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10/07/13

7. Doni magici. I doni, spesso nel numero di tre, hanno poteri magici di cui l'eroe può essere, o meno, a conoscenza.

U sonnu ci calau facile. Sarà stato il primo frisco o la stanchezza per le cose che ci erano successe ma Calogero saddummisciu a colpo nel letto. La mattina dopo sarrusbigghiau che u gelataru sunava la campanella per la granita. Non ebbe neppure il tempo per lavarisi la faccia. Pigghiau i soldi dalla cassetta che teneva in cucina e scinniu di corsa prima che quello se ne andava:

"Oh! Arrivasti? Era la terza vota ca facevu sgrusciu cu sta cianciana!"
"Eh! Grazie Don Ciccio. Maddumiscii!"
"Eh certo! Voi carusi su pigghiati sonnu ci volunu i bummi. Chiffai ti pigghi a solita? E u puttasti u bicchieri?"

Don Ciccio faceva ancora la granita come allantichi che quando arrivava na ucca era una passione. Una delizia. E come a quelli aveva tenuto la tradizione che quando lui arrivava sutta ai palazzi uno doveva scinniri con il vetro pecchè diceva lui che allora la granita piddeva lanima con quei bicchieri di prastica dove la mettevano gli altri. Lui laveva visto crescere nella panza della madre a Calogero e poi crisciri anno dopo anno e per questo ci voleva bene e anche per qualche altro motivo che però Calogero non conosceva.

"Ecco! Una mandorla e una mandorla macchiata cioccolato. E due briosce vero? Ecchiffai? Mi runi i soddi? Lavissa sapiri che la domenica è festa e non si pava!"
"Ma..."
"Nenti ma e nenti ba! Acchianatinni prima ca si squagghia e salutami a to o ma! Mi raccumannu"
"Certo Don Ciccio. Certo"

Era duminica. Calogero ci pinsau ancora e poi ci vinni na testa che di sicuro quella del comune non sarebbe passata e allora acchianau di cursa che le cose da fare erano tante. E accussì fu.

La giornata allora la passò a casa che tanto senza pallone non cera gusto a scinniri e sempre più nervoso aspittava la sira e poi la notte. Quando fu tempo si ricordò di Cettina.
"Tanto su voli veniri mi viri dal balcone" pinsò e non se ne preoccupò assai.
Invece la picciridda era già sutta la finestra del panificio. La visti subito Calogero perchè ciaveva una vesticedda ianca tutta arraccamata con una cintura niura che le stringeva i fianchi e nelle mani poi macari una busta che di sicuro ciaveva delle cose dentro.

"Arrivasti finalmente!"
"Che è? Pinsavi che non ti chiamavo ca già si cà?"
"Comu su non ti canuscissi ti pari ca non ti viru cà e a scola macari comu ti comporti?"
"E come mi comporto?"
"U sai! Non cè bisogno che te lo dico io"
"Basta! Accuminciamo di nuovo?"
"No. No. Piuttosto... Ci pinsasti a comu acchianari? E con la finestra poi comu fai? Ci spacchi u vitru?"
"Non ci pinsai! Pacchianari pinsai ca visti che la signora Calì oggi ittau un comodino vicino alla munnizza. Mi pari dellaltezza giusta"
"Bene! Ti serve aiuto?"
"No. Ora ci vaiu e u pigghiu. Visti ca ciavi u mammuru di supra ca è ruttu. Ma iu ciù levo che così diventa leggero e facile da portare. E tu chicciai nella busta?"
"Nenti. Cioè puttai una pinza e questo tubetto di vaselina. Pinsai ca ti putevano sevviri. I pigghiai nellarmadietto"
"A vaselina? E chiè?"
"Ecchissacciu! Cerano dieci tubetti tutti i stissi che sarà che a mio padre ci serve spesso. E allora pinsai che magari puteva sevviri macari a tia"
"Va bene. Va bene. Allora staia tunnannu"
"Occhei"

Il comodino era più pesante di quanto aveva previsto che il marmo era rotto sì però tutto il pezzo ancora pareva nuovo con quattro iammitti alla francese che Calogero a pensare alla stanza da letto della signora Calì ci vinni darririri.
Quando finalmente ritornò Cettina era sparita. Sopra a una cassetta sotto alla finestra aveva lasciato in ordine la pinza il tubetto e la cintura niura che Calogero pigghiannula visti che era  lunga e resistente. 

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