ piena notte. Le panchine sono tutte occupate da migranti. In una di esse sono in due, spalla contro spalla. Forse non hanno voluto svegliarlo, forse parlavano tra loro prima di addormentarsi. Nessun segno del vecchio.
Michele rassetta i vestiti e si incammina verso casa anche se non sa bene come arrivarci. Poi si accorge di una fermata del bus e tra le linee possibili una che conosce ed allora decide che saranno quei cartelli i suoi sassolini bianchi. Il Pollicino-Michele cammina, cammina che arriva a casa stanco e con un po’ di fame addosso. Senza spogliarsi mette su una raccolta di David Thomas dei  Pere Ubu e apre una grossa lattina di tonno. Nel farlo lascia gocciolare buona parte dell’olio sulla maglia, sui pantaloni, a terra. Non ha voglia di pulire, però. Mette un po’ di carta sul pavimento e poi mangia inzuppando delle strisce di pane nella lattina. Sollevando pezzi di tonno come se quello fosse una forchetta. Giulia lo trova così. Arriva anche lei un po’ sfatta e molto più ubriaca. Ha un trucco leggero, hot pants colorati e canotta bianca su scarpe dal tacco altissimo.
“Cosa fai?” domanda.
“Mangio”
“A quest’ora?”
“Sì”
Giulia prende anche lei del pane e prova a contendergli l’ultimo pezzo di tonno. I due si ritrovano a guerreggiare con piccole spade unte d’olio, ma non vince nessuno che tutto cade a terra mentre ridono come bimbi.
“Ti amo” gli dice Giulia tra le risa.
“Ti amo” risponde Michele.
E’ la cosa più semplice da dire, l’unica.



«Wise men say only fools rush in
But I can’t help falling in love with you
Shall I say Would it be a sin?
If I can’t help falling in love with you

Like a river flows surely to the sea
Darling so it goes
Some things are meant to be
Take my hand, take my whole life too
For I can’t help falling in love with you

Like a river flows surely to the sea
Darling so it goes
Some things are meant to be 
Take my hand, take my whole life too
For I can’t help falling in love with you»

28/06/15

Peter Gabriel, i quadrati e Teseo


La casa è silenziosa, Michele si spoglia e rimane in mutande. Le birre sono sempre ghiacciate e lui non ha voglia di preparare nulla per cena. Si piazza sul divano e mette un po’ di musica. Questa sera tocca a Peter Gabriel.  Attende che il disco finisca e che la birra sia meno gelata poi chiama Giulia al cellulare
“Ciao, dove sei?”
Confusione in sottofondo. Suoni.
“Sono con le amiche a ballare, vieni?”
Michele chiude la conversazione e getta via il telefono sul divano. Finisce l’ultima birra aperta, si gratta un po’ il culo, poi va a farsi una doccia.
Si riveste ed esce. Ritorna a camminare cercando un’aquila nel cielo, ma questa città non è  Batheaston e la piccola collina di Solsbury è solo qualcosa che ronza nella testa.
Michele attraversa strade, saluta pedoni distratti, litiga con i marciapiedi sconnessi. Non sa bene dove sia. L’aria non sembra voglia farsi più fresca, ma la testa è leggera e i pensieri assenti. Si ferma in una piccola piazza deserta. Una piazza quadrata. Al suo interno, superata la strada che la cinge, un altro quadrato segnato da un muretto e delimitato da alberi. Da ogni lato parte, al centro, uno stretto passaggio pedonale che confluisce in uno spiazzo tondo segnato da quattro vecchie panchine ad arco. Al centro del cerchio di terra finale, una piccola fontana anonima, tonda anch’essa e con la base quadrata. Michele beve e si siede. Allarga le braccia e le gambe, porta indietro la testa a osservare la notte. Gli alberi offrono una buona copertura dalle luci che illuminano la strada. Come fosse dentro un pozzo, Michele osserva le stelle .
“Belle vero?”
Un vecchio in calzoni corti e canottiera lo guarda. E’ arrivato in silenzio e si è seduto nel quarto di panchina accanto alla suo. Ha il busto ripiegato in avanti e le braccia che poggiano sulle gambe. I capelli canuti e disordinati, una barba grigia cresciuta male. Ha la testa rivolta verso lui e sorride. 
“Sì, veramente belle”
“Sa che in realtà noi non sappiamo quale di esse sia in questo momento ancora in vita?”
“Sempre che muoiano”
“Certo! Proprio così, sempre che muoiano”
Il vecchio si tira su e inizia anche lui a scrutare il cielo. I due rimangono così, in silenzio, per un tempo che Michele non riesce a quantificare.
“Conosce il paradosso di Teseo?”
Il vecchio continua senza attendere nessuna risposta.
“Per secoli la nave in legno sulla quale viaggiò il re di Atene fu conservata intatta semplicemente sostituendone le parti che via via si deterioravano con altre perfettamente identiche. Ad un certo punto, però, tutte le parti erano state sostituite. Ecco, era ancora quella la nave di Teseo o era ormai altro? E noi? Cosa siamo noi? Io, lei… Ora insieme guardiamo le stelle e guardandole mutiamo, tutte le nostre cellule, tutti i nostri organi, i nostri pensieri anche, mutano eppure…
Il vecchio continua a parlare, Michele si rannicchia sulla panchina e lo ascolta e guarda il cielo fino ad addormentarsi. 


«Climbing up on Solsbury Hill
I could see the city light
wind was blowing, time stood still
eagle flew out of the night
he was something to observe
came in close, I heard a voice
standing stretching every nerve
had to listen had no choice
I did not believe the information
(I) just had to trust imagination
my heart going boom boom boom
– Son, – he said – Grab your things
I’ve come to take you home -.
To keep in silence I resigned
my friends would think I was a nut
turning water into wine
open doors would soon be shut
so I went from day to day
tho’ my life was in a rut
– Till I thought of what I’d say
which connection I should cut
I was feeling part of the scenery
I walked right out of the machinery
my heart going boom boom boom
– Hey – he said – Grab your things
I’ve come to take you home –
(back home)
When illusion spin her net
I’m never where I want to be
and liberty she pirouette
when I think that I am free
watched by empty silhouettes
who close their eyes but still can see
no one taught them etiquette
I will show another me
today I don’t need a replacement
I’ll tell them what the smile on my face meant
my heart going boom boom boom
– Hey – I said “You can keep my things
they’ve come to take me home -.»

27/06/15

Democrazia, sangue freddo e determinazione

Greche e greci,
da sei mesi il governo greco conduce una battaglia in condizioni di asfissia economica mai vista, con l’obiettivo di applicare il vostro mandato del 25 gennaio a trattare con i partner europei, per porre fine all’austerity e far tornare il nostro paese al benessere e alla giustizia sociale. Per un accordo che possa essere durevole, e rispetti sia la democrazia che le comuni regole europee e che ci conduca a una definitiva uscita dalla crisi.

In tutto questo periodo di trattative ci è stato chiesto di applicare gli accordi di memorandum presi dai governi precedenti, malgrado il fatto che questi stessi siano stati condannati in modo categorico dal popolo greco alle ultime elezioni. Ma neanche per un momento abbiamo pensato di soccombere, di tradire la vostra fiducia.

Dopo cinque mesi di trattative molto dure, i nostri partner, sfortunatamente, nell’eurogruppo dell’altro ieri (giovedì n.d.t.) hanno consegnato una proposta di ultimatum indirizzata alla Repubblica e al popolo greco. Un ultimatum che è contrario, non rispetta i principi costitutivi e i valori dell’Europa, i valori della nostra comune casa europea. È stato chiesto al governo greco di accettare una proposta che carica nuovi  e insopportabili pesi sul popolo greco e minaccia la ripresa della società e dell’economia, non solo mantenendo l’insicurezza generale, ma anche aumentando in modo smisurato le diseguaglianze sociali.

La proposta delle istituzioni comprende misure che prevedono una ulteriore deregolamentazione del mercato del lavoro, tagli alle pensioni, nuove diminuzioni dei salari del settore pubblico e anche l’aumento dell’IVA per i generi alimentari, per il settore della ristorazione e del turismo, e nello stesso tempo propone l’abolizione degli alleggerimenti fiscali per le isole della Grecia. Queste misure violano in modo diretto le conquiste comuni europee e i diritti fondamentali al lavoro, all’eguaglianza e alla dignità; e sono la prova che l’obiettivo di qualcuno dei nostri partner delle istituzioni non era un accordo durevole e fruttuoso per tutte le parti ma l’umiliazione di tutto il popolo greco.
Queste proposte mettono in evidenza l’attaccamento del Fondo Monetario Internazionale a una politica di austerity dura e vessatoria, e rendono più che mai attuale il bisogno che le leadership europee siano all’altezza della situazione e prendano delle iniziative che pongano finalmente fine alla crisi greca del debito pubblico, una crisi che tocca anche altri paesi europei minacciando lo stesso futuro dell’unità europea.

Greche e greci,

in questo momento pesa su di noi una responsabilità storica davanti alle lotte e ai sacrifici del popolo greco per garantire la Democrazia e la sovranità nazionale, una responsabilità davanti al futuro del nostro paese. E questa responsabilità ci obbliga a rispondere all’ultimatum secondo la volontà sovrana del popolo greco.

Poche ore fa (venerdì sera n.d.t.) si è tenuto il Consiglio dei Ministri al quale avevo proposto un referendum perché sia il popolo greco sovrano a decidere. La mia proposta è stata accettata all’unanimità.
Domani (oggi n.d.t.) si terrà l’assemblea plenaria del parlamento per deliberare sulla proposta del Consiglio dei Ministri riguardo la realizzazione di un referendum domenica 5 luglio che abbia come oggetto l’accettazione o il rifiuto della proposta delle istituzioni.

Ho già reso nota questa nostra decisione al presidente francese, alla cancelliera tedesca e al presidente della Banca Europea, e domani con una mia lettera chiederò ai leader dell’Unione Europea e delle istituzioni un prolungamento di pochi giorni del programma (di aiuti n.d.t.) per permettere al popolo greco di decidere libero da costrizioni e ricatti come è previsto dalla Costituzione del nostro paese e dalla tradizione democratica dell’Europa.

Greche e greci,

a questo ultimatum ricattatorio che ci propone di accettare una severa e umiliante austerity senza fine e senza  prospettiva di ripresa sociale ed economica, vi chiedo di rispondere in modo sovrano e con fierezza, come insegna la storia dei greci. All’autoritarismo e al dispotismo dell’austerity persecutoria rispondiamo con democrazia, sangue freddo e determinazione.

La Grecia è il paese che ha fatto nascere la democrazia, e perciò deve dare una risposta vibrante di Democrazia alla comunità europea e internazionale.

E prendo io personalmente l’impegno di rispettare il risultato di questa vostra scelta democratica qualsiasi esso sia.

E sono del tutto sicuro che la vostra scelta farà onore alla storia della nostra patria e manderà un messaggio di dignità in tutto il mondo.

In questi momenti critici dobbiamo tutti ricordare che l’Europa è la casa comune dei suoi popoli. Che in Europa non ci sono padroni e ospiti. La Grecia è e rimarrà una parte imprescindibile dell’Europa, e l’Europa è parte imprescindibile della Grecia. Tuttavia un’Europa senza democrazia sarà un’Europa senza identità e senza bussola.

Vi chiamo tutti e tutte con spirito di concordia nazionale, unità e sangue freddo a prendere le decisioni di cui siamo degni. Per noi, per le generazioni che seguiranno, per la storia dei greci.

Per la sovranità e la dignità del nostro popolo
Alexis Tsipras


Fonte:  Testo integrale della lettera di Tsipras

26/06/15

Crass, gettoni e teorie


Il bar numero due è all’angolo di una strada abbastanza trafficata. Due entrate, una sulla strada principale e l'altra preceduta da un piccolo spazio per tre tavolini esterni, uno spiazzo vicino che permette ai clienti una rapida sosta. Indispensabile per la vita del bar, lo spiazzo, poichè la maggior parte degli avventori è costituita da tabagisti e giocatori di gratta e vinci.
Michele non mette tanto a capirlo, seduto in un piccolo divanetto all’interno del locale, mentre sorseggia un’artigianale rossa. E’ arrivato puntuale circondato anche questa volta dagli iniziali sguardi curiosi dei pochi abituè. La barista è molto carina. Alta, capelli corti, un bel culo fasciato dai jeans. Lo ha servito subito uscendo dal banco con un gran sorriso. Il padrone deve essere quello alla cassa. Trenta, trentacinque anni. Dà veloci sguardi mentre, rapido, individua le marche di sigarette alle sue spalle o attende la stampa dei biglietti del lotto. Di fronte a lui due slot machine sempre occupate. A tratti il rumore di gettoni a cascata.
Ha poco da segnare Michele, sono soprattutto caffè e qualche succo. Il bar è un locale da colazioni e intermezzi lavorativi a giudicare anche dall’ampia vetrina che conserva poche paste e grandi vassoi vuoti e dall’unico cliente, lui, seduto a far finta di consumare. Michele prova a chiedere da mangiare e la barista gli enumera una serie di scelte che lo mettono di buono umore. Mentre addenta qualcosa di morbido con del crudo gli ritorna in mente la telefonata e l’appuntamento mancato. Alza gli occhi verso un enorme orologio posto lontano dalle macchinette mangiasoldi, sono già le 19.00. Nessuna speranza per la Tecnoassi e Giselle.
L’ultima ora passa velocemente. Vecchiette, migranti, signore con prole, tutti a caccia di fortuna tra biglietti da grattare e gettoni da perdere. Michele esce, sono le otto ed è ora di chiusura. La cosa, però, non lo sorprende per nulla.
La cassiera lo saluta sorridendogli, sembra sul punto di dirgli qualcosa ma poi desiste. Michele scuote un po’ la testa alzando la mano sinistra a salutare alle sue spalle, si avvia verso casa. Ha deciso di tornare a piedi. La serata è fresca e il locale non molto lontano da casa. Cammina lento e si perde dietro le insegne dei piccoli negozi, nel lampeggiare triste dei semafori pedonali. Poca gente per strada, il centro è un campanile lontano e le finestre illuminate una polifonia di voci televisive.
"Ci hanno dato un guscio quasi perfetto" pensa, e gli torna in mente un pezzo dei Crass. Do you love me? Do you? Do you? Don't you see they aim to smother the actual possibilities of loving all the others? dice la canzone.






«The true romance is the ideal repression,
That you seek, that you dream of, that you look for in the streets,
That you find in magazines, the cinema, the glossy shops,
And the music spins you round and round looking for the props.

The silken robe, the perfect little ring,
That gives you the illusion when it doesn't mean a thing,
Step outside into the street and staring from the wall
Is perfection of the happiness that makes you feel so small.
Romance, can you dance? D'you fit the right description?
Do you love me? Do you love me?
Do you want me for your own?
Say you love me, say you love me,
Say you know that I'm the one,
Tell me I'm your everything, let us build a home.
We can build a house for two, with little ones to follow.

Proof of our normality that justifies tomorrow.
Romance, romance.
Do you love me? Say you do,
We can leave the world behind and make it just for two.
Love don't make the world go round, it holds it right in place,
Keeps us thinking love's too pure to see another face.
Love's another skin-trap, another social weapon,
Another way to make men slaves and women at their beckon.
Love's another sterile gift, another shit condition,
That keeps us seeing just the one and others not existing.

Women is a holy myth, a gift of mans expression,
She's sweet, defenceless, golden-eyed, a gift of god's repression.
If we didn't have these codes for love, of tokens and positions,
We'd find ourselves as lovers still, not tokens of possessions.
It's a natural, it's a romance, without the power and greed,
We can fight to lift the cover if you want to sow a seed.
Do you love me? Do you? Do you? Don't you see they aim to smother
The actual possibilities of loving all the others?»

25/06/15

Magnetic, tazze e spille


La casa è vuota. Giulia è uscita da poco, prima di lei Michele.
Il divano letto è rimasto aperto, le lenzuola un po’ attorcigliate, i cuscini uno sull’altro. Sembra di poter sentire ancora il calore dei loro corpi, i gemiti.
Anche il tavolo ribaltabile non è stato chiuso, sopra di esso la tazza preferita da Giulia, quella con Totoro che si ripara dalla pioggia sotto una grande foglia verde. Dentro la tazza tracce di latte e briciole di biscotti, accanto un post-it viola con dei numeri e il nome di una pizzeria.
Oggetti, accumuli del vivere.
Sulla libreria un cd degli Edward Sharpe and the Magnetic Zeros  e poi qualche libro: il ballerino Nijinsky, lo scrittore Calvino, l’economista Cipolla… per terra, proprio sotto la libreria piccole ceste di vimini con altri libri e dischi. Dove metteranno i vestiti? Nessuna traccia di indumenti, anche se degli slip fanno capolino tra le lenzuola e una maglietta è sullo sgabello nascosto sotto il tavolo.
Sopra il divano una grande stampa riproduce in un’esplosione di colori un’onda sonora. Sembra quasi un cartellone pubblicitario o il vezzo creativo di un arredatore d’interni.
Poggiata sul bracciolo del divano una piccola spilla che inneggia a Larry Shaw e al suo Pi Day. Sarà di Giulia? O forse è caduta dalla sacca di Michele?


«Alabama, Arkansas,
I do love my Ma and Pa
Not the way that I do love you

Well, holy moly me oh my
You’re the apple of my eye
Girl, I've never loved one like you

Man, oh, man, you're my best friend
I scream it to the nothingness
There ain't nothing that I need

Well, hot and heavy pumpkin pie
Chocolate candy, Jesus Christ
Ain't nothing please me more than you

[Chorus:]
Home, let me come home
Home is wherever I'm with you
Home, let me come home
Home is wherever I'm with you

La la la la
Take me home
Mama, I'm coming home

I'll follow you into the park,
Through the jungle, through the dark
Girl, I've never loved one like you

Moats and boats, and waterfalls,
Alleyways, and payphone calls
I been everywhere with you (that's true)

Laugh until we think we'll die,
Barefoot on a summer night
Never could be sweeter than with you

And in the streets you run afree,
Like it's only you and me,
Geez, you're something to see.

[Chorus]

La la la la
Take me home
Mama, I'm coming home

‒ Jade?
‒ Alexander?
‒ Do you remember that day you fell outta my window?
‒ I sure do‒you came jumping out after me.
‒ Well, you fell on the concrete, nearly broke your ass, and you were bleeding all over the place, and I rushed you out to the hospital, you remember that?
‒ Yes, I do.
‒ Well, there's something I never told you about that night.
‒ What didn't you tell me?
‒ Well, while you were sitting in the back seat smoking a cigarette you thought was gonna be your last, I was falling deep, deeply in love with you, and I never told you 'til just now!

[Chorus]

Home, let me come home,
Home is wherever I'm with you
Our home, yes, I am home,
Home is when I’m alone with you

Alabama, Arkansas,
I do love my Ma and Pa
Moats and boats, and waterfalls,
Alleyways, and payphone calls

Home is when I'm alone with you!
Home is when I’m alone with you »

24/06/15

23/06/15

Fairport, orzo e silenzi


Michele si risveglia che fuori ancora c’è poca luce. Piano piano scosta il braccio di Giulia e si alza dal letto per prepararsi una tazza d'orzo. Rimane a fissare la moka sul fuoco e ogni tanto si gira per controllare la donna. E’ nuda, il lenzuolo la copre solo in parte e una gamba rimane scoperta. Le labbra filtrano tra i capelli e così pure il suo viso da ragazzina. Starà sognando? Cosa?
Michele versa l’orzo nella tazza e le si siede accanto. Gilda aveva quasi visto bene, chissà come aveva fatto quella donna a sapere. Si ricorda del numero di telefono e del volto che lei gli ha lasciato e si sposta per riprenderlo dalla sacca. Si rende conto solo in quel momento che quello disegnato è il contorno del viso di Giulia. Sta quasi per svegliarla per raccontarle di quella stranezza quando sente il cellulare squillare.

"Pronto?"
"Sì"
"Salve signor Michele, la nostra ditta vorrebbe proporle un colloquio di lavoro..."
"La vostra ditta?"
"Sì, abbiamo qui il curriculum da lei inviato, è ancora interessato?"
"Quale ditta?"
"Sì, ha ragione, mi scusi. La Tecnoassi"
"Ah!"
"Allora, è ancora interessato?"
"Sì, sì, certo"
"Bene, dovrebbe presentarsi stasera nei nostri uffici. Alle 18.30"
"No, guardi… io a quell’ora…"
"Non posso darle altre date signor Michele, ci pensi"
"Sì, ma vede…"
"Guardi facciamo così, io la segno ugualmente, chieda di Giselle se dovesse arrivare"
"Io…"

La telefonata finisce bruscamente e Michele non ha ancora ben capito quale sia la ditta che lo ha cercato. Certo è abbastanza difficile ricordare fra tutte le domande che ha inviato, ma quel nome proprio non gli dice nulla.
"Chi era?"
Giulia lo guarda con gli occhi semichiusi. Sbadiglia e si stiracchia allungando le braccia, poi si alza e corre in bagno. Michele ha sempre sorriso di quel suo imbarazzo a mostrarsi nuda, lo ha sempre trovato eccitante e anche ora non può fare a meno di desiderarla, di amarla. Amarla. Non glielo ha mai detto, sì è sempre fermato un attimo prima. Ecco deve essere lo stesso imbarazzo del trovarsi nudi. Quello di pensare di essere inadeguati, fragili, per poter confessare il proprio amore.
"Allora forse anche lei mi ama?" Michele getta il telefono sul letto e si alza, mette un cd dei Fairport Convention e poi si dirige verso l’acquaio per lavare la tazza e la moka.
Le braccia di lei lo circondano da dietro. Sente le sue labbra poggiarsi sulla spalla, il suo viso premere sulla schiena.
"Mi ami?" le chiede. E nel momento stesso in cui lo ha fatto si è già pentito di quella domanda. Come se lo stare bene insieme avesse bisogno di essere in qualche modo certificato, pensa, come fossero veramente necessarie le parole.
Giulia non risponde, ma lo stringe ancora di più aderendo completamente a lui. C’è un silenzio lunghissimo tra i due, poi lei si stacca e Michele si volta a fissarla.
"Ecco, hai sentito?" lei domanda.
"Sì" risponde lui, prima di baciarla.


«Across the evening sky, all the birds are leaving
But how can they know it's time for them to go?
Before the winter fire, I will still be dreaming
I have no thought of time

For who knows where the time goes?
Who knows where the time goes?

Sad, deserted shore, your fickle friends are leaving
Ah, but then you know it's time for them to go
But I will still be here, I have no thought of leaving
I do not count the time

For who knows where the time goes?
Who knows where the time goes?

And I am not alone while my love is near me
I know it will be so until it's time to go
So come the storms of winter and then the birds in spring again
I have no fear of time

For who knows how my love grows?
And who knows where the time goes?»
   






22/06/15

Iggy, Goofy e l'amore


“Ciao”
“Ciao”
Giulia legge un libro sdraiata sul divano. Ha una maglietta e degli strani slip con l'immagine di Goofy a coprirle il pube.
“Mi hanno dato quel lavoro”
“Bene”
Non alza neanche la testa. Quando succede Michele sa benissimo che c’è un solo significato: il libro è un bel libro e lei non deve essere disturbata. Eppure vorrebbe farlo apposta, così, per giocare, anche se poi rinuncia. Entra in bagno per una rapida doccia e appena esce è investito da un Iggy Pop a tutto volume. Giulia balla nel poco spazio che le è dato. Ha gli occhi chiusi e il libro nella mano destra.
“E’ bellissima” pensa Michele, ma non la ferma, non glielo dice. Prende solo quello che prima era il posto di lei sul divano e continua a fissarla dimenticando di star gocciolando, ché non si è nemmeno asciugato. Quando il pezzo finisce lei apre gli occhi e lo guarda come se fosse appena arrivato.
“Che fai qui?”
“Ti guardavo”
“E il lavoro? È andato bene? Ti hanno preso?”
“Sì - risponde Michele facendo finta di non averglielo detto appena pochi minuti prima - ho iniziato oggi. Una cosa semplice. E poi mi pagano bene”
Lei gli si siede accanto. Michele inizia a baciarla fino a coprirla con il suo corpo. Sente i capezzoli di lei ed il suo cazzo indurirsi ed è naturale spostare la bocca di Goofy e penetrarla. Sono ancora abbracciati quando tutto finisce.
“Ti va di uscire?”
“Dove?”
“Potremmo fare un giro”
“Sì, potremmo”
“Una birra…”
“Io vorrei fare di nuovo l’amore”
“Si potrebbe, certo”                  
“Sciocco”
Giulia gli afferra i testicoli e finge di stringerli. Michele inizia a ridere e la morde sul collo, sul seno, sul ventre, fino a fermarsi lì dove ancora c’è il suo seme. Lei finge di divincolarsi.
“Non dovresti”
“Però potrei” risponde lui, e continua fino a quando la sente cedere, fino a quando le mani di Giulia iniziano a spingergli la testa.Poi improvvisamente smette e alza la testa per guardarla.
“Stronzo! Lo fai apposta allora!”
Giulia con una mossa rapida stringe la faccia di Michele tra le proprie gambe e lo sdraia supino sul divano prima di sedersi a cavalcioni sul suo viso.
“Ora continui” gli dice.




«So messed up I want you here
In my room I want you here
Now we're gonna be face-to-face
And I'll lay right down in my favorite place

And now I want to be your dog
Now I want to be your dog
Now I want to be your dog
Well c'mon

Now I'm ready to close my eyes
And now I'm ready to close my mind
And now I'm ready to feel your hand
And lose my heart on the burning sands

And now I want to be your dog
And now I wanna be your dog
Now I want to be your dog
Well c'mon»




21/06/15

Morissette, un Bellini e la silhouette


“Ciao io mi chiamo Gilda. cioè Gilda non è il mio nome ma mi piace e così. ma tu non sei di qui. non ti ho mai visto. ché di sicuro, uno che legge. e come ti chiami? beh io ho visto il titolo del libro e mi sono ricordata che. ma tu scrivi? Perché sai ti ho visto scrivere poco fa. e cosa fai? di sicuro il giornalista o magari lo scrittore e scrivi poesie anche. ah i poeti. io ho avuto un uomo che scriveva poesie ma a dire la verità mi piaceva di più quando le scriveva su di me le sue cose. oh scusa magari questo non dovrei dirlo che nemmeno ci conosciamo e poi. scusami sai ma questo è già finito. prendi qualcosa? un’altra birra? io non riesco più a berle. sì magari ogni tanto. quando proprio non trovo nulla. però preferisco qualcosa che mi dia di più”
Gilda si alza e Michele non sa bene cosa fare. Non ha aperto bocca di fronte a quel fiume in piena, eppure quella voce l’ha continuato ad affascinare e per un po’ ha dimenticato anche il suo lavoro. Per fortuna manca poco e il grosso della clientela sembra essersi diradato. Segna in fretta le ultime ordinazioni e guardandosi intorno cerca anche di immaginare l’orario di chiusura del locale, sullo schermo passano un video della  Morissette, intorno ancora voci e risate, ma nessun segno o cartello che possa aiutarlo.
“Ecco dicevo della birra. ma scusa non vorrei annoiarti e poi parlo sempre io. lo so lo faccio sempre quando capita. a certi uomini non piace ti vorrebbero sempre pronta ad ascoltarli e poi non riescono a reggerti neanche un secondo. certo se mugoli e urli mentre ti scopano non gli dispiace affatto. però poi. io abito qui da cinque anni. ci eravamo trasferiti qui dal centro. non che si stesse male lì ma abbiamo fatto un bel gruzzolo vendendo quella casa e questa costava veramente poco. solo che ora. sai non è che hai sempre voglia di spostarti e allora certe sere vengo qui. mi siedo e osservo la gente passare. ormai li conosco tutti e anche loro mi conoscono. sai all’inizio ci provavano ma poi hanno smesso. siamo diventati amici. ecco lo vedi quello sul bancone? sta lì ogni sera. raggiunge i suoi quattro, cinque bicchieri di vino e poi torna a casa. non parla mai, ma non dà fastidio. anche il barista è un tipo tranquillo. una volta mi ha anche baciata, ma è finita lì. io devo sentire qualcosa che scatta e con lui è stato come baciare un amico. e tu? la tua donna? perché tu hai una donna. lo sento. lo vedo da come muovi gli occhi e le dita mentre mi guardi. credo di essere brava in questo. nel capire queste cose intendo. è come un dono. ho sempre scoperto le donne dei miei uomini. non ho mai avuto bisogno di una confessione io. ma forse tutte le donne sono così. non so. e allora dimmi com’è la tua? fammi immaginare. riccioli rossi, corpo quasi mascolino, gran scopatrice, è così vero? e poi occhi che diventano mare e intelligenza cortese. sì. è così vero? ne sono quasi sicura!”
Smette. Michele sorride e annuisce. “Aspetta un attimo” le dice e si dirige verso la cassa per pagare. Utilizza la carta che ha ricevuto anche per i due cocktail della donna. Quando ritorna il tavolo è vuoto. Sul libro un fogliettino con un numero di telefono e il disegno della silhouette di un volto. Nessun nome. Michele rigira il foglietto tra le dita, poi decide di utilizzarlo come segnalibro. Sono le otto e trenta.                  


«I recommend getting your heart trampled on to anyone.
I recommend walking around naked in your living room.
Swallow it down (what a jagged little pill!).
It feels so good (swimming in your stomach).
Wait until the dust settles.

You live, you learn.
You love, you learn.
You cry, you learn.
You lose, you learn.
You bleed, you learn.
You scream, you learn.

I recommend biting off more than you can chew to anyone,
I certainly do.
I recommend sticking your foot in your mouth at any time.
Feel free!
Throw it down (the caution blocks you from the wind).
Hold it up (to the rays).
You wait and see when the smoke clears.

You live, you learn.
You love, you learn.
You cry, you learn.
You lose, you learn.
You bleed, you learn.»

Buckley, gomiti e sirene


Il primo locale è quasi ai confini della città. Serve due interi isolati di edifici d’edilizia popolare assediati da antiche ville con giardino e villette recintate a schiera. Il bar è in fondo a una piazza-parcheggio ad anfiteatro. Ha due tavolini fuori e altri due dentro. Il lungo bancone ospita le consumazioni dei quattro clienti presenti: tre birre e un bicchiere di vino. Michele saluta e si siede accompagnato da sguardi curiosi. Dura poco. Le tre birre continuano a parlare di calcio e ingaggi, il vino raddoppia la posta poggiando i gomiti sul bancone. Michele attende che arrivi qualcuno, tira fuori un libro e il bloc-notes e inizia a scrivere, anche se non sa bene cosa. Passano un paio di minuti prima che una voce gli chieda: “Serve qualcosa?”. Il curioso ha capelli lunghi e una camicia a fiori. Poco più di trent’anni e una faccia piena da disordine alimentare. Michele si alza e ordina una media artigianale e un sandwich. Ha capito che nessuno gli porterà mai nulla al tavolo. Il tempo passa lentamente. Il barista prepara tutto e consegna, allunga anche un sorriso prima di rivolgersi agli altri avventori.
“Allora Giorgio, mangi qualcosa anche tu? “
Quello gli fa di no con la mano, i gomiti sempre poggiati al bancone a reclamare il proprio esserci e i due bicchieri ormai vuoti a rifletterne la nausea.
Michele torna a sedersi. Di fronte a lui la tv accesa trasmette una serie di filmati di canzoni senza audio. Lui, per un po’, prova a ricostruire la musica in base ai ricordi, alle immagini, ai titoli che passano sullo schermo (ecco ora è il turno di Tim Buckley) poi smette.
Entra una coppia di adolescenti. Lui è proprio un ragazzino, “chissà se è il suo primo appuntamento” pensa Michele. Lei ha un abbigliamento a metà strada tra la bimba dell’oratorio e la valletta televisiva. Prendono due pacchi di patatine e due lattine di coca-cola e si siedono a parlare abbastanza imbarazzati.
Michele segna tutto e torna a leggere. Il sandwich è unto quanto basta e la birra è già finita. Deve essere l’orario giusto, però, perché arriva nuova gente. Anche i tavoli all’esterno vengono occupati: sei birre, due prosecchi, quattro succhi e un negroni. Non è il cibo il punto forte del locale.
Michele si rialza per una nuova bottiglia e quando torna qualcuno si è seduto al suo tavolo. E’ una donna abbastanza anziana. Vorrebbe parlare con lui, ma non sa da dove partire e Michele di certo non l’aiuta. Continua a toccarsi le punte dei capelli arrotolandole tra le dita e beve un miscuglio che Michele inizialmente non riesce a identificare. Sul taccuino segna "Bellini" e traccia una linea sotto quel nome quasi a volersene ricordare. 
“Ti do fastidio?”  Ha una bella voce quella donna, da fuori-campo, e Michele non può fare a meno di rispondere, ma il suo “No, perché?” viene subito sommerso dal sorriso di lei, dalla luce dei suoi occhi, dalla sua eleganza. “Cazzo!” pensa Michele e non riesce a capire come non ha fatto ad accorgersene prima. “Deve essere successo così a Ulisse con le sirene” mormora a bassa voce e nello stesso tempo chiude il libro guardando e aspettando. Come non gli succede da tempo sa che qualcosa di sicurò avverrà.    


«On the floating, shapeless oceans
I did all my best to smile
til your singing eyes and fingers
drew me loving into your eyes.
And you sang "Sail to me, sail to me;
Let me enfold you."
Here I am, here I am waiting to hold you.
Did I dream you dreamed about me?
Were you here when I was full sail?
Now my foolish boat is leaning, broken love lost on your rocks.
For you sang, "Touch me not, touch me not, come back tomorrow."
Oh my heart, oh my heart shies from the sorrow.
I'm as puzzled as a newborn child.
I'm as riddled as the tide.
Should I stand amid the breakers?
Or shall I lie with death my bride?»

20/06/15

Animals, gorgonzola e bloc-notes




Michele si domanda se a casa ci sia ancora Giulia. Rimane dietro la porta, la mano destra dentro la tasca dei pantaloni a saggiare le chiavi. Sono tre: portone d’ingresso, casa e cantina. Quella di casa è la più fastidiosa, lunga e nodosa, ma anche la più protettiva quando si trova a essere nervoso. Oltre la porta nessun rumore. Michele vorrebbe poggiare l’orecchio sul legno, ma non si decide a farlo e così resta immobile. I piedi sullo zerbino con la scritta “welcome”, attende solo che qualcosa succeda. Quando si decide è solo perché gli è venuta una gran voglia di pisciare. Non può attendere oltre. Inserisce la chiave nella serratura e cerca di non fare rumore, ma dentro casa l’unico segno della presenza di Giulia vive nella persistenza del suo profumo. Nei suoi pensieri. Si affretta verso il bagno. “Tornerà” pensa, mentre urina.
Michele fa partire un the best degli Animals e sorseggia una birra in mutande, poi pensa al pasto. Pancarré e gorgonzola, altre due birre, una tazzina di caffè pescata, non si sa come né perché, nel frigo.
Ora c’è da pensare al nuovo lavoro. Michele recupera un bloc-notes e delle penne, poi ripassa mentalmente le consegne. Deve raggiungere i luoghi indicati, piccoli bar con pochi tavoli interni o esterni, sedersi come un normalissimo cliente e prendere nota di quello che accade attorno a lui: personale, qualità del servizio, ordinazioni… esattamente dalle 17.00 alle 20.00. Su questo ultimo punto hanno chiesto massima precisione e su questo Michele si sente molto preparato. L’uomo sagoma gli ha anche dato una carta di credito da utilizzare per le sue consumazioni. Dovrà pagare con quella.
Dieci locali per dieci giorni. Uno per quartiere. Non assicurano nulla ma magari se il lavoro è ben fatto potranno riconvocarlo, spostarlo in altre città, in altre nazioni, chissà. Michele non ha chiesto nulla, non gli interessa. Sono mille euro netti per trenta ore di lavoro. Non è necessario farsi tante domande.
Un’ora prima dell’inizio Michele è già pronto. Camicia, pantaloni di cotone, colori chiari da invisibile bravo ragazzo. Decide di portare con sé anche una sacca per poter mettere dei libri insieme al bloc-notes. Decide per un giapponese e un italiano. Nessuno dei due troppo famoso. Ne andrebbe della sua concentrazione se dovesse attirare la curiosità di qualcuno e poi Michele non ama parlare delle sue letture. Arriva al massimo a un “mi è piaciuto”, raramente però. Per il resto dimentica o tace.  




«It's a hard world to get a break in
All the good things have been taken
But girl there are ways
To make certain things pay
Though I'm dressed in these rags
I'll wear sable some day
Hear what I say
I'm gonna ride the serpent
No more time spent sweatin' rent
Hear my command
I'm breakin' loose, it ain't no use
Holdin' me down, stick around
And baby, baby
Remember, remember
It's my life and I'll do what I want
It's my mind and I'll think like I want
Show me I'm wrong, hurt me sometime
But some day I'll treat you real fine
There'll be women and their fortunes
Who just want to mother orphans
Are you gonna cry
While I'm squeezin' them dry
Takin' all I can get, no regrets
When I, openly lie
And live on their money
Believe me honey, that money
Can you believe, I ain't no saint
No complaints
So girl throw out
Any doubt
And baby (baby)
Remember (remember)
It's my life and I'll do what I want
It's my mind and I'll think like I want
Show me I'm wrong, hurt me sometime
But some day I'll treat you real fine
(It's my life and I'll do what I want) Don't push me
(It's my mind and I'll think like I want) It's my life
(It's my life and I'll do what I want) And I can do what I want
(It's my mind and I'll think like I want) You can't tell me
(It's my life and I'll do what I want)»

19/06/15

I Pink Floyd, le squame e uno specchio


Michele è in anticipo. Lo aveva previsto, ma ora non sa che fare. Fischietta "Julia Dream" poi si siede sui gradini della piazza e osserva la gente passare. Un piccolo gnomo attira la sua attenzione. Cinquant’anni o quaranta, forse anche meno. Se si riuscisse a capire. Se fosse possibile dividere il tempo dall’ingiuria. Fa dei piccoli passi, poi si ferma. Controlla ossessivamente le scarpe. Ché i jeans che indossa non vadano a finire sotto quelle. Sono chiari e larghi alla base i suoi jeans, legati in vita da una cintura di pelle nera. Coprono delle gambe corte e magre, come il petto glabro che si affaccia da una camicia dalle righe sbiadite. L’uomo sorride ogni volta che si ferma. Si guarda in giro come a voler chiedere scusa per quell’incidente spiacevole. Poi riprende, con i suoi piccoli passetti prima della successiva sosta.
Michele lo vede allontanarsi che già non ha più voglia di aspettare. Si solleva deciso dai gradini, guarda velocemente i numeri sugli antichi palazzi che si affacciano sulla piazza e poi attraversa l’ingresso del suo. Primo piano. Scale grandi e niente ascensore. Michele arriva. Non è necessario suonare, la porta è solo accostata. Una voce dall’interno lo invita a entrare
“Si accomodi dottore, si accomodi. E’ puntualissimo. Bene, bene. Prego, venga. Vuole un caffè? Le faccio portare qualcosa? Prego, venga. Prego, mi segua”
Entrando in qelle stanze Michele ha la sensazione di aver perso ogni punto di riferimento. Vede solo le squame di quell’uomo. La sagoma del suo vestito. Ne sente il rantolo. Capisce che non è necessario rispondere. Che è inutile rispondere.
I due uomini sono seduti uno di fronte all’altro in una stanza angusta. C’è odore di chiuso lì dentro. L'arredo è minimo: solo un tavolo, le sedie e un appendiabito vuoto. Una striscia di luce illumina il soffitto senza che Michele riesca a individuarne la fonte. L’uomo sagoma è veloce. Il lavoro semplice. Michele accetta.
Quando esce da lì decide di tornare a casa. Attende il 5 questa volta. Vuole fare in fretta. Sta per salire sull’autobus quando una luce improvvisa lo acceca un istante. Gira gli occhi in tempo per vedere il piccolo gnomo giocare con uno specchio.


Julia Dream by  Pink Floyd

«Sunlight bright upon my pillow
Lighter than an eiderdown
Will she let the weeping willow
Wind his branches round
Julia dream, dreamboat queen, queen of all my dreams
Every night I turn the light out

Waiting for the velvet bride
Will the scaly armadillo
Find me where I'm hiding
Julia dream, dreamboat queen, queen of all my dreams
Will the misty master break me
Will the key unlock my mind
Will the following footsteps catch me
Am I really dying
Julia dream, dreamboat queen, queen of all my dreams»

17/06/15

Cult, bus e ragazzini


Michele mette la maglietta con Billy Duffy ed esce che fuori ancora piove. Una pioggia sottile. Gli piace. Come quando era bambino, sorride e cammina lentamente. Con cura. Attende che le gocce sul viso formino come una pellicola, un velo. C’è tempo per tutto il resto.
Alla fermata del bus hanno messo un nuovo cartellone. La pubblicità di un costume. La ragazza seminuda gli ricorda Giulia. Sì, è lei. Proprio lì. Lì, nel punto in cui il retro del ginocchio si unisce alla coscia. L’impastamento. Michele ha imparato che è necessario afferrare una grossa parte di pelle con i polpastrelli e fingere di fare dei pizzicotti per massaggiare bene con la crema quella zona.  Giulia a volte gli urla di essere un po’ più rude, più maschio. Lui risponde di sì e poi quasi sempre fanno l’amore come se stessero lottando. Giocando come animali in calore.
Il 5 si ferma. L’autista si volta verso di lui, l’osserva un secondo, poi richiude le porte e riparte. Michele ha deciso di attendere l’8, sarà un giro più lungo. L’8 attraversa quasi tutta la città, quasi tutti i quartieri. Dovrebbero far utilizzare a tutti quella linea. Obbligatoriamente. Vivi qui? Ecco, allora devi conoscere, devi sapere. Michele passa il dorso della mano sulla fronte. La pioggia inizia a dare fastidio ora che non è più in strada. L’autobus ha altri due passeggeri. Un ragazzetto con le cuffie e lo sguardo sui vetri e una donna dell’est che parla al telefono. Ogni tanto lei alza lo sguardo. Controlla.
Michele chiude gli occhi e si concentra sul tono di quella voce, basso e dolce allo stesso tempo. Con chi starà parlando? Cosa starà dicendo?
Il ragazzino lascia il suo posto e gli si avvicina. Toglie le cuffie e parla.
“Hai un biglietto per me?”
“No! Mi ha visto timbrare?”
“Ok”
Si gira e torna a sedere. A Michele è parso di sentire “Rain” uscire dalle cuffie, ma non ne è sicuro.


 Rain by  The Cult

«Hot sticky scenes, you know what I mean
Like a desert sun that burns my skin
I've been waiting for her, for so long
Open the sky and let her come down
Here comes the rain
Here comes the rain
Here she comes again
Here comes the rain
Hot sticky scenes, you know what I mean
Like a desert sun that burns my skin
I've been waiting for her for so long
Open the sky and let her come down
Here comes the rain
Here comes the rain
Here she comes again
Here comes the rain
I love the rain
I love the rain
Here she comes again
Here comes the rain
Oh, rain
Rain
Rain
Rain
Oh, here comes the rain
I love the rain
Well, I love the rain
Here she comes again
I love the rain
Rain
Rain»

16/06/15

Velvet, sogni e birre



Michele inizia a muovere la testa prima verso destra poi verso sinistra. Lo sguardo rimane fisso sulla stella che staziona, come ogni sera, di fronte al suo balcone. Continua. Continua fin quando quella non si traforma in goccia di cera. Poi smette.
Lontano arriva il suono confuso di uno spettacolo di piazza. Lacerti di applausi e chitarre. Voci.
Michele poggia le braccia sul ruvido del cemento e porta le mani al viso. Rimane così una buona mezz'ora prima di rientrare. La stanza è ordinata. Poche cose. Un divano, una libreria quasi vuota di fronte a quello. In fondo alla vista un cucinino poggiato su una base di marmo e alla sinistra di questi un piccolo corridoio lungo e largo circa un metro che precede la porta d’ingresso. Sul muro a destra un'apertura verso il bagno cieco.
Michele generalmente mangia poggiando le spalle alla base del divano e posando a terra le vivande, per questo un piatto con del resto di tonno è ancora lì a disturbare il quadro. Michele si china a raccoglierlo e lo depone nell’acquaio posto vicino al cucinino. Sotto quest’ultimo ha trovato spazio un piccolo frigo recuperato dal vecchio propretario in una discarica. Michele apre lo sportello e prende una birra, non prima di aver dato un’occhiata alle proprie scorte, ancora due confezioni da tre. Non è necessario uscire.
Getta il tappo nell'acquaio e si avvicina alla libreria per accendere il mini hifi. Parte Sister Ray.
Michele si sdraia sul divano e chiude gli occhi. La birra finisce presto. Poco fredda per perdere tempo.
Sogna di trovarsi all’inizio di una via strettissima e molto buia che dà verso quella che deve essere una grande piazza, luminosissima. Dal suo punto di osservazione riesce a vedere lontano il selciato luccicare e una porzione di quello che sembra essere un magnifico palazzo. Michele vorrebbe raggiungere quel luogo ma sente di avere paura, anzi è proprio come paralizzato. Attraversare quel buio lo angoscia. Inizia a sudare. Si accorge solo in quel momento di indossare un elegante completo grigio. Ha anche una cravatta con degli strani animali rossi dipinti su uno sfondo blu. Poggia la mano sul muro e prova a pensare come fare. Deve farcela. Deve arrivare lì. Improvvisamente sente delle voci alle sue spalle, sono dei ragazzini. Giocano a palla inseguendosi e urlando. "A me! A me!". "Dai passa!”.
Dall’alto dei palazzi la voce di una donna li richiama al silenzio. Michele non riesce a capire da dove provenga. Tutte le finestre sembrano chiuse. I ragazzi però non si fermano. Continuano a correre lungo la via fino a sparire alla sua vista nella luce della piazza.
“Dormi?”  La voce di Giulia arriva insieme ad un bacio.
Michele fatica un attimo a capire. Poi si alza per prendere e aprire un’altra birra.
“Cosa ci fai qui?”
“Avevo voglia di vederti”
“Non dire cazzate” dice Michele guardandola con un sorriso. Giulia gli si mette di fronte fissandolo sfrontata.
”E allora?”
“Vuoi che te lo succhi?”
Michele finisce la birra e torna sul divano.


 Sister Ray  by  The Velvet Underground

«Duck and Sally inside
They're cooking for the down five
Who're staring at Miss Rayon
Who's busy licking up her big man
I'm searching for my mainline
I said I couldn't hit it sideways
I said I couldn't hit it sideways
Ah, it's just like Sister Ray says

Rosy and Miss Rayon
They're busy waiting for her booster
Who just got back from Carolina
She said she didn't like the weather
They're busy waiting for her Sailor
Who said he's just as big as ever
He's just here from Alabama
He wants to know a way to earn a dollar
I'm searching for my mainline
I couldn't hit it sideways
Ah, just like Sister Ray said

Cecil's got his new piece
He cocks and shoots between three and four
He aims it at the Sailor
Shoots him down dead on the floor
Oh, you shouldn't do that
Don't you know you'll stain the carpet
Don't you know you'll stain the carpet
And by the way man, have you got a dollar
Oh no man, I haven't got the time time
Too busy sucking on a ding dong
She's too busy sucking on my ding dong
Oh, she does it just like Sister Ray said
I'm searching for my mainline
I said I couldn't hit it sideways
I couldn't hit it sideways
Oh, just like, just like Sister Ray says

Now, who's that knocking
Who's that knocking on my chamber door
Now could it be the police
They've come to take me for a ride ride
Oh, but I haven't got the time time
Too busy sucking on my ding dong
She's too busy sucking on my ding dong
Oh, now, just like Sister Ray said
I'm searching on my line
I couldn't hit it sideways
I couldn't hit it sideways
Oh now, just like, just like, just like.....
Sister Ray says.»


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