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27/07/12

Si parte

Un saluto a tutti :-) lascio il link di un esperimento, la versione epub di un lavoro ancora, forse, in progress 


Il testo era diventato troppo lungo per inserirlo come semplice post e poi mi andava di pasticciare su questo formato (anche per future utilizzazioni didattiche). Avevo anche pensato all'autopubblicazione ma ho, successivamente, preferito desistere, mi pare già abbastanza questa "autocelebrazione" da blog.
Per realizzare il tutto ho utilizzato due programmi Sigil (produzione e visualizzazione epub) e Calibre (visualizzazione e conversione di vari formati) gratuiti e abbastanza semplici.
Infine, aggiungo il link per visualizzare il testo in pdf (formato certamente più diffuso).



ps Il testo è scaricabile cliccando sulle immagini

26/07/12

"Caro Paolo..."



Caro Paolo,

oggi siamo qui a commemorarti in forma privata perché più trascorrono gli anni e più diventa imbarazzante il 23 maggio ed il 19 luglio partecipare alle cerimonie ufficiali che ricordano le stragi di Capaci e di via D’Amelio.

Stringe il cuore a vedere talora tra le prime file, nei posti riservati alle autorità, anche personaggi la cui condotta di vita sembra essere la negazione stessa di quei valori di giustizia e di legalità per i quali tu ti sei fatto uccidere; personaggi dal passato e dal presente equivoco le cui vite – per usare le tue parole – emanano quel puzzo del compromesso morale che tu tanto aborrivi e che si contrappone al fresco profumo della libertà.

E come se non bastasse, Paolo, intorno a costoro si accalca una corte di anime in livrea, di piccoli e grandi maggiordomi del potere, di questuanti pronti a piegare la schiena e a barattare l’anima in cambio di promozioni in carriera o dell’accesso al mondo dorato dei facili privilegi.

Se fosse possibile verrebbe da chiedere a tutti loro di farci la grazia di restarsene a casa il 19 luglio, di concederci un giorno di tregua dalla loro presenza. Ma, soprattutto, verrebbe da chiedere che almeno ci facessero la grazia di tacere, perché pronunciate da loro, parole come Stato, legalità, giustizia, perdono senso, si riducono a retorica stantia, a gusci vuoti e rinsecchiti.

Voi che a null’altro credete se non alla religione del potere e del denaro, e voi che non siete capaci di innalzarvi mai al di sopra dei vostri piccoli interessi personali, il 19 luglio tacete, perché questo giorno è dedicato al ricordo di un uomo che sacrificò la propria vita perché parole come Stato, come Giustizia, come Legge acquistassero finalmente un significato e un valore nuovo in questo nostro povero e disgraziato paese.

Un paese nel quale per troppi secoli la legge è stata solo la voce del padrone, la voce di un potere forte con i deboli e debole con i forti. Un paese nel quale lo Stato non era considerato credibile e rispettabile perché agli occhi dei cittadini si manifestava solo con i volti impresentabili di deputati, senatori, ministri, presidenti del consiglio, prefetti, e tanti altri che con la mafia avevano scelto di convivere o, peggio, grazie alla mafia avevano costruito carriere e fortune.

Sapevi bene Paolo che questo era il problema dei problemi e non ti stancavi di ripeterlo ai ragazzi nelle scuole e nei dibattiti, come quando il 26 gennaio 1989 agli studenti di Bassano del Grappa ripetesti: “Lo Stato non si presenta con la faccia pulita… Che cosa si è fatto per dare allo Stato… Una immagine credibile?… La vera soluzione sta nell’invocare, nel lavorare affinché lo Stato diventi più credibile, perché noi ci dobbiamo identificare di più in queste istituzioni”.

E a un ragazzo che ti chiedeva se ti sentivi protetto dallo Stato e se avessi fiducia nello Stato, rispondesti: “No, io non mi sento protetto dallo Stato perché quando la lotta alla mafia viene delegata solo alla magistratura e alle forze dell’ordine, non si incide sulle cause di questo fenomeno criminale”. E proprio perché eri consapevole che il vero problema era restituire credibilità allo Stato, hai dedicato tutta la vita a questa missione.

Nelle cerimonie pubbliche ti ricordano soprattutto come un grande magistrato, come l’artefice insieme a Giovanni Falcone del maxiprocesso che distrusse il mito della invincibilità della mafia e riabilitò la potenza dello Stato. Ma tu e Giovanni siete stati molto di più che dei magistrati esemplari. Siete stati soprattutto straordinari creatori di senso.

Avete compiuto la missione storica di restituire lo Stato alla gente, perché grazie a voi e a uomini come voi per la prima volta nella storia di questo paese lo Stato si presentava finalmente agli occhi dei cittadini con volti credibili nei quali era possibile identificarsi ed acquistava senso dire “ Lo Stato siamo noi”. Ci avete insegnato che per costruire insieme quel grande Noi che è lo Stato democratico di diritto, occorre che ciascuno ritrovi e coltivi la capacità di innamorarsi del destino degli altri. Nelle pubbliche cerimonie ti ricordano come esempio del senso del dovere.

Ti sottovalutano, Paolo, perché la tua lezione umana è stata molto più grande. Ci hai insegnato che il senso del dovere è poca cosa se si riduce a distaccato adempimento burocratico dei propri compiti e a obbedienza gerarchica ai superiori. Ci hai detto chiaramente che se tu restavi al tuo posto dopo la strage di Capaci sapendo di essere condannato a morte, non era per un astratto e militaresco senso del dovere, ma per amore, per umanissimo amore.

Lo hai ripetuto la sera del 23 giugno 1992 mentre commemoravi Giovanni, Francesca, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Parlando di Giovanni dicesti: “Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione, perché mai si è turbato, perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? Per amore! La sua vita è stata un atto di amore verso questa sua città, verso questa terra che lo ha generato”.

Questo dicesti la sera del 23 giugno 1992, Paolo, parlando di Giovanni, ma ora sappiamo che in quel momento stavi parlando anche di te stesso e ci stavi comunicando che anche la tua scelta di non fuggire, di accettare la tremenda situazione nella quale eri precipitato, era una scelta d’amore perché ti sentivi chiamato a rispondere della speranza che tutti noi riponevamo in te dopo la morte di Giovanni.

Ti caricammo e ti caricasti di un peso troppo grande: quello di reggere da solo sulle tue spalle la credibilità di uno Stato che dopo la strage di Capaci sembrava cadere in pezzi, di uno Stato in ginocchio ed incapace di reagire.

Sentisti che quella era divenuta la tua ultima missione e te lo sentisti ripetere il 4 luglio 1992, quando pochi giorni prima di morire, i tuoi sostituti della Procura di Marsala ti scrissero: “La morte di Giovanni e di Francesca è stata per tutti noi un po’ come la morte dello Stato in questa Sicilia. Le polemiche, i dissidi, le contraddizioni che c’erano prima di questo tragico evento e che, immancabilmente, si sono ripetute anche dopo, ci fanno pensare troppo spesso che non ce la faremo, che lo Stato in Sicilia è contro lo Stato e che non puoi fidarti di nessuno. Qui il tuo compito personale, ma sai bene che non abbiamo molti altri interlocutori: sii la nostra fiducia nello Stato”.

Missione doppiamente compiuta, Paolo. Se riuscito con la tua vita a restituire nuova vita a parole come Stato e Giustizia, prima morte perché private di senso. E sei riuscito con la tua morte a farci capire che una vita senza la forza dell’amore è una vita senza senso; che in una società del disamore nella quale dove ciò che conta è solo la forza del denaro ed il potere fine a se stesso, non ha senso parlare di Stato e di Giustizia e di legalità.

E dunque per tanti di noi è stato un privilegio conoscerti personalmente e apprendere da te questa straordinaria lezione che ancora oggi nutre la nostra vita e ci ha dato la forza necessaria per ricominciare quando dopo la strage di via D’Amelio sembrava – come disse Antonino Caponnetto tra le lacrime – che tutto fosse ormai finito.

Ed invece Paolo, non era affatto finita e non è finita. Come quando nel corso di una furiosa battaglia viene colpito a morte chi porta in alto il vessillo della patria, così noi per essere degni di indossare la tua stessa toga, abbiamo raccolto il vessillo che tu avevi sino ad allora portato in alto, perché non finisse nella polvere e sotto le macerie.

Sotto le macerie dove invece erano disposti a seppellirlo quanti mentre il tuo sangue non si era ancora asciugato, trattavano segretamente la resa dello Stato al potere mafioso alle nostre spalle e a nostra insaputa.

Abbiamo portato avanti la vostra costruzione di senso e la vostra forza è divenuta la nostra forza sorretta dal sostegno di migliaia di cittadini che in quei giorni tremendi riempirono le piazze, le vie, circondarono il palazzo di giustizia facendoci sentire che non eravamo soli.

E così Paolo, ci siamo spinti laddove voi eravate stati fermati e dove sareste certamente arrivati se non avessero prima smobilitato il pool antimafia, poi costretto Giovanni ad andar via da Palermo ed infine non vi avessero lasciato morire.

Abbiamo portato sul banco degli imputati e abbiamo processato gli intoccabili: presidenti del Consiglio, ministri, parlamentari nazionali e regionali, presidenti della Regione siciliana, vertici dei Servizi segreti e della Polizia, alti magistrati, avvocati di grido dalle parcelle d’oro, personaggi di vertice dell’economia e della finanza e molti altri.

Uno stuolo di sepolcri imbiancati, un popolo di colletti bianchi che hanno frequentato le nostre stesse scuole, che affollano i migliori salotti, che nelle chiese si battono il petto dopo avere partecipato a summit mafiosi. Un esercito di piccoli e grandi Don Rodrigo senza la cui protezione i Riina, i Provenzano sarebbero stati nessuno e mai avrebbero osato sfidare lo Stato, uccidere i suoi rappresentanti e questo paese si sarebbe liberato dalla mafia da tanto tempo.

Ma, caro Paolo, tutto questo nelle pubbliche cerimonie viene rimosso come se si trattasse di uno spinoso affare di famiglia di cui è sconveniente parlare in pubblico. Così ai ragazzi che non erano ancora nati nel 1992 quando voi morivate, viene raccontata la favola che la mafia è solo quella delle estorsioni e del traffico di stupefacenti.

Si racconta che la mafia è costituita solo da una piccola minoranza di criminali, da personaggi come Riina e Provenzano. Si racconta che personaggi simili, ex villici che non sanno neppure esprimersi in un italiano corretto, da soli hanno tenuto sotto scacco per un secolo e mezzo la nostra terra e che essi da soli osarono sfidare lo Stato nel 1992 e nel 1993 ideando e attuando la strategia stragista di quegli anni. Ora sappiamo che questa non è tutta la verità.

E sappiamo che fosti proprio tu il primo a capire che dietro i carnefici delle stragi, dietro i tuoi assassini si celavano forze oscure e potenti. E per questo motivo ti sentisti tradito, e per questo motivo ti si gelò il cuore e ti sembrò che lo Stato, quello Stato che nel 1985 ti aveva salvato dalla morte portandoti nel carcere dell’Asinara, questa volta non era in grado di proteggerti, o, peggio, forse non voleva proteggerti.

Per questo dicesti a tua moglie Agnese: “Mi ucciderà la mafia, ma saranno altri che mi faranno uccidere, la mafia mi ucciderà quando altri lo consentiranno”. Quelle forze hanno continuato ad agire Paolo anche dopo la tua morte per cancellare le tracce della loro presenza. E per tenerci nascosta la verità, è stato fatto di tutto e di più.

Pochi minuti dopo l’esplosione in Via D’Amelio mentre tutti erano colti dal panico e il fumo oscurava la vista, hanno fatto sparire la tua agenda rossa perché sapevano che leggendo quelle pagine avremmo capito quel che tu avevi capito.

Hanno fatto sparire tutti i documenti che si trovavano nel covo di Salvatore Riina dopo la sua cattura. Hanno preferito che finissero nella mani dei mafiosi piuttosto che in quelle dei magistrati. Hanno ingannato i magistrati che indagavano sulla strage con falsi collaboratori ai quali hanno fatto dire menzogne. Ma nonostante siano ancora forti e potenti, cominciano ad avere paura.

Le loro notti si fanno sempre più insonni e angosciose, perché hanno capito che non ci fermeremo, perché sanno che è solo questione di tempo. Sanno che riusciremo a scoprire la verità. Sanno che uno di questi giorni alla porta delle loro lussuosi palazzi busserà lo Stato, il vero Stato quello al quale tu e Giovanni avete dedicato le vostre vite e la vostra morte.

E sanno che quel giorno saranno nudi dinanzi alla verità e alla giustizia che si erano illusi di calpestare e saranno chiamati a rendere conto della loro crudeltà e della loro viltà dinanzi alla Nazione.
Roberto Scarpinato
Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Caltanissetta

25/07/12

Le mirabolanti avventure del ragioniere Saladino (intersezioni 8/2)

Sull'autobus si sta fermi a guardare il vuoto, la nebbia che scorre dai finestrini, gli alberi, i portoni. Sugli autobus non si parla se si è da soli, al limite uno “Scusi” per una fermata improvvisa o il “Vuole sedersi?” se si è gentili. Un tempo si poteva fantasticare sugli autobus. Quando si era stanchi di fissare il vuoto uno sguardo correva rapido sugli altri passeggeri alla ricerca della sorpresa, del particolare rivelatore. E poi ci si affezionava a queste private congetture, a quelle inventate vite dei nostri sconosciuti amici. Da un po' è diventato tutto più difficile. L'autobus si è sempre più trasformato in una gigantesca cabina telefonica, a volte ha anche gli stessi colori, ed un flusso, un fiume di parole vi sono trascinate dentro, rivoli che alle fermate si disperdono, affluenti che lo rinforzano. Io ho la fortuna di fare presto, di poter sfuggire in fretta a questa condanna, di non aver ancora dimenticato quanto sia pieno il vuoto. Succede anche ai ragazzi, quelli soli dico, e ai più vecchi. Hanno gli stessi occhi a guardarli bene e la stessa luce un po' assente.

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Appena smette di piovere, appena possiamo, andiamo in giro. Sono lunghe passeggiate senza meta. A volte siamo solo attirati da un particolare sfuggito per anni al nostro sguardo altre da un rumore o un profumo. Giorgio ogni tanto mi guarda per indicarmi qualcosa o per farmi solo capire che è stanco. Quasi sempre i nostri giri portano al fiume.

24/07/12

Le mirabolanti avventure del ragioniere Saladino (intersezioni 7/2)

Una volta ho provato a seguirlo il fiume, non conoscevo ancora Giorgio, non ci eravamo incontrati. Poco lontano dal ponte una scala permette ancora di arrivare all'alveo, alla riva di ciottoli e sabbia, e da lì, poi, è semplice proseguire, pensare.
Sui piccoli isolotti le nutrie sgranocchiavano infreddolite spiando i bipedi curiosi in fuga sul lungargine, più lontano erano i pioppi ad attendere il mio arrivo. Camminavo lungo quel corridoio e cercavo, osservavo: arbusti, rane, cipressi, gelsi, ratti, salici, fagiani, faine.
Il fiume trascina e raccoglie, porta, il fiume inghiotte, salva il fiume e poi regala ogni cosa al mare. Era quello che dovevo fare: arrivare fin lì, sapere.

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“Tutto bene Borghetti?”
“Sì, sì, tutto bene”
“Mi relazioni allora! Attende che lo chieda io?”
“No, certo, no! Ho quasi finito dottore, mancano pochi ormai”
“Sì questo lo so, ma le reazioni? Ieri sono dovuto andare via molto tardi per evitare quegli scalmanati, sembravano attendermi con i loro striscioni e quei cori da stadio”
“Sono pochi, sono riuscito a dividerli, a isolarli, credo non siano più di dieci”
“Saranno pochi ma non vorrei fastidi, sa la stampa... le televisioni”
“Ho guardato bene le loro schede, non hanno contatti, finiranno per stancarsi, con quelli del sindacato non abbiamo avuto problemi, questi cederanno, piuttosto...”
“Piuttosto?”
“...crede che saremo spostati anche noi?”
“Spostati dove Borghetti?”
“Insomma dottore con questi numeri siamo diventati inutili, saremo accorpati?”
“Non credo debba interessarle questo. Lei ha fatto un buon lavoro Borghetti, eviti di fare domande inopportune”
“Sì, sì, certo, ma...”
“Bene è tutto, ritorni qui non appena avrà finito. Dovremo festeggiare, non pensa?”
“Bene”
“Bene... ah dimenticavo, non ho visto Saladino tra i nomi dei dismessi”
“Sì, in effetti...”
“Lei sta continuando a seguirlo, vero?”
“Sì, certo”
“Bene, bene Borghetti. Vada ora, vada.”

22/07/12

Le mirabolanti avventure del ragioniere Saladino (intersezioni 6/2)

Per andare a fare la spesa devo aspettare che Giorgio esca. Ho provato una volta a portarlo con me, ma lui era troppo attratto dagli odori, dalle forme. Non riusciva a stare tranquillo e sono dovuto uscire per un gelato, seduti insieme sul muretto eravamo di fronte alle porte scorrevoli, quelle attendevano solo che io rientrassi, ma io non l'ho detto a Giorgio.
Vicino a noi commesse in pausa fumavano commentando tra loro le ultime fatiche sul computer, due padri in attesa chiacchieravano su vecchie conquiste, un cane sbadigliava distratto. Giorgio non voleva proprio rientrare e allora ho rinunciato. Non mi serviva molto, in fondo. Non ci serve molto. Così attendo che Giorgio esca e poi vado: è che amo i grandi supermercati. Puoi girare per ore senza acquistare nulla, ogni tanto un prodotto che attira la tua attenzione, qualcosa che sia degno prendere tra le mani per cercare magari solo la fabbrica di produzione o gli elementi della composizione. A volte mi diverto a fare raffronti. E' strano come alcuni di questi prodotti siano perfettamente uguali tra loro e, parallelamente, totalmente diversi fuori. Ci sono tante persone così e forse non è molto strano mi dico, allora sorrido e rimetto tutto in ordine che non vorrei mai fare lavorare inutilmente qualcuno per me. Non vado mai allo stesso supermercato però, alla lunga potrebbero riconoscerti e non va bene. E poi capita sempre di trovare qualcosa di nuovo, di strano. Io per me da anni acquisto poche cose, non serve molto.

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21/07/12

Le mirabolanti avventure del ragioniere Saladino (intersezioni 5/2)

Non capisco perché abbia chiesto a me, io non lo capisco quel Saladino, non so come parlargli. Il capo però mi è sembrato deciso, magari è una prova. Sì! Sicuramente vuole vedere come me la cavo, magari ci scappa anche un aumento una promozione. Forse dovrei invitarlo fuori, non c'è modo di parlare in ufficio senza essere sentiti e già sarà difficile così. Cazzo non mi piace questo incarico, non lo capisco quel Saladino, non lo capisco.

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Non mi molla, bene! Gli darò i risultati che aspetta. Certo quel tipo è proprio andato, poveraccio. Chissà se soffrirei anch'io così. Chissà se riuscirei a soffrire così. L'ho guardato bene, sembrava non gli interessasse granchè quello che gli dicevo, anzi credo non mi stesse neanche a sentire. Mah! Forse dovrei farlo affiancare da qualcuno per un po'... Sironi, potrei chiedere a lui, è ben al di sopra della media di produttività non dovrebbe soffrire molto sui risultati. No, non va bene, non posso rischiare di abbassarne il rendimento, è il mio piccolo stakanov, mi serve. Lo affiancherò io, sì, credo sia la soluzione migliore,sì.

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Il dottor Guarino! Come se non sapesse anche lui che quello è solo un pallone gonfiato! Penso solo che abbia paura di bruciare la sua promozione. Non si parla d'altro in ufficio da un po' di tempo. C'è anche chi dice che vorrebbero candidarlo e non ci sarebbe nulla di strano se fosse vero. Il dottor Guarino! Lo metterei volentieri di fronte a Saladino, chissà come se la caverebbe quel vecchio borioso. Il dottor Guarino! 'Fanculo Guarino! 'Fanculo!

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Non riesco più a reggerlo, non ce la faccio. Sembra non rendersi conto di nulla, non avere nessun rispetto delle regole. Eppure l'ho visto lavorare: è gentile, attento. Anche le sue risposte sembrano sicure, esatte. Certo magari è un po' lento, ma il pubblico non sembra molto innervosirsi per l'attesa. Quella vecchietta! L'ho vista tornare tre volte in tre giorni e mi è sembrata dispiaciuta quando Saladino le ha consegnato la pratica. “Lei è troppo rapido” gli ha detto, per un lavoro che poteva essere tranquillamente svolto in un paio di ore. “Lei è troppo rapido”gli ha ripetuto è mi è sembrato quasi che fosse qualcosa di rivolto a me, che volesse segnalare a me le capacità di quell'attore. Che strano, ho pensato “attore”. Debbo riposarmi, mi sa.

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Cazzo allora era vero, allora non mi ero sbagliato. Benedetto sia quel Saladino. Lo sapevo che non era un caso l'averlo affidato a me, lo sentivo. Certo non sarà semplice. Debbo prepararmi. Studiare. Non posso convocare tutti qui in fila e dire loro “Grazie, ma non servite più”, no! Scovare i loro punti deboli, farli sentire in colpa. Aumentare la produttività nel momento stesso in cui vengono mandati via. Ti ricordi quel film Borghetti? Sì, gli agenti immobiliari, Jack Lemmon, come cazzo si chiamava, quel film insomma. Dovrò avere tutte le informazioni sul mio tavolo, tutta la loro vita tra le mie carte. Non posso non farcela, cazzo, non posso!

20/07/12

Le mirabolanti avventure del ragioniere Saladino (intersezioni 4/2)

Dal frigo ho tirato fuori due scatolette di tonno e ci siamo messi lì a mangiare che non c'era neanche del pane, ma non ne sentivamo il bisogno. Giorgio non parlava, leccava la scatoletta e muoveva un po' i fianchi. Io avrei voluto ancora parlare della nebbia, ma dopo aver mangiato non avevamo più la voglia così: “Buonanotte!” gli ho detto, “Buonanotte!” mi ha risposto prima dei miei sonni bui. E' che non riesco più a sognare o a ricordare il sogno, non so bene. Una volta avevo visto qualcosa dove dei medici svegliavano la gente che dormiva e quelli raccontavano loro i loro sogni, come fosse semplice, come fosse qualcosa imparato a memoria. Io i miei sogni non li ricordo, non li ho ho mai ricordati forse. Dovrei chiedere a Giorgio di svegliarmi come quei dottori e di chiedermi e di graffiarmi se rifiuto di collaborare, di mordermi pure, purché io parli, io dica. Non ricordo i sogni .

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Il mio lavoro è quello che ho da anni. Mi è arrivato così che un giorno Tecla ha aperto una busta e lì dentro lui mi aspettava e mi invitava e mi suggeriva di presentarmi. Il mio lavoro è quello che ho e la gente mi chiede e io cortesemente rispondo. A tutti che non sta bene dimenticare qualcuno o pensare “No, tu mi sei antipatico” oppure “Non ho mai amato quel tipo di persone”. Io rispondo e consiglio e indico e facilito. Il mio lavoro è quello che ho e non riesco più a immaginarmi prima quando facevo altro, quando vivevo altro.

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Ti muovevi lentamente su di me, il bacino tracciava piccoli cerchi mentre le mie mani stringevano i tuoi fianchi. Fare l'amore con lentezza, come se non dovesse mai finire, come se quell'io dentro te non fosse solo il misero avanzo di una animalesca evoluzione ma il ponte verso un nuovo corpo. Fare l'amore senza mai stancarsi di averne voglia, di cercarsi. Fare l'amore come condannati, come forsennati, come figli del demonio perché nulla può essere negato. Sentirti mia, sentirmi tuo, puri.

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19/07/12

La stanza buia


“Per accertare la verità sulla strage di Borsellino prima ancora che domandarci chi uccise Paolo dobbiamo interrogarci sul perché Paolo è stato ucciso.
Era questa la stessa domanda che Borsellino si poneva a pochi giorni dalla morte dell'amico e collega Giovanni Falcone.
In tutti noi che al tempo eravamo lì in via d'Amelio c'era la consapevolezza che c'era qualcosa di anomalo in quella strage, di quasi unico che non si spiega solo con il fatto che Paolo era un nemico giurato di Cosa Nostra. Vent'anni sono tanti e troppi perché si accerti la verità su un fatto del genere.
Qualche anno fa eravamo all'anticamera della stanza della verità, ora ci siamo dentro.
Siamo dentro la camera sia la Procura di Palermo che la Procura di Caltanissetta che ha sventato quello che è stato un depistaggio che ha costruito e fabbricato a tavolino una verità apparente su cui erano state costruite sentenze definitive per cui innocenti sono stati in carcere. Ora che siamo entrati anziché trovare una stanza illuminata siamo di fronte ad una stanza buia in cui qualcuno ha sbarrato le finestre, e dove le luci artificiali non funzionano perché sono fulminate le lampadine. Noi ci troviamo lì con le candele.
Trovo scandaloso che in questi vent'anni non una sola commissione d’inchiesta sia stata aperta sugli anni delle stragi del ’92 e ’93 e sulla trattativa, in un Paese come il nostro in cui sono state fatte commissioni d’inchiesta su qualsiasi cosa.
Questo è scandaloso: lo dico da cittadino e da magistrato, nonostante costituisca una parziale riparazione la commissione Pisanu che ha messo al centro dell’attenzione questa inchiesta, anche se lo ha fatto al traino della magistratura di Palermo e Caltanissetta che ha aperto queste indagini.
Va bene lo stesso, anche se le nostre spalle cominciano a diventare sempre più curve. La responsabilità tocca anche ad altri. Per questo chiediamo che la politica faccia dei passi avanti seri e concreti nell’accertamento delle responsabilità politiche. Sarebbe ora che lo facesse, non tocca a noi farlo.
Un imputato, il senatore Marcello Dell'Utri, mi ha definito pazzo e devo dire che a volte mi ci sento.
Penso di essere pazzo perché credo nella possibilità che si possa ottenere e raggiungere nonostante tutto la verità sui grandi misteri del nostro Paese.
Mi sento pazzo perché sono ancora convinto che la nostra democrazia possa ancora diventare piena giungendo alla vera verità, non accontentandosi della mezza. Mi sento pazzo di fronte all'imbarazzo per la verità e alla paura che spesso si denota anche dentro le istituzioni anche più insospettabili. Sono pazzo perché credo in un'Italia che abbia il coraggio della verità, conquistata a qualsiasi prezzo e senza paura”.

18/07/12

17/07/12

"Incognito" di Raffaele Birlini

La letteratura, come qualsiasi attività umana, necessita di riconoscimento. L'appagamento dell'autoreferenziale fa capo a capacità critiche e risorse di autostima chiamate a superare la forza dirompente dell'ostracismo, l'arma sociale preferita nelle società umane che nemmeno le scimmie sono così crudeli da utilizzare. Puoi essere l'orologiaio più capace del mondo e non trovare non dico acquirenti per le tue sveglie, ma nemmeno esperti in materia disposti a fare pubbliche ammissioni. Ci vuole una grande forza interiore per fare a meno del riconoscimento pubblico, ufficiale, è rivoluzionario l'atteggiamento del fuori concorso, di chi non partecipa alla competizione perché non condivide le regole o denuncia la soggettività delle premiazioni. Perché se fai orologi puoi dimostrare che i tuoi sono più precisi, ma non puoi dimostrare nulla se scrivi, canti, reciti, fotografi, pensi, fai cultura.
È facile paragonare all'onanismo la pratica di chi non rivolge la sua produzione a un pubblico. È facile paragonare a facili costumi chi dà via la sua produzione gratuitamente. Il paragone col sesso è calzante: se lo fai per te stesso non va bene, se lo fai gratis al primo che passa non va bene, se lo fai a pagamento col primo che passa è già più accettabile, e in fondo è quello che fanno tutti coloro che hanno successo. È raro che qualcuno venga riconosciuto per un lavoro non espressamente finalizzato a gratificare un acquirente ben identificato, che sia l'adolescente con soldi in tasca per comprare canzoni d'amore, che sia il partito politico che vuole modificare i comportamenti sociali, che sia il cittadino medio che occupa una fascia di mercato lasciata scoperta. Se invece pensate davvero che la cultura sia un fiore spontaneo allora vi lascio tranquilli a brancolare nei dolci pascoli dell'ingenuità.
Prendete per esempio il testo di una canzone di un cantautore famoso, di quelli che gli danno le lauree honoris causa, che ogni tanto salta su qualcuno a dire che dovrebbero insegnarle a scuola. Sembra un testo fantastico, pieno di emozione e sentimento, di una profondità abissale in grado di far piangere i sassi, lo è fino a quando non immaginate che l'abbia scritto un liceale brufoloso sconosciuto, uno che si comporta male, dice le parolacce e fa il buffone. A quel punto ditemi che non andate in tilt. Non c'è il personaggio sul palco, vestito così, coi capelli così, il tatuaggio, il trucco, oppure con l'aria normale del bravo ragazzo, insomma non c'è materiale per dargli un riconoscimento ufficiale. Se il vostro cameriere scrivesse una poesia e ve la mostrasse voi lo guardereste come si guarda un cane finito sotto la macchina. La stessa poesia riportata in tv e sui giornali, citata da giornalisti e trasmessa alla radio diventa un capolavoro.
Non è colpa di nessuno. È così che funziona. Il pubblico, tranne rare eccezioni, non è in grado di giudicare da sé il valore di opere culturali. La gente si appoggia al riconoscimento ufficiale. Una volta questo riconoscimento veniva dall'alto, c'era un establishment, un'intellighenzia che decideva chi riconoscere. Nelle dittature venivano riconosciute solo opere grate al Partito, il resto era underground, era dissidenza, era rivoluzionari-reazionari che rischiavano galera, tortura, campi di rieducazione e condanne a morte. Adesso l'underground è diventato nazional-popolare, adesso il riconoscimento è dato dalle copie vendute e non dai premi della giuria, adesso sei scrittore perché il tuo libro è stato pubblicato, lo sei ancora di più se hai venduto tante copie. Adesso ci sono case discografiche, case editrici, vere e proprie industrie commerciali che non hanno nulla di culturale ma fanno un investimento sull'autore, analizzando le preferenze di mercato, programmando la sua carriera a tavolino, comprando la popolarità dell'autore adottato e inserito nella scuderia aziendale a suon di promozione e visibilità mediatica.
Ecco perché io ho scritto qui sul web, in questi anni, solo per mio figlio, per dimostrargli che non ho mai avuto paura di mostrarmi per quello che sono, che non ho niente da nascondere, mio figlio è il mio unico pubblico, l'unico pubblico che mi sia mai interessato. Ecco perché non me ne frega niente, in fondo, di essere riconosciuto dal mondo quando parlo del mondo, dell'economia, della filosofia, dell'arte, e me ne tornerò presto a farmi gli affari miei, a giocare a gw2, fare passeggiate, dedicarmi a hobby privati che non necessitano né aspirano ad alcun riconoscimento pubblico, tornerò a far finta che non esista questo baraccone mediatico e neppure i clienti che gli danno modo di funzionare. Perché anche l'amore ha bisogno di riconoscimento per esistere, non puoi dire di aver sperimentato l'amore se hai sempre e solo amato te stesso, perfino un dio non sarebbe tale senza qualcuno in grado di riconoscerlo come tale. Ma anche pretendere di essere dio è superbia, foss'anche dio a pretenderlo, il risultato è che siamo liberi, e per me essere libero e avere la capacità di rendermene conto è più che sufficiente, anche a costo di dover bastare a me stesso.

Fonte: Titolo a caso di Raffaele Birlini

16/07/12

15/07/12

Le mirabolanti avventure del ragioniere Saladino (intersezioni 3/2)

Quando si smette di correre, quando ci si ferma, le cose, gli oggetti, le stesse persone smettono di apparire deformate, scie nel tempo. Ogni cosa diviene un piccolo pianeta e si può partire sicuri alla sua scoperta. Io questo, Giorgio, non lo sapevo. Magari lo avevo solo percepito, magari lo avevo solo immaginato ma continuavo a muovermi senza più pensarci, perché è l'inerzia che ci frega, perché costa più fatica bloccarsi.

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Ha fiori biancastri, piccole foglie e il suo nome ricorda il coraggio, il suo aroma infonde vigore. Era questo l'unico timo che conoscevamo, aggrappato alle rocce, ben saldo con tutti quei rami. Poi venne l'altro, la tua tosse sempre più forte, i dolori al petto. “Timoma” diagnosticò il dottore, nascondendo un po' il viso.
Sull'enciclopedia non c'era molto, leggevamo ripetendo le parole, sfogliando sui tanti rimandi, ingannando la paura: il tumore è inizialmente circoscritto al timo, superata la capsula di rivestimento invade il rivestimento della cavità toracica prima di attaccare direttamente il pericardio e il polmone. Semplici parole; io, allora, scrutavo il tuo torace a spiare il nemico, tu, invece, i miei occhi a cercare il tuo tempo.

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Al limite del giardino una rete in metallo separa questo da una scuola. A volte Giorgio si fa prendere dalla curiosità e si ferma a spiare i piccoli alieni vocianti. Io lo lascio fare, so che starà a debita distanza che più di una volta la sua coda ha rischiato di divenire fune, eppure mi accorgo che è come se non riuscisse a rinunciare al suo bisogno di sbirciare. Quando, poi, mi avvicino guarda me e loro prima di strusciarsi sulla mia gamba e di chiedermi se mi piacerebbe.
“Non lo so, non lo so Giorgio se mi piacerebbe, e a te?”
Lui non risponde, non lo fa mai quando qualcosa lo infastidisce, ma non ho ancora capito cosa sia.

14/07/12

Le mirabolanti avventure del ragioniere Saladino (intersezioni 2/2)

“Ciao” le ho detto e lei mi ha sorriso e quel sorriso mi è sembrato il più dolce che io avessi mai ricevuto.
Penso ancora a Saladino, è strano confrontarsi con chi pare ti guardi dentro. Non so come abbia fatto a capire di Cloe, di me. In effetti i nostri discorsi, quando ci sono, sono sempre fatti di poche parole sul lavoro, eppure. Mi ha fatto ridere con quella storiella degli ospiti sui miei baffi, non so proprio da dove tiri fuori queste sciocchezze, forse è veramente un po' pazzo, forse è ancora il dolore che porta dentro a farlo deviare da ogni logica. Certo che però mi pareva parlasse di noi, di me e di Cloe, del nostro sereno segreto, del nostro gioioso amore.
Sereno segreto, gioioso amore... si diventa ben sciocchi quando ci si innamora, eppure sono passati tanti anni, eppure statisticamente non dovrei più, non dovremmo, statisticamente.
Sono già arrivato all'ottanta per cento del personale dismesso. Graziosi mi è sembrato contento, come non sapessi che alla fine toccherà anche a me, anche a lui, forse. Sto solo guadagnando tempo buttando sulla strada quei poveracci. Credo che anche quelli che restano stiano iniziando a capire. Fuggono tutti da me, anche gli adulatori, ma questo forse è un bene. Non mi costringe a fingere, non mi lega a nessuno. Iniziano anche a fare assemblee, scioperi. Eppure i primi che ho eliminato sono stati quelli che potevano fare più casino, i sobillatori. So fare bene il mio lavoro, io. Le informazioni le avevo tutte, non lascio nulla al caso. Che buffo analizzare anche la loro vita in rete. Non si dovrebbe mai lasciare così tante tracce, dall'ufficio poi! I viaggi economici, le perversioni private, il medico più bravo, l'amico virtuale, le news degli scontri, la dieta dell'estate. Come nel gioco dell'unire i puntini diventa facilissimo formare la figura e tutto questo sono loro a darmelo, il loro dimenarsi nei momenti di ozio. Certo devo stare attento. Ho chiesto a Graziosi di non evidenziare mai i dati che ho raccolto. Non credo sia perfettamente legale, ma dobbiamo difenderci, devo difendermi.
Anche da te amore mio, anche da te mia dolce Cloe. E ora ti sei nuovamente addormentata e io non muovo un muscolo per non svegliarti, per poterti ancora osservare così, indifesa, tra le mie braccia, per poterti sussurrare mille volte che ti amo senza sentirmi sciocco, senza aver paura di piangere.

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Quando sono a casa e Giorgio già dorme mi piace sedermi sulla nostra poltrona a guardare il muro. Scopro sempre qualche particolare che prima mi era sfuggito. Qualcuno le chiama imperfezioni: punti in rilievo, un colore impercettibilmente più scuro o più chiaro, piccole crepe.
E' il nostro spazio che invecchia, sono io che invecchio. Mi piace pensarti, seduto su quella sedia, come se tu fossi qui, come se tu sapessi.

Woody Guthrie (Okemah, 14/07/1912 – New York, 03/10/1967)


Saturday marks the 100th anniversary of the birth of Woody Guthrie, the greatly influential folk singer whose music was inseparable from the hard circumstances of his life and his deep sense of social justice.
“A folk song is what’s wrong and how to fix it,” Guthrie once said, “or it could be who’s hungry and where their mouth is or who’s out of work and where the job is or who’s broke and where the money is or who’s carrying a gun and where the peace is.”
To help mark the milestone we bring you rare footage, above, of Guthrie singing “The Ranger’s Command” in 1945. The clip is from the 1988 BBC Arena documentary, Woody Guthrie, which can be seen in its entirety below. The film is a vivid portrait of the singer, with rare audio recordings of Guthrie speaking, along with interviews with Alan Lomax, Jack Elliot, Pete Seeger, Arlo Guthrie and more. As BBC Arena editor Anthony Wall writes of the film’s subject:

“This land is your land”, sang Woody Guthrie, his mission to reclaim the true America from the lawyers and politicians and thugs and return it to the people. He said he was just trying ‘to tell people what they already know’. Originally from a comfortably-off family in Oklahoma, he took to the road and rails to chronicle in song the depression and dustbowl. A fabulous example of American self-invention, ‘Guthrie came with the dust and he went with the wind’


For more on the Woody Guthrie Centennial, visit Woody100.com. The Web site features a biography with photographs and other materials, a “song of the day,” and a 2012 calendar of events. This weekend there are several big events in New York, including a birthday party Saturday on Coney Island, with appearances by Billy Bragg, Steve Earle and Guthrie’s daughter, Nora, along a free screening the film “Bound For Glory” on the beach. On Sunday, Arlo Guthrie and others in the Guthrie family will give a free concert in Central Park. And for more Guthrie resources, go to:
  • SoundPortraits.org to download audio of Alan Lomax’s 1940 interview with Guthrie, along with a transcript of the conversation.
  • CulturalEquity.org, host of the Alan Lomax Archives, for several short but interesting takes of Guthrie singing political songs in 1948, including “If Dewey Gets Elected” and “The Road is Rocky.”
  • NPR.org for a 40-minute radio program, “Fresh Air Celebrates Woody Guthrie at 100.” Terry Gross interviews Guthrie biographer Ed Cray and Smithsonian Folkways archivist Jeff Place, who co-produced the new box set Woody at 100.
  • DemocracyNow.org for a one-hour television special, “On Woody Guthrie’s Centennial, Celebrating the Life, Politics & Music of the ‘Dust Bowl Troubadour.’” Hosts Amy Goodman and Juan Gonzalez interview Woody’s daughter Nora Guthrie, author of the new book, My Name is New York: Ramblin’ Around Woody Guthrie’s Town, and his granddaughter Anna Canoni, along with musician Steve Earle. The show also features rare audio recordings of Guthrie speaking.
Fonte: http://www.openculture.com

12/07/12

Le mirabolanti avventure del ragioniere Saladino (intersezioni 1/2)

I ragazzi dell'ufficio si preparano a manifestare, la gente della città si prepara a manifestare e improvvisamente mi pare di non riconoscerli più quei colleghi così tanto salutati, quei volti tante volte incontrati. Mi sembrano altri, spauriti nelle loro facce di forzati contestatori, tristi, quasi sentissero la necessità di quello che si apprestano a fare avendone, però, smarrito il senso, la storia.
Eccoli qui sulla via davanti alla sede, gocce che non diventano nuvola, prigionieri felici dei propri rapitori.
Da mesi io e Giorgio ne incontriamo parecchi e lui ogni volta cambia strada come se non volesse vedere, non volesse ascoltare. Forse lo fa per difendermi dalla polizia oppure è solo un piccolo crumiro, io lo seguo senza opporre resistenza tanto lo so che prima o poi tutto ci si ripresenterà davanti e non avremo più strada quella volta o possibilità di fuga.

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Anche oggi Borghetti parlava poco. A volte credo abbia paura di me lo vedo nelle sue mani che si muovono disordinatamente, nelle spalle che oscillano senza un vero perchè, nella birra che scende giù troppo in fretta o troppo lentamente.
Borghetti oggi parlava poco e allora mi sono sforzato un po' e gli ho chiesto della famiglia, ma poi non ho atteso la risposta che tanto si dicono sempre le stesse cose e gli ho descritto, invece, la donna che fa capolino tra i suoi baffi, il suo amico in costume. Lui allora ha iniziato a sorridere e si è illuminato anche. Credo abbia pensato che io sapessi, ma io non so nulla, nulla.

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Ho fissato mio figlio, cercavo di rintracciarmi, di ricordarmi com'ero, dentro i suoi occhi, ma faticavo, non riuscivo. L'ho visto, poi, prendere le chiavi di casa e uscire. Ero invisibile dietro la sua ombra e mi sono detto che lo avrei lasciato andare non appena lo avrei visto incontrare gli amici o la nuova morosa. Lui invece ha iniziato e poi continuato a percorrere il tratto di strada attorno all'isolato e i suoi passi tracciavano a poco a poco un solco sempre più profondo, un fossato come nei castelli e io ne ero fuori, irrimediabilmente. Così mentre rientrava a casa e dalla finestra mi salutava beffardo con la mano io l'ho guardato piangendo e non sapevo allontanarmi e non riuscivo ad avvicinarmi. Mi sono svegliato che la mano di Cloe era sul mio viso e la mia tra le sue gambe.


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"Finalmente anche voi siete come tutti gli altri"
"Pensa?"
"Eh sì! Me lo lasci dire! Io ho cambiato sette lavori nella mia vita, cosa crede? E lei invece? E i suoi colleghi? Comodo così"
"Ecco lei è un gatto allora"
"Cosa centrano i gatti? Ma cosa dice?"
"Anche i gatti cambiano vite sa? Sette per l'esattezza, me lo ricorda sempre il mio Giorgio che qualcuna, di sicuro, lui l'ha già persa, non lo sapeva?"
"Sì, sì, comunque... ora toccherà pure a lei"
"Io cercherò solo tra quello che non è stato"
"Ah! Ho capito! E' ripartito il computer? Non mi faccia perdere tempo, ho fretta"
"Certo signore, non ha mai smesso di funzionare. Nulla smette mai di essere"
"Ecco, bene. Mi dia la pratica allora, è pronta no?"
"No, deve attendere. Manca ancora un visto"
"Cazzo mi dia quella pratica, è la terza volta che mi fate tornare qui"
"Certo signore, manca solo un visto. E' il mio sa?"
"Ma mi prende in giro? Mi faccia parlare con qualcuno, lei..., lei non mi sembra in grado di..."
"Certo signore, certo"

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"Taglia le ali alle armi"

Taglia le ali alle armi 75.000 firme di cittadini, 650 associazioni, il sostegno di oltre 50 Enti Locali(tra Regioni, Province e Comuni). Saranno questi i protagonisti della giornata di mobilitazione che la campagna "Taglia le ali alle armi" (promossa da Rete Italiana per il Disarmo, Sbilanciamoci! e Tavola della Pace) ha deciso di organizzare giovedì 12 luglio, come momento conclusivo della seconda fase di azione prevista dalla campagna stessa. Negli ultimi mesi l'attenzione sul tema delle spese militari e del particolare spreco costituito dai caccia Joint Strike Fighter è cresciuta moltissimo anche grazie a tutte le informazioni diffuse dalle associazioni e dai gruppi che hanno sostenuto "Taglia le ali alle armi".
Dai problemi tecnici ai costi sempre in aumento, dai dubbi di tutti gli altri paesi partner alla ostinata decisione di continuare l'acquisto da parte del nostro Ministero della Difesa, alle inesistenti "penali" sulla cancellazione dell'acquisto l'opinione pubblica ha avuto modo in questi ultimi mesi di capire meglio cosa sta dietro al progetto del caccia F-35. E comprendere come si tratti dell'ennesimo e gigantesco spreco di denaro pubblico a sostegno delle spese militari distolto invece da usi socialmente ed ambientalmente più utili e necessari.

Per sostenere il nostro rinnovato appello al Governo per un cambio di linea su questo progetto - anche a nome delle migliaia di persone che hanno sostenuto la campagna - l'appuntamento è per le 12.45 di giovedì 12 luglio a Roma in Piazza Montecitorio, davanti alla Camera dei Deputati.

La mobilitazione di piazza sarà preceduta da una Conferenza Stampa al Senato della Repubblica incentrata sulla posizione della nostra campagna in merito alla revisione dello strumento militare (il cosiddetto DDL Di Paola) in corso di discussione in Parlamento: un provvedimento che non porterà a nessun vero risparmio ma sposterà l'impiego di risorse pubbliche verso nuovi acquisti di sistemi d'arma, come anche confermato dalle decisioni prese nell'ambito della "spending review". Mentre il Governo ha infatti deciso di intervenire ancora una volta in maniera drastica sulla spesa sociale e sanitaria, le riduzioni per la Difesa e per l'acquisto di armamenti si limitano a poche decine di milioni e definiscono una diminuzione degli effettivi delle Forze Armate che si realizzerà solo dopo diversi anni. Nel contempo non vengono toccati gli investimenti per l'acquisto di armamenti: un'ipotesi di taglio di 100 milioni anno sui capitoli di spesa per le armi è stata infatti all'ultimo momento rigettata.

Fonte: http://www.disarmo.org/nof35/

11/07/12

Melchiorre Magoi -2-


E comunque Melchiorre impazzeva per la musica che la radio era sempre accesa quannu era intra e quando poi non cera nessuno lui ne approfittava per girare la manopola e cercare le stazioni strane oppure per alzare il volume che tutto rimbombava nella testa e ogni vota con quel rumore non se ne accorgeva nemmeno che qualcuno era ritornato a casa.
Cerano tante canzoni dentro a quella scatola. A lui piacevano soprattutto quelle chini di culuri: Maurizio che cantava L'Amore è blu ma ci sei tu oppure Acqua azzurra acqua chiara di Battisti. Cose accussì insomma che di qualche frase o parola ci sfuggiva il significato ma si puteva sempri inventare che tanto era u stissu e lui poi se le ricordava tutte a memoria.
Sua madre invece era innamorata di Antoine e cè la cantava sempre a so marito la canzone del caffè che quello era affissato che il caffè lo doveva fare lui che ciaveva un trucco speciale per farlo buono: si trattava di ammiscari fino a farle diventare spuma le prime gocce con lo zucchero e solo dopo versarci il resto. Veniva fora una cremina dolce come a quella del bar che so mugghieri per farlo felice di quel travagghio ci faceva ogni vota tremila complimenti.
Melchiorre ci piaceva quel trucco. Certo ciaveva il suo guadagno. Infatti arristava sempri tannicchia di zucchero nel fondo della tazzina e lui se lo poteva prendere senza chiedere a nessuno che ce lo permettevano.
Quannu poi finevunu di mangiari in genere si rummeva tannicchia. Soprattutto su cera cauru. Se poi suo padre aveva travagghiatu fino a tardi non doveva avvulari una musca che allora erano coppa sicuro.
Melchiorre ne approfittava pi nesciri. Si mitteva i manu ne sacchetti e si faceva un giro. Fu accussì che a picca a picca accuminciau a canusciri il quartiere e la genti macari e quelli a canusciri a iddu.

Fonte immagine: Fabio D'Angelo

"Sí se puede" - La 'marcha negra' por el centro de Madrid


Oggi, lunedì 18 giugno, è una giornata nuvolosa nelle Asturie, e questo è normale nella “regione verde” della Spagna. A mano a mano che ci si allontana dalla costa, si incrociano prati di un verde intenso, montagne che scompaiono nella nebbia, mentre l’“orbayu”, una sottile pioggerella, leggera come un manto di seta umida, si appropria di tutto ciò che tocca, ricoprendolo con una patina di acquerugiola che è come l’eterno corredo delle Asturie.
Basta allontanarsi dalla costa una trentina di chilometri per arrivare alla regione mineraria, alla cuenca, a città di palazzi stretti l’uno all’altro come Mieres e Langreo che, come tutti i paesi della zona, oggi si sono completamente fermati per uno sciopero di solidarietà con i minatori del carbone.
Siamo nel 2012, l’anno del peggio del peggio della crisi provocata dagli speculatori e dai banchieri, da quel miserabile 1 per cento dell’umanità che si è appropriato del 99 per cento della ricchezza planetaria. È l’anno dello sconforto e del rinchiudersi in sé stessi pensando a come salvarsi, anche a scapito degli altri, è l’anno dell’egoismo e della disumanizzazione generale. Ma nelle cuencas mineras hanno rispolverato la vecchia bandiera della solidarietà di classe. Sì, della Solidarietà di Classe, perché le differenze di classe oggi sono più forti che mai, anche se alcuni sostengono che questa è storia, e che la storia è morta.
La storia è ancora viva nelle cuencas mineras e la percentuale di adesioni allo sciopero è stata del 100 per cento non solo nelle Asturie, ma in tutte le regioni spagnole che hanno miniere di carbone. Lo sfruttamento di carbone e antracite, le miniere e il lavoro degli uomini che scendono nelle oscure profondità della terra, sono sempre stati moneta di scambio per i governanti spagnoli. Già nel 1962, quando la Spagna franchista veniva accettata nella Comunità economica europea, antecedente dell’attuale Unione europea, il dittatore confidava a suo cugino e segretario militare, Francisco Franco Salgado-Araujo, che le miniere di carbone spagnole avevano i giorni contati perché l’Europa voleva favorire quelle del bacino della Ruhr, in Germania, e quelle della Polonia, i cui giacimenti, nonostante la guerra fredda, assicuravano rifornimenti più a buon mercato. La risposta dei minatori fu il primo grande sciopero dopo la sconfitta della Repubblica e l’avvento del regime fascista nazional-cattolico. Nel 1962 i minatori vinsero, conservarono i loro posti di lavoro, anche se le rappresaglie furono brutali.
Cinquant’anni dopo, le vecchie bandiere della Solidarietà di Classe sventolano ancora una volta sotto il cielo grigio delle Asturie, stavolta in difesa del più inalienabile dei diritti: il Diritto al Lavoro. A un lavoro che è come una maledizione, o qualcosa di molto difficile da spiegare, perché la miniera s’infila nelle vene degli uomini scuri del carbone, e si è minatore, figlio di minatore, nipote di minatore, di un’attività che è stata dichiarata «non redditizia» da qualche comodo e immacolato ufficio di Londra o di Bruxelles.
In miniera, al pozzo, si arriva molto presto, i minatori si cambiano tra scherzi, da una catena fanno scendere i loro abiti da lavoro, la tuta annerita, il casco con la lampada, i guanti di sicurezza, le batterie per le lampade, gli stivali dalla punta rinforzata, e poi le catene risalgono portando i vestiti che torneranno a indossare quando usciranno dal pozzo. E a volte una sirena ulula la tragedia e qualche catena non ridiscende più. Questo, sicuramente, «non è redditizio».
Una volta pronti, camminano verso l’entrata del pozzo, non scherzano più perché l’imboccatura della miniera impone rispetto e timore perfino ai più veterani. Un ascensore metallico, la «gabbia», li fa scendere nell’oscurità densa della galleria principale, e lì si sistemano su un minuscolo treno che li conduce ad altre gallerie secondarie. L’oscurità della miniera è densa e appiccicosa, e sopra le voci dei minatori e il rumore dei loro utensili si impone lo scricchiolio della montagna, il lamento dell’intimità della terra e la sua costante minaccia di crollare. Questo, sicuramente, «non è redditizio».
I minatori avanzano lungo le gallerie secondarie, le loro lampade perforano la spessa oscurità e sbattono contro le pareti di roccia impregnate d’acqua. L’aria si fa sempre più densa, e così arrivano alle vene, alle quali accedono prima in piedi, poi piegati in due, quindi strisciando, e allora si sputano nelle mani e iniziano il loro lavoro di strappare il carbone e l’antracite alle viscere della terra. I picadores vedono scomparire i loro muscoli sotto uno strato di polvere, le punte dei martelli pneumatici hanno aperto i buchi in cui s’infilano le cariche esplosive. A un segnale dell’incaricato della dinamite, tutti gli uomini indietreggiano verso i rifugi, dove si rannicchiano appiccicati gli uni agli altri, proteggendosi le orecchie, finché la detonazione non scuote l’aria e una nube di polvere nera li avvolge. Questo, sicuramente, «non è redditizio».
Quando, alla fine della giornata, escono dalla gabbia che li ha riportati in superficie, i minatori vanno al bar e chiedono un sidro, e il bar vive dei minatori, altri comprano un vestito per la figlia o un libro, e tutti gli affari della regione mineraria vivono sui minatori. Il lavoro di ciascuno di questi uomini permette e rende possibile l’esistenza di molti altri posti di lavoro. Tutto ciò che si fa nelle città e nei paesi della cuenca minera dipende dalle miniere, e considerare questa realtà, certamente, «non è redditizio».
Nel 1985 arrivò al potere il Psoe, il partito socialista, e le miniere di carbone davano lavoro a quasi 53mila minatori. Un ministro socialista, Solchaga, spiegò in poche parole in cosa sarebbero consistiti i grandi cambiamenti che sarebbero venuti: «La Spagna è un paese per fare soldi». E così fu, in effetti. Nel caso delle attività minerarie, la possibilità di fare soldi, di lucro, iniziò a realizzarsi obbedendo ai capoccioni dell’Europa, e la Spagna cominciò a importare carbone. Non si è mai spiegato con precisione perché il carbone che arriva dalla Polonia, o dalla miniera a cielo aperto più grande del mondo, quella di Cerrajón, nella Guajira colombiana, è migliore o meno inquinante del carbone asturiano. E se lo è, non sono mai stati destinati fondi sufficienti a fare ricerche per rendere più efficiente e meno inquinante un settore energetico fondamentale.
Seguendo le istruzioni dei mercati energetici, sia il Partito popolare sia quello socialista si sono caratterizzati per il trattamento demagogico dell’argomento. Se il carbone era definitivamente condannato, si sarebbero dovute sostenere efficaci politiche di riconversione industriale che assicurassero lavori degni e qualificati a coloro che avrebbero abbandonato le miniere. Queste politiche non sono mai esistite, mentre invece sono stati decisi prepensionamenti apparentemente molto generosi, ma senza considerare che l’attività mineraria è una cultura, si eredita, che, anche se suona contraddittorio, i figli dei minatori si sono sempre considerati prosecutori del lavoro dei loro padri. La miniera ti si introduce nel corpo, si impossessa dell’anima, e questa considerazione che non è stata fatta ha impedito di capire che di quei prepensionamenti avrebbero vissuto i figli e i nipoti dei minatori, perché non si esce dalla miniera per prendere il posto del fruttivendolo, del panettiere, del commesso della farmacia o del cameriere che versa il sidro.
In mancanza di una soluzione coerente, i minatori si aggrapparono ai loro posti di lavoro e l’attività iniziò a essere sovvenzionata dall’Unione europea. Oggi, nel 2012, i minatori si sono ridotti a poco meno di ottomila, distribuiti in quarantasette impianti. E la produzione è caduta da 20 milioni di tonnellate a poco più di 8,5 milioni. La politica energetica europea aveva deciso di farla finita con le sovvenzioni pubbliche al settore minerario alla fine del 2014, ma la pressione esercitata dai minatori ha fatto sì che fosse prolungata fino al 31 dicembre del 2018. Secondo i calcoli degli imprenditori e dei minatori, questi anni basterebbero per far riflettere l’Europa se sia stato logico aver ridotto la produzione globale europea di carbone a 130 milioni di tonnellate mentre se ne importano allo stesso tempo 160 milioni all’anno, però a «prezzi competitivi», vale a dire carbone prodotto con costi del lavoro inaccettabili per qualunque lavoratore europeo o statunitense.
I minatori sostengono, e a ragione, che il carbone è una riserva strategica, autoctona, il che garantisce il rifornimento e, la cosa più importante, assicura qualcosa di molto ambìto dal mercato: una riserva strategica nazionale.
A tutte queste considerazioni deve aggiungersi che i minatori stanno difendendo l’esistenza delle città e dei paesi delle cuencas mineras. Il piccolo e medio commercio, i servizi, tutto ciò che costituisce la vita, la quotidianità di un insediamento umano. E questo, certamente, «non è redditizio».
Il governo spagnolo guidato da Mariano Rajoy, ossessionato da un’impossibile riduzione del deficit, ha imposto una serie di tagli sociali, nella sanità, nell’educazione, ha imposto riduzioni salariali, riforme del lavoro che rendono più facili i licenziamenti, ma con una grande generosità nei confronti degli speculatori e delle banche. L’ex ministro Solchaga non si sbagliava; la Spagna è un paese per far soldi, e gli speculatori l’hanno fatto, hanno guadagnato come non mai. Basti segnalare che le banche spagnole più forti, parte dell’anonima multinazionale chiamata “Mercato”, che ha usurpato funzioni statali e ha screditato la politica, sollecitava denaro alla Banca Centrale Europea all’1 per cento di interesse e, con quei soldi, invece di aprire linee di credito per la piccola industria e l’artigianato, comprava debito pubblico spagnolo al 5, 6 e 7 per cento di interesse annuo.
Proseguendo su questa linea di tagli a tutto ciò che beneficia i lavoratori, e mentre la Spagna accettava un salvataggio delle proprie banche per 100 miliardi di euro, il governo tagliava il 63 per cento dei fondi destinati a preservare l’attività mineraria fino al 31 dicembre 2018. Ciò vuol dire chiudere le miniere, ammazzare un’attività, una cultura del lavoro, e condannare le città e i paesi delle cuencas mineras all’esodo dei loro abitanti.
Mai uno sciopero dei minatori è stato tanto giusto e necessario. Oggi si compiranno 22 giorni di sciopero. Ci sono diversi minatori rinchiusi per protesta nel fondo dei pozzi. Oggi le Asturie, la parte migliore delle Asturie, resistono ancora una volta. Oggi la parola Sciopero acquista un significato nuovo, e il successo dimostrato dal 100 per cento della partecipazione, con tutte le attività della regione paralizzate, evidenzia che la Solidarietà di Classe è ancora viva e che le sue bandiere sventolano ancora.
Sono nato in Cile, ma vivo nelle Asturie. Questi minatori sono i miei concittadini, sono la mia famiglia e sono orgoglioso della loro lotta e della loro volontà di combattere. Stanno offrendo una lezione di dignità.
Viva i minatori! Puxa Asturies!
Luis Sepúlveda 

Fonte Articolo: Asturie, viva i minatori!

10/07/12

[titolo provvisorio] A favula dillacqua lodda -22-

Ci scappò una smorfia alla carusidda ma non era tempo di risposte quello pecchè lei voleva sapere. Accuminciau chiedendoci della nonna e delle storie che aveva sentito però non voleva essere lei a parrari del medaglione.
Pasqualina era simpatica. Ci rissi che Maggherita non era proprio una cliente. "Unamica. A megghiu che cera" ripetè tante volte. "Ni canuscemu quannu mossi so figghiu. To ziu. Chi era beddu! Pareva un pupiddu che lo potevano mettere sopra allaltare. Insomma vinni di mia che ero la più giovane di questa via e mi cuntau tutta la storia. Ma non cera nenti chiffari! Troppo grande la mavaria che ciavevano fatto. Una cosa cattiva".
Nitto per un attimo sembrò risvegliarsi:"Magia nera?" chiese tutto preoccupato. Dovevano essere stati i fumetti che leggeva sempre che ciavevano messo quelle parole na ucca. Le storie di quellinvestigatore che si futteva tutte le clienti e parrava con la morte.
Pasqualina non sembrò considerarlo molto: "E' stata gente cattiva. Gente che non voleva vederla felice con tuo nonno e li ha separati e ci fici moriri il figghio anche e quasi lo fece impazzire a quel purazzo quando quello tornò dalla guerra"
"Ma com'è possibile? Cu ci vuleva così male alla nonna?"
"Ah saperlo confettino mio! La genti chiù tinta è quella che non lansetti mai che ti vuole male. E ce ne assai di chisti. Ce ne sono così tanti che uno non può essere mai sicuro se non impara a viririci dentro allanima delle persone. Pigghia a tia per esempio. Io lo so ca si una brava figghiola. Lho sentito cà no cori mentre facevi avanti e arreri nella strada. E macari stu carusu è saggiu e sarete felici insieme anche se lui vali du liri luntanu di tia"
Lucia scoppiò a ridere che la faccia di Nitto era diventata tutta russa e la maga Euforbia continuava a farici locchiolino come su ciavissa avutu un muscuni fastidioso che ci furiava nella faccia.
"Tu sei qui per il medaglione" Pasqualina ora era diventata seria e macari i carusi cangiarunu faccia. "Lavete trovato? Lo sapete che cosè?" continuò a dire.
"Cè la dato la nonna" confessò Lucia prima di cuntarici per filo e per segno tutto quello che era avvenuto e quello che avevano scoperto. Pasqualina la guardava tutta attenta e ci scappò una lacrima quando sintiu di Maggherita che sapeva di moriri e fece la faccia sorpresa quannu arrivau il turno del libro della biblioteca.
"E bravu u carusu!" ci scappò di dire "Pensavo che eri chiù fissa. Bravo! Bravo!" e nel dire queste cose ci fece una carezza sopra i capelli con quelle sue mani enormi. Con quelle dita ca parevunu pali di ficurinia. Nitto sorrise che finalmente lo capì che quella non era malvagia. Solo sincera e poco diplomatica.

09/07/12

[titolo provvisorio] A favula dillacqua lodda -21-

Laria era china di ciauri strani. Incensi e frittura. Salsa che abbruciava e carni arrustuta. Pareva come a una casba e la carusidda era cunfusa. Cercò la mano di Nitto che quello fino a quel momento cera stato solo accanto come a un cagnuluzzu che si porta a pisciare e la strinse forte. Il fatto è che Lucia non sapeva dove andare. A chi chiedere. Aveva fatto già tre volte avanti e indietro a destra e a sinistra guardando tutte le targhe scritte attaccate ai portoni spiando tutti i nomi ma non si sapeva decidere. A un tratto sentì qualcosa colpirla alla spalla. Si vutò di scatto ma non cera nessuno solo un chiacco di ligno scivolato a terra.
"Attia! Attia! Giovanotta!" Una voce strana tutta tirata sembrava chiamarla. Una voce come a quella dellattrice. Della Milo.
Lucia e Nitto alzarono la testa ma il sole faceva un riflesso che accecava dentro a quel budello di strada e non era facile vedere se cera qualcuno ai balconi o affacciato a qualche finestra.
"Attia! Attia!" ripetè la voce e questa volta sembrava più vicina. Alle loro spalle si sarebbe detto. E accussì era.
La Maga Euforbia o Pasqualina come confessò poi quannu si presentò era gigantesca. Pareva una di quelle fimmine tedesche che ogni tanto arrivavano in vacanza destate da sole o insieme a qualche emigrante che laveva maritate. Epperò lei ciaveva quella voce stridula e antipatica che uno faticava ad ascutarla per tanto tempo.
"E accussì tu sì la nipote di Maggherita! Ti ho riconosciuta subito che ciavevo la foto tua lo sai? E chistu cu iè? U to zitu?"
Era la seconda volta che ci dicevano questa cosa e Laura accuminciava a siddiarisi anche se in fondo non ci dispiaceva.
"Viniti! Viniti! Trasiti!" Pasqualina li fece accomodare a casa sua. E casa era parola grossa a dirla pecchè cera una sola stanza. Il cesso a vista separato da una tenda. Un salotto loddu e tutto sformato dal peso della sua padrona. Un cucinino cunsuntu vicino al frigidere piccolo. Però in compenso al centro faceva bella mostra di sè un massiccio tavolo tondo di noce. Tutto allicchittiato e pulito con al centro tante boccette di sabbia colorata che sembravano fare allegria. Laura si avvicinò per guardarle meglio e stava per prenderne una quando fu fermata dalla voce di quella priula.
"Ferma! Chiffai? Na canusci a mamma rocca?"  

08/07/12

un sentimento di affetto e di umana solidarietà

http://www.guardian.co.uk/world/2008/jul/17/italy.g8
"Resta comunque nel mio animo - scrive ancora Gianni De Gennaro - un profondo dolore per tutti coloro che a Genova hanno subìto torti e violenze ed un sentimento di affetto e di umana solidarietà per quei funzionari di cui personalmente conosco il valore professionale e che tanto hanno contribuito ai successi dello stato democratico nella lotta al terrorismo ed alla criminalità organizzata".


http://www.portoscomic.com/2012/07/postcards.html

07/07/12

Parole con scie (incontri sulla poesia) - 5 -

In questi anni ho quasi sempre programmato quattro incontri, per un totale di otto ore, per ogni classe, tempi ristretti certo, ma questo offrono le necessità didattiche, e le casse, scolastiche e poi generalmente mi sono sempre offerto per un incontro finale, aggiuntivo e gratuito, in cui poter leggere e ascoltare solo il materiale prodotto dagli alunni e da me organizzato a video. Ecco parte delle modalità “ufficiali”:



OBIETTIVI



ATTIVITA'

Iniziare a riconoscere la poesia ( cosa è poesia? Chi è il poeta? )

Individuare i legami di senso e di suono tra le parole.

Leggere” e “descrivere le immagini e i suoni.

Presentazione di filastrocche, indovinelli, scioglilingua, conte, ninne nanne, proverbi.

Visione di brevi filmati e documentazione dei “ricordi “ affiorati tra gli alunni.

Produzione di rime.


Comprendere semplici testi poetici riconoscendone le caratteristiche essenziali

Presentazione di alcuni “attrezzi” poetici:
similitudine ,metafora, onomatopèa, personificazione, ossimoro, sinestesìa.



Produrre un breve testo poetico.



Giochi sensoriali con oggetti o altro materiale alla ricerca di associazioni “diverse”.
Colori ed emozioni.
Lettura ad alta voce.


Unire testo e immagini. Leggere e ascoltare le proprie e le altrui produzioni.

Stimolazione, attraverso attività di gruppo, di percorsi di produzione e realizzazione.
Lettura ad alta voce.



A fare da ossatura e da piccola guida a tutto questo una presentazione che mi serve da traccia e soprattutto una filastrocca - e il lavoro - di Tognolini:

Apro la bocca e dico la rima
Ride il silenzio che c'era prima
Un filo brilla fra le parole
Mare con mondo, luna con sole
Un filo piccolo che tiene insieme
Fiore con fiume, sole con seme
E ora vicine le cose lontane
Come le perle di belle collane
Danzano in tondo, perché se tu vuoi
Mondo fa rima con Noi

Appena iniziano a riaffiorare le conte usate per giocare o le ninne nanne ascoltate a casa propongo di rintracciare le radici, di chiedere ai nonni agli zii e di cercare le vecchie conte e ninne nanne dialettali. In questo sono favorito dalle diverse presenze ormai comuni in tutte le classi: immigrati, di prima o seconda generazione, da ogni parte d'Italia e del mondo. Presento, allora, qualcosa come questo:




è piacevole, nel successivo incontro, sentirli lottare, il più delle volte, con lingue che stentano in tanti casi a capire e a pronunciare e nello stesso tempo vedere l'affiorare di un timido orgoglio delle origini.
Non dimentico mai che questo rimane, comunque,  un gioco: ecco allora la sigla finale di ogni nostro appuntamento:


06/07/12

non si può aspirare dolore con una cannuccia seppur sottile di plastica blu di Alessandra Racca o la Signora dei calzini

se io potessi aspirare via
tutta la tristezza che ho visto
dietro la tua pupilla destra
lo farei con una piccola cannuccia
come si succhia il fondo
di un coca e rum

quella sinistra l’ho vista in controluce
ma credo che di dolore ce ne fosse anche lì
io quello lo suggerei
come si beve il fondo
di un long drink

una volta da bambina
per non arrivare impreparata al confessionale
mi sono segnata sul diario le bugie
ne dicevo così poche
per paura che non mi credessero
ho dovuto inventarne di finte
almeno un po’

ora, di bugia, ne dico qualcuna in più
peccato non frequentare preti
credo avrei fatto un figurone
quando ti dissi
quella sera
che non eri stato il mio più grande amore
l’ho detta per bene
c’era da crederci, lo so

quando cresci
impari
che non si può aspirare dolore
con una cannuccia seppur sottile
di plastica blu
che non si può suggere tristezza
come se fosse l’ultima goccia di un drink
che gli amori non si misurano
l’uno con l’altro
che la gente che soffre dice stupide cose
e che non bisogna mai mai
pentirsi
di aver amato qualcuno

e anche
che le dita nel naso
te le puoi mettere
comodamente
mentre sei in auto e canticchi ferma
a uno stop
lo fanno tutti
e non ti sgrida nessuno

Fonte: non si può aspirare dolore con una cannuccia seppur sottile di plastica blu di Alessandra Racca o la Signora dei calzini

"La sostanza dei sogni" di Paola Limone




Questa notte pensavo ai sogni.
A come si trasformano nelle nostre mani e possono diventare malleabili.
Alcuni sono come mongolfiere colorate, volano alti e lenti, ma li puoi riportare a terra, li puoi far guidare dalle correnti se le conosci, puoi far loro riprendere il volo quando il tempo è migliore.
Altri sono come liquidi colorati e brillanti, li tieni in bottiglie e barattoli per anni e poi li spargi quando vuoi, imbrattando di allegria tutto e tutti.

Ci sono sogni che se sei bravo li puoi impastare, e se sei paziente sapranno lievitare e dare un buon pane croccante.
I sogni che sembrano maionese impazzita, ti verrebbe da buttarli via ma con calma sai che qualcosa di buono potrai salvare, e ci aggiungi sostanza...e mescoli a lungo...
Cocci di sogni che tagliano le mani, che puoi raccogliere e fondere per farne perle con lacrime e sangue, e metterle al collo nei giorni di festa.
Altri ancora sono piccole braci sotto cataste di legna, resistono all'umidità e basta un soffio per riavere scintille.
Non penso che i sogni svaniscano, ma che possano cambiare stato, come gocce diventare vapore, trasformarsi in pioggia, tornare al mare, risollevarsi.
I sogni non sono nel qui e ora, hanno un orologio a noi sconosciuto che batte un tempo originale.
Nel qui e ora noi possiamo seguirli, senza cadere nella disperazione se per tratti di vita ci sembrano persi.
Se non avremo fatto l'errore di volerli cristallizzare, se sapremo accettare il cambiamento torneranno, con altre vesti, sotto altre forme, li riconosceremo e ci riempiranno il cuore di gioia.

Fonte: "La sostanza dei sogni" di Paola Limone

"Un Paese normale" di Giuseppe Aragno

Un Paese normale lo dimetterebbe.
Un Paese normale si troverebbe di fronte all’aut-aut del Presidente della Repubblica: o se ne va lui o me ne vado io.
Un Paese normale avrebbe un’opposizione trasversale in rivolta.
Un Paese normale avrebbe processato il ministro dell’Interno dopo nel luglio 2001.
Un Paese normale assedierebbe il Parlamento.
Un Paese normale urlerebbe così, fino a farsi sentire anche dal padreterno:

.

Un Paese normale?
Ma l’Italia non è un Paese normale…


Fonte: Un Paese normale di Giuseppe Aragno

02/07/12

A History of Rock ‘n’ Roll in 100 Riffs



1 Mr. Sandman – Chet Atkins
2 Folsom Prison Blues – Johnny Cash
3 Words of Love – Buddy Holly
4 Johnny B Goode – Chuck Berry
5 Rumble – Link Wray
6 Summertime Blues – Eddie Cochran
7 Pipeline – The Chantays
8 Miserlou – Dick Dale
9 Wipeout – Surfaris
10 Daytripper – The Beatles
11 Can’t Explain – The Who
12 Satisfaction – The Rolling Stones
13 Purple Haze – Jimi Hendrix
14 Black Magic Woman – Santana
15 Helter Skelter – The Beatles
16 Oh Well – Fleetwood Mac
17 Crossroads – Cream
18 Communication Breakdown – Led Zeppelin
19 Paranoid – Black Sabbath
20 Fortunate Sun – Creedence Clearwater Revival
21 Funk 49 – James Gang
22 Immigrant Song – Led Zeppelin
23 Bitch – Rolling Stones
24 Layla – Derek and the Dominos
25 School’s Out – Alice Cooper
26 Smoke on the Water – Deep Purple
27 Money – Pink Floyd
28 Jessica – Allman Brothers
29 La Grange – ZZ Top
30 20th Century Boy – T. Rex
31 Scarlet Begonias – Grateful Dead
32 Sweet Home Alabama – Lynyrd Skynyrd
33 Walk This Way – Aerosmith
34 Bohemian Rhapsody – Queen
35 Stranglehold – Ted Nugent
36 Boys Are Back in Town – Thin Lizzy
37 Don’t Fear the Reaper – Blue Oyster Cult
38 Carry on My Wayward Son – Kansas
39 Blitzkreig Bop – The Ramones
40 Barracuda – Heart
41 Runnin’ with the Devil – Van Halen
42 Sultans of Swing – Dire Straits
43 Message in a Bottle – The Police
44 Hey Hey, My My (Into the Black) – Neil Young
45 Back in Black – AC/DC
46 Crazy Train – Ozzy Osbourne
47 Spirit of Radio – Rush
48 Pride and Joy – Stevie Ray Vaughan
49 Owner of a Lonely Heart – Yes
50 Holy Diver – Dio
51 Beat It – Michael Jackson
52 Hot For Teacher – Van Halen
53 What Difference Does It Make – The Smiths
54 Glory Days – Bruce Springsteen
55 Money For Nothing – Dire Straits
56 You Give Love a Bad Name – Bon Jovi
57 The One I Love – REM
58 Where the Streets Have No Name – U2
59 Welcome to the Jungle – Guns N’ Roses
60 Sweet Child ‘O Mine – Guns N’ Roses
61 Girls, Girls, Girls – Motley Crue
62 Cult of Personality -Living Colour
63 Kickstart My Heart – Motley Crue
64 Running Down a Dream – Tom Petty
65 Pictures of Matchstick Men – Camper Van Beethoven
66 Thunderstruck – AC/DC
67 Twice as Hard – Black Crowes
68 Cliffs of Dover – Eric Johnson
69 Enter Sandman – Metallica
70 Man in the Box – Alice in Chains
71 Smells Like Teen Spirit – Nirvana
72 Give it Away – Red Hot Chili Peppers
73 Even Flow – Pearl Jam
74 Outshined – Soundgarden
75 Killing in the Name – Rage Against the Machine
76 Sex Type Thing – Stone Temple Pilots
77 Are You Gonna Go My Way – Lenny Kravitz
78 Welcome to Paradise – Green Day
79 Possum Kingdom – Toadies
80 Say it Ain’t So – Weezer
81 Zero – Smashing Pumpkins
82 Monkey Wrench – Foo Fighters
83 Sex and Candy – Marcy Playground
84 Smooth – Santana
85 Scar Tissue – Red Hot Chili Peppers
86 Short Skirt, Long Jacket – Cake
87 Turn a Square – The Shins
88 Seven Nation Army – White Stripes
89 Hysteria – Muse
90 I Believe in a Thing Called Love – The Darkness
91 Blood and Thunder – Mastadon
92 Are You Gonna Be My Girl – Jet
93 Reptilia – The Strokes
94 Take Me Out – Franz Ferdinand
95 Float On – Modest Mouse
96 Blue Orchid – White Stripes
97 Boulevard of Broken Dreams – Green Day
98 Steady As She Goes – The Raconteurs
99 I Got Mine – Black Keys
100 Cruel – St. Vincent


Fonte: Open Culture

01/07/12

Le mirabolanti avventure del ragioniere Saladino (seconda stesura)

Solo due cose sono importanti: arrotolare bene tra le dita la sigaretta prima di accenderla e ricordare che il lavoro termina, i m p r o r o g a b i l m e n t e, alle venti.

"Insomma! Non c'è nessuno qui?"
"No, signore. No."
"E lei?"
"Io? Io immagino di sì"
"Ma non mi faccia incazzare. Non lavora qui lei? La vedo sa, ogni giorno con le sue sigarette! E i colleghi? Ci pensa, lei, ai suoi colleghi?
"Sono solo"
"Vabbe' comunque, può essere così gentile da aiutarmi?"
"No"
"Guardi, è solo un attimo"
"Lei non fuma?"
"No... ogni tanto, dopo pranzo... a volte"
"E' utile sa? La notte. Soprattutto la notte. Quando è notte, bisogna fare attenzione..."
"Lei è pazzo, mi faccia parlare con un suo superiore!"
"...perché di giorno è più semplice..."
"Mi ha sentito? Vuole rispondermi?"
"...ogni cosa ha il suo colore..."
"Basta! Ci rinuncio! Ma non finisce così... vedrà!"
"...e ride."

La settimana scorsa c'era una gran nebbia. Gli oggetti, le persone, uscivano dal nulla e poi sparivano e la fermata dell'autobus era lì, ma se facevo un passo indietro iniziava a volare con le sue scritte rosse... o nere? Insomma volava, ma tutti facevano finta di niente: chi guardava l'orologio, chi sonnecchiava.
Siamo sempre gli stessi qui alla fermata, anche se non ci siamo mai salutati. Siamo sempre gli stessi in queste mattine, uguali.
Immaginavo che anche loro sapessero, ma Giorgio ha detto "Basta!" e mi son dimenticato di chiederlo per esserne sicuro, di urlare pieno di sorpresa:
"Ha visto? Volava via il cartello! Ha visto?".
Giorgio si è un po' spaventato. Non ha capito cosa fosse quella grande ombra che si avvicinava.
"Vieni! Saliamo" gli ho detto per rincuorarlo, ma lui mi è scappato dalle mani e così ci siamo rivisti solo la sera.
Aveva fame, e anch'io.

Vicino al fiume il puzzo cresce e ti entra nei vestiti che quasi sembra di essere lì, tra i morti che stanno a guardia dei vivi, dei loro ricordi. A Giorgio però piace e io e lui passeggiamo come vecchi amici. A volte improvvisamente sparisce... lo so, lo so... amoreggia - hi, hi, hi - poi però torna da me e mi saluta come se non fossimo stati insieme sino a solo venti minuti prima. E' fatto così lui, e a me non resta che rispondere al suo saluto e dirgli ogni volta: "Ciao Giorgio! Come è andata oggi?".
E' bello ascoltare le sue storie. Sono sempre le stesse, lo so, ma a me ogni volta appaiono nuove come un gelato appena comprato e io lecco le sue ferite e lui le mie e si cammina, insieme.
Certi giorni capita, poi, che la luce dei lampioni si diverta a tagliare le nostre ombre, a farne casuali rivoli, allora la mia mano destra cerca un punto, che non trova, e la sinistra anche, finché Giorgio, o i suoi baffi, mi indicano la strada.

"Ha finito?"
"Debbo solo completare le note finali"
"Bene Saladino, mi raccomando, so di poter contare su di lei"
"Certo, grazie"
"Quasi mi dimenticavo..."
"Dica."
"Ieri... il Dottor Graziosi... ha registrato un reclamo."
"Sì...?
"Un tale... ne sa niente lei?
"No, certo."
"Sa quel tipo... insomma... quello è il nipote del Dottor Guarino."
"Chi?"
"Guarino, sa... il proprietario del giornale."
"Quale?"
"Insomma ragioniere! Stia attento, mi raccomando... la vedo stanco ultimamente."
"Saranno le code"
"Cosa?"
"Le code. A volte perdono i peli e anche i lupi, dicono"
"...sì... ma..."
"Hi, hi, hi. Completerò il lavoro stasera dottore, non si preoccupi."
"Bene Saladino, bene."

Collegando con una linea il marciapiede alla basilica e questa al bar e poi tracciando una curva tra l'uscita a sinistra di quest'ultimo ed il negozio di giocattoli quasi alla fine del viale si ottiene un arco, e se poi mi ci metto in mezzo sono una freccia e corro e non riesco più a fermarmi e uuuuurlo... uuuuurloooooo... e la mia scia sono decina di altri me, centinaia, migliaia e mi seguono; ma io smetto di urlare e la piazza è vuota, silenziosa.

La casa è appena fuori città, non ci vuole molto ad arrivarci, venti, trenta minuti: secondo il passo, la volontà.

Insomma Giorgio fammi dormire! Ho visto anch'io le luci, e tutte quelle parole, ma chissà se anche tu hai perso a volte, è così? Oggi cercavo la spilla, quella con le tre stelle sai? Quella del secondo anniversario. No! Tu non c'eri... dimenticavo. E allora Giorgio, ce la faremo a perdere? Oppure, anche oggi... senti? Una civetta, la senti? E il cigolio di una bici e le cicale, anche, e i grilli, i tordi, i sordi, i morti.
Prima avevo imparato tante filastrocche; potevano servire, mi dicevo, e le ripetevo per strada, che la strada si accorciava e non mi accorgevo di essere arrivato e toh! Sono già qui, e "buongiorno direttore", e "buongiorno collega", "buongiorno!".

"Crede che dovremmo licenziarlo?
"Veda lei stesso..."
"I grafici dice? Ma analizzano solo gli ultimi sei mesi"
"Le sembrano pochi?"
"E' stato un ottimo elemento in passato"
"Già"
"Potremmo assegnarlo ad un altro incarico"
"Quale?"
"Non so... è ancora presto per..."
"Tre mesi"
"Cosa?"
"Le do tre mesi"
"Ma..."
"Dovrà risalire ad almeno settanta sul grafico"
"Proverò"
"Deve"

Ho aspettato di sentire cadere le prime gocce dai rami prima di decidermi ad aprire l'ombrello. Giorgio è rimasto a casa, "ti raggiungo dopo" mi ha detto, anche se è domenica, anche se.
Non ho molti luoghi da visitare: il necessario, che poi mi ci perdo; e così mi ritrovo ancora una volta al parco, e siamo soli io e lui. La pioggia a farci compagnia.
La panchina non è ancora inzuppata, il legno ha solchi profondi, ferite inferte da ragazzi e innamorati, medaglie al valore date dal tempo. Mi sono chinato a raccogliere della terra, luccicava, e improvvisamente anche le mie labbra avevano sete, ed era buona la terra come mai nessuna cosa prima. Poi mi sono seduto sul prato, accanto al grande cirmolo, e con le dita ho scavato, ma non c'era nulla sotto, nessun tesoro, ed i segni che avevo visto sparivano sotto le mie mani ecco... venti gradi ad est, quaranta ad ovest, tre passi prima della roccia con inciso il tuo nome.
All'improvviso ho sentito Giorgio accanto a me, l'ombrello piantato a bandiera ci proteggeva. "Cantiamo?" mi ha chiesto alle spalle, ma poi non mi ha dato il tempo di pensare a cosa mi sarebbe piaciuto ascoltare. "Oggi potrebbe essere festa, come ogni giorno, del resto" ha aggiunto ed è stato allora, solo allora, che ho pianto.

A tratti tutto accelera e la testa inizia a dondolare forte sempre più forte prima di fermarsi improvvisamente, come di fronte al mare. A tratti mi ritrovo in altri luoghi, e mi osservo, e mi spoglio, e mi rivesto, a tratti.
A tratti sono di nuovo immobile e mi sembra di sentirti muovere, sopra di me, ed allora tutto di nuovo procede velocemente, e noi, sì, noi, a tratti. Poi ogni cosa esplode e mi ritrovo di nuovo a fuggire, veloce, sempre più veloce, fino a.
A tratti mi manchi, a tratti.

"Conosci Ettore, Giorgio? Figlio di Priamo e marito di Andromaca. Padre di Astianatte e uccisore di Patroclo. Conosci Ettore, Giorgio? Ed i suoi giri attorno alla rocca, e le paure, ed il coraggio. Lo conosci? Dimmi! Dimmi!"

Con un pensiero cancello parole, intere frasi dalla mente. Con un pensiero sono simile a Dio e poco altro conta.

"Sì, è pronta"
"Le va una birra dopo l'ufficio?"
"Non so"
"Impegni?"
"No, a parte Giorgio..."
"Il suo gatto, vero?"
"Sì!"
"Saprà aspettarla per una sera, non crede?"
"...ssssì... credo di sì"
"Bene, a più tardi allora"
"A più tardi"

"E allora, come va? Tu.. possiamo darci del tu, vero?... cosa prendi? Sì, va bene... due spine grandi e ... sì... un momento... per te va bene? Sì allora, anche quelli, mi raccomando però, non troppo piccanti... dunque, torniamo a noi, non mi hai risposto... come va? Lo so, lo so che non hai mai amato molto parlare... però, ogni tanto... ci conosciamo da così tanto tempo. Dimmi, quanti anni saranno? Tre... quattro? Insomma, anche io ho conosciuto la tua... beh... sai abbiamo sofferto tutti per te quando... ma ora è passato del tempo, sì, certo, lo so che non è solo questione di tempo, ma hai delle responsabilità... ecco, verso te stesso innanzitutto, non puoi permetterti di rinunciare anche a quelle, sì! Certo! Rinunciare! Perché se vai via è solo colpa tua"

E' solo colpa tua dice e intanto i bicchieri si fanno meno pesanti e la schiuma, quella sì, è andata via, tra i suoi baffi, un rivolo. E da lì che si affaccia un omino, e mi saluta anche. Simpatico però! Ha uno strano costume a righe, come... come quello che si usava al mare il secolo scorso ecco, azzurro e bianco. Ora è appeso all'ultimo pelo sul viso del mio superiore. Tranquillo svolazza nel vuoto poi si tuffa dentro il boccale eseguendo un doppio salto, carpiato. Riemerge contento, proprio bravo, non c'è che dire. Lo applaudirei se non fosse un po' sconveniente, e gli direi: "Ancora!", ma non so se l'altro capirebbe, e poi lui sta gia risalendo sul maglione bordeaux, sul colletto della camicia, e da lì con un balzo e di nuovo tra la barba del mio dirimpettaio. "Dove vai? Dove ti nascondi?" penso, "Stai attento!" mi scappa, ma Borghetti, il suo trampolino, mi guarda stupito, ed io, allora, non so più che dire.

Borghetti, lo so, è una brava persona. Lui, quando ci siamo conosciuti, indossava una camicia bianca ed aveva una cravatta anche, con delle piccole racchette da tennis in rilievo, rosse, ricordo... che la cravatta era blu, come il computer sul tavolo, come la sedia, come la cornice che custodiva la foto di volti felici. E' una brava persona Borghetti, anche se non lo ascolto stasera, che non ho voglia, e penso a Giorgio che mi aspetta, e poi, finalmente, ci lasciamo, e "Certo! Farò come tu dici" e "A domani", "A domani."

Giorgio aspetta in giardino, sembra triste anche se lo so che non lo ammetterebbe mai. Mi saluta come ogni giorno, infatti, con quel suo annusare che ricorda la faccia di una vecchia zia fintamente scontrosa, e poi entriamo insieme per andare a casa a cenare.

"Com'è andata? Vi ho visto parlare"
"Mi sembra bene..."
"Ricordi Borghetti i tempi che le ho dato"
"Certo, anche se..."
"Non intendo ritornare più su questo"
"Sì, sì, mi scusi... va bene"

Quando l'hanno operata non sapevo bene cosa volessero fare, avevo chiesto a qualcuno, fatto supposizioni, ma i medici mi avevano detto che era indispensabile intervenire tempestivamente, proprio quelle erano state le parole, ed io avevo accettato, non potevo negare quel sì. No, non potevo.

Poi improvvisamente arriva l'estate e molti però si ritrovano impreparati. Come se non sapessero, come se.

Gli alberi oggi hanno iniziato a sanguinare. Li osservo senza farmi notare, forse non sarebbero contenti di sapere che ho scoperto ancora questo eterno ciclico segreto. Camminando loro accanto non vi avevo fatto caso. Le piccole carezze, sulle corrucciate cortecce, le parole, solo sussurrate, erano state sempre le stesse e le loro risposte anche: almeno così mi pareva.

Che strano non accorgersi della sofferenza degli alberi, delle piccole ferite, delle battaglie. Quelli che si trovano lungo il mio tragitto hanno tutti un nome, ma so che anche per gli altri è così, le file silenziose che portano al parco, i piccoli arbusti delle rotonde, anch'essi avranno il loro nome, sicuro, solo che non mi è mai capitato di fermarmi a parlare con loro che Giorgo non ama che io cambi percorso.

Felice, tra quelli che conosco, è il più simpatico. È un tasso finito qui non si sa come. Gli altri gli hanno lasciato spazio, forse proprio per quel suo essere diverso lo hanno un po' coccolato. Felice ha sposato Matilde. I due alberi sono cresciuti poco distanti l'uno dall'altro poi, ad una certa età, hanno dato origine ad un tratto di tronco saldato. Di certo genereranno un giorno, insieme morranno.

Un mio amico mi ha detto che questo è un fenomeno non tanto raro in natura, concrescimento si chiama, ed io non ho potuto che dargli ragione. Non ho potuto che dargli ragione.

Non siamo mai preparati alla morte. Se anche dovessimo sapere con assoluta sicurezza il momento del suo arrivo non riusciremmo a farci trovare pronti, ad accettarla. Giorgio dice che tutto questo è molto umano.

Quando è arrivata io pulivo gli occhiali, con la pezzetta sfregavo i vetri ma prima ci avevo alitato sopra, lentamente. Un lato, poi l'altro. Pulivo gli occhiali e non vedevo nulla. Non sapevo nulla.

Le prime volte mi capitava spesso di farlo; la sua ombra davanti a me diventava ancora più magica e la mia distrazione assumeva ai suoi occhi le vesti di un ragazzino svagato.

Tecla mi stava lontana. Ci studiavamo, in quel lungo periodo, con la permalosità dei gatti e fuggivamo, anche, a ogni possibile incontro.

"Quando arriva la luce per molto tempo il mondo sembra ancora volere trattenere un suo misterioso silenzio". Glielo dissi una volta e lei mi guardò per la prima volta, chè gli altri sguardi non erano mai stati. "Quando arriva la luce è ora di spogliarsi" rispose e io non seppi più che dire.

Tecla non andare, Tecla non mi lasciare. Non le ho mai detto queste cose eppure avrei potuto, ne avrei avuto il diritto, mi è stato detto.

Tecla era dimagrita e io toglievo sempre gli occhiali quando mi permettevano di starle vicino. Eppure le mie dita erano lì. Le mie mani erano lì. E con le sue disegnavamo ombre sul muro alla luce fioca del diafanoscopio. Sorridevamo senza farci scoprire e non c'era bisogno di parole per quelle storie. Erano le mani. Le nostre mani: la furba coniglietta, la grande giraffa, l'adorabile strega... eppoi quel gatto, il misterioso gatto che io non riuscivo a fare.

Non mi lasciare Tecla, non andare.

Giorgio era un carboncino bagnato, una macchia nera sull'asfalto.

Era passata da poco l'autoinnaffiatrice e lui ne era rimasto sorpreso, meravigliato, mentre girovagava per il quartiere, mentre, incauto, trotterellava felice.

Giorgio non sapeva ancora di chiamarsi Giorgio e neanche io quel giorno, non così però quel cartellone sotto cui si era riparato, non quell'attore americano tanto famoso che da lì sembrava guardarlo benevolo, enorme in quel suo viso di padre.

Insomma io non potevo mica lasciarlo lì. Non passava mai nessuno a quell'ora in quella strada e poi forse solo con lui avrei imparato a giocare con le ombre, a capire: le ombre sbarazzine dai mille riflessi e quelle sazie di mistero sul basolato, le ombre vive, guizzanti, degli irrequieti o le tristi di desiderio degli innamorati.

Giorgio è sempre lì pronto a saltellare sui miei pensieri, aggrovigliato alle mie paure, ai miei sogni. Balza da un luogo all'altro, da una stanza all'altra e non rinuncia a sorridere o a parlarmi come si fa ai bambini per spiegare, per dire. Credo mi voglia bene anche, ma so che non potrebbe mai ammetterlo. Non è nel suo stile, nel suo vivere.

Giorgio è quello che non ho, quello che non vorrei, tutto quello che mi è indispensabile.

Borghetti è sempre più gentile. A volte, quando arriva un nuovo cliente, appare misteriosamente accanto a me e prende in mano la situazione come se fosse casuale quel suo intervenire, quel suo tecnico cicalare.

"Hai mai provato a passeggiare sulle nuvole?"
"Cosa?"
"Sulle nuvole, dico"
"Non credo sia possibile!"
"Dovresti, dovrò farti vedere un giorno. A volte è dura. Sono salite ripidissime o funi che si avvolgono quasi fossero liane, trecce di principesse. Io preferisco quelle un po' solitarie, le nuvole dico. Pensose si direbbe, ma per me solo distratte dal sole, svagate come giovani adolescenti, innamorate"
"Credo sia meglio se ora torniamo a lavorare!"
"Sì, dovresti"

Borghetti non può capire, lui non sa del mio posto segreto, della arrendevolezza delle nuvole. Quando arriva la bella stagione con Giorgio arriviamo fino dentro la pineta, vicino al mare. C'è un punto lì. Un luogo in cui gli alberi lasciano libero un triangolo. Un segreto protetto da della sterpaglia che sembra impedirne l'accesso. E' stato Giorgio a scoprirlo. Mi chiamava, ma a me sembrava si fosse perso e non riuscivo a trovarlo, non riuscivo a vederlo. Fintanto che.
Ora quando ci andiamo lui attende che io entri e mi distenda su una piccola stuoia che conservo lì, poi sparisce. Non mi preoccupo più ormai, so che non si perderà.
A me piace sentire quel contatto con la terra, la fresca gioia dell'ombra, ed allargare le braccia e le gambe anche, e l'essere pupilla nell'occhio di Dio.
E' lì che quando passa una nuvola le mie dita si inerpicano a conquistarne il segreto. Indice e medio, indice e medio fin quando quella scompare.

"Allora Borghetti, sembrerebbe che lei ci sia riuscito..."
"Sembrerebbe, sì"
"Che fa Borghetti mi si mette a rispondere anche lei come quello?"
"No, no dottore... ci mancherebbe"
"Bene, perché non voglio avere altre grane qui. Sa cosa mi è costato calmare il Dottor Guarino? No che non lo sa. Cosa mai potete sapere voi?"
"Certo, le assicuro..."
"Lei non mi deve assicurare un bel niente Borghetti. Vigili, vigili!"

Continua a far caldo, la gente si muove lentamente ma non riesce ancora a guardarsi attorno, a vedere. Ieri, ad esempio, un piccolo sbuffo azzurro accarezzava il cielo. Veniva fuori da un vecchio palazzo del centro, uno di quelli non ancora recuperati ed uccisi per farne piccole cellette di clausura. Mi ricordava il timido uscire di un gattino alla sua prima passeggiata, il soffio di un sogno. Mi sono fermato a guardare e poi Giorgio mi ha indicato una panchina poco lontano. Siamo rimasti così, in silenzio, ad osservare quel piccolo miracolo.

In ufficio tutti correvano, una strana fila di persone attendeva davanti al mio sportello.

"Finalmente! Le è successo qualcosa?"
"No, perché? Anzi sí..."
"Ragioniere ma si rende conto che è in ritardo di quasi venti minuti?"
"... il cielo era contento"
"Che dice?"
"Crede che tornerà a piovere?"
"No, non così presto, almeno. Ma cosa importa? Lei ha un ritardo spaventoso Saladino, ho come la sensazione che fatichi a rendersene conto!"
"Oh, no! Sa il perché di tutta questa gente?"
"Come? Non ha sentito nulla? Ma dove vive lei ragioniere?!"
"Giorgio mi basta"
"Comunque, è crollata una palazzina stanotte..."
"Capisco..."

Mi piace andare al cinema. Fuori ora è freddo e Giorgio viene con me. Lo nascondo, e lui non protesta, tira solo fuori la testa per guardare, per mangiare.
Ce ne sono tanti di cinema qui. Prima ancora di più. Penso fossero più belli, tanta gente, le poltrone logore, un po' sporche forse, l'unto dei popcorn ed il loro rumore a fare da colonna sonora, le file ben ordinate. Ora è difficile trovarli, è difficile godere della rilassante malinconia del pubblico abbandono.
Ho tentato, poco tempo fa, ho provato in uno di questi nuovi. Mi guardavano tutti un po' strano. Per via di quell'evidente rigonfio del cappotto, penso.
"E' la mia borsa d'acqua calda" ho detto loro e quelli mi hanno sorriso che già avevo pagato il biglietto e il film stava per iniziare.
"E' la mia borsa d'acqua calda" ho ripetuto, mentre Giorgio iniziava a muoversi, a chiedermi di farla finita con quel gioco, a sussurrarmi di tornare a casa.

Con Borghetti ora andiamo spesso insieme a bere una birra dopo l'ufficio.
Lui, nello stesso tempo, poco alla volta ha abbandonato il mio sportello. Un po' mi dispiace. Mi piaceva quella sua presenza silenziosa, la gentilezza dei modi, il cauto intervenire di fronte alle proteste di certi clienti.
Quando siamo insieme seguo i suoi discorsi, ascolto le sue fantasie. Capita frequentemente che io percepisca il suo desiderio di parlare della famiglia, credo sia quella che lo osserva ogni giorno dalla cornice posta sul suo tavolo di lavoro, anche se non ne sono sicuro, anche se non si è mai sicuri in queste cose.
Quando è con me lo vedo allora faticare sulle parole, arrampicarsi sulle metafore, sulle disillusioni, virare veloce su premi, viaggi e diplomi, ridere di piccole bugie, delle proprie paure.
Credo che Borghetti abbia un'amante, anzi ne sono sicuro. L'ho intravista affacciarsi più volte da una piccola ruga che bacia le sue labbra. Lui sembra accorgersene e veloce la ricaccia sempre dentro, con gentilezza però, accarezzandola, massaggiandola dolcemente con l'interno del pollice della mano sinistra, ma forse è solo la compagna di quell'omino buffo che a volte continua a giocare tra i suoi baffi. Forse è solo un suo modo per distrarmi. Forse è solo il riflesso un po' amaro della schiuma.
Non so. Credo che gliene parlerò un giorno, quando anche lui potrà capire. Quando tornerà a ricordarsi di essere ancora vivo.
A volte mi spiace lasciarlo di fretta, il Borghetti, ma in questo inverno di neve Giorgio vuole rientrare presto a casa ed io non posso certo lasciarlo fuori. Così lo saluto, li saluto, e sparisco con un "puff!" da fumetto, che quello rimane sempre a bocca aperta quando succede, mentre i suoi ospiti ne approfittano per baciarsi.

Giorgio è tornato a uscire e io mi ritrovo spesso in silenzio sul balcone, ad attenderlo. Sulla strada hanno fissato un piccolo specchio convesso, mi piacerebbe un giorno scorgervi un lampo, un raggio a illuminarmi, ma forse non è possibile, non è probabile.

"Bene, mi è stato detto che siete amici, ora"
"No, no... non proprio, prendiamo una birra insieme ogni tanto"
"Non ci sarebbe nulla di male, anche se..."
"Mi sembra sia salito sui grafici"
"Sì, sì. Solo pensavo che forse ci siamo lasciati sfuggire una buona occasione, sa la crisi... di certo non avremmo avuto problemi"
"Non è molto tempo che..., insomma poteva essere giustificato, e poi..."
"Sì lo so Borghetti! E' inutile che lei me lo ricordi, comunque... non è di questo che volevo parlarle ora, cioè non è per Saladino che l'ho chiamata qui. Ho intenzione di metterla a capo delle risorse umane, credo sia la persona adatta..."
"Non posso esserne che contento..."
"Mi faccia finire, e non mi guardi con quella faccia stupita, ho visto come si muove. Mi è piaciuto il suo impegno, il suo legarsi ai dipendenti, penso che farà molto bene nell'opera di svecchiamento dell'azienda"
"Svecchiamento?"
"Sì, svecchiamento Borghetti, svecchiamento. Dobbiamo tornare ad essere competitivi, abbiamo bisogno di potare, di tagliare i rami secchi. Via, via quelle vecchie comari ingrigite legate alla poltrona, dobbiamo essere dinamici, liberi..."
"Quanti?"
"Cento, ottanta per iniziare"
"Ma è quasi metà dell'azienda"
"Sì certo, non avrebbe senso allora, crede che io ne sia contento? Pensi agli altri Borghetti, pensi a quelli che salverà da un fallimento definitivo, pensi a quelle famiglie"
"E loro?"
"Faremo in modo che accettino, farà in modo che abbiano tutta la nostra solidarietà. Lei è bravo Borghetti, troverà la soluzione, ne sono sicuro"

La casa è appena fuori città, non ci vuole molto ad arrivarci, venti, trenta minuti: secondo il passo, la volontà.

Si vede da lontano casa mia. Quando hanno costruito il palazzo ci si conosceva tutti, mentre ora fatico un po' a memorizzare i volti e non serve poi molto farlo perchè spesso sono facce che non rivedrò mai più: la principessa Badr al-Budùr, il vecchio mahout, la nuova Baker...

Se questo fosse un porto vedrei fucili a pietra focaia tra le feritoie dei balconi e nere bandiere alle finestre. Se questo fosse un porto non avremmo già perso contro il Capitano Flint e, chissà, partiremmo alla ricerca dei suoi real tra vecchi casermoni in tempesta e terribili onde ai crocicchi.
Io so dove sono quei tesori, ho visto tante volte i bimbi scavare nel parco. Giocano impiastricciando le mani di gelato, di fango i calzoni nuovi. Scavano e non sanno di quelle ricchezze e se lo sanno tengono stretto questo segreto che tanto nessuno crederebbe loro. Scavano. Sognano i bambini. A volte uccidono con i sorrisi.

"Credo mi faccia paura, cioè inizialmente pensavo fosse solo un pover'uomo... la storia della moglie, la mancanza di figli, poi invece. Sa io credo che lui riesca a capire. "
"Riesca a capire cosa Borghetti?"
"Cosa? Non saprei dirle, insomma sì, è come se riuscisse a guardare e a vedere, ma aldilà, come se mi vivisezionasse, come se..."
"Cos'è? Una sorta di santone? Un illusionista? Mi meraviglio di lei Borghetti! Faccia quello che deve fare e non mi faccia pentire di averla scelta."
"Sì, sì, certo. La lista è già pronta, credo di poter iniziare subito."
"Bene! Direi che è tutto allora. Agisca Borghetti. Agisca!"
Già agisca, come se fosse semplice, come se fosse giusto. Non sono riuscito a confessargli di non aver inserito Saladino, anche se avrebbe dovuto essere uno dei primi, dei papabili. Già i papabili. Quelli giusti per essere allontanati, decentrati, licenziati. I papabili li chiamo lui, io.

Magari un giorno toccherà anche a me, ma mi sono preparato a questa evenienza. Tutto è a posto. Ogni cosa rimarrà protetta, sicura. Io, ci penso io. Non come quel ragioniere, non come quel Saladino con i suoi discorsi e il suo gatto. Idiota. A volte vorrei solo picchiarlo, ancora non riesco a capire perchè, ma vorrei afferrarlo e sbatterlo contro il muro fino a spaccargli il cranio. Idiota, idiota, idiota.

Io non sono così, io non picchio nessuno, non ho mai picchiato nessuno, eppure.

A casa non riesco a parlare di lui, non parlo di nulla a casa che basta che io mi informi ogni tanto e porti del denaro e "Ciao, sto uscendo" e "Ciao dove andiamo questa domenica, questo natale, questa estate" che anche i figli ormai. Sono cresciuti loro e io inizio ad avere pure nostalgia di quelle noiosissime e inutili riunioni a scuola o dei compleanni con le madri in tiro a fare invidia o conquiste di poche sere.

Cloe era una di quelle, solo che già sono passati dieci anni e si scopa e si ride ancora e sì con lei ho parlato di Saladino. "Mi sembra di vedere un film comico muto," mi ha confessato dopo avermi versato del vino " bevi questo però ora... è un Bardolino, la rivista dice che ha uno stile emozionante". Ho sorriso come solo con lei riesco a fare e poi abbiamo fatto l'amore, improvvisamente, con naturalezza, con desiderio. Tremavo, tremavamo come in un fotogramma bloccato.

Giorgio sparisce per ore, per giornate intere a volte. Quando rientra ha sempre una cicatrice in più, un sorriso soddisfatto e una dolce assenza negli occhi. Si dirige verso la cucina e raccoglie quello che gli ho preparato. Non ha mai voglia di raccontare quando arriva la stagione e sospetto che sarebbe felice se potesse rimanere solo, almeno un po'. Gli sono grato per il suo ragionevole silenzio e spesso cerco di trovare delle scuse per uscire. "Vado a comprare il latte" sussurro, e poi sparisco mentre lui finge di seguirmi con lo sguardo.

Quando ero un po' più giovane capitava anche a me, non che abbandonassi casa, no, quello no, capitava solo di sentire spesso uno strano sapore in bocca e di aver bisogno di chiudere gli occhi e di non pensare al tempo. Ecco sì, ricordo bene: era il tempo che mi creava maggiori problemi. Non riuscivo mai a capire quanto ne fosse passato quando stavo con lei e certo non aveva importanza la situazione, il momento. Voglio dire, potevamo parlare o litigare o fare l'amore, le mie ipotesi sul tempo trascorso erano sempre errate e lei rideva di questo e poi anche io ridevo, ché mi bastava vederla felice.

Ecco il tempo non dovrebbe essere dato in mano agli innamorati. Sarebbero capaci di consumarlo tutto se solo potessero, quegli sciocchi.

Credo che anche Giorgio sbagli a calcolare, ma lui non sembra dare molta importanza a questa cosa.

Ancora sole. Le nuvole, ormai bianche, passano veloci e a volte lo coprono per lungo tempo, quasi a volerci lasciare sonnecchiare ancora un poco. Passano anche sulla mia testa quelle vecchie scapestrate, ed ognuna è un frammento. Un nuovo pensiero.

In ufficio Borghetti è sempre più silenzioso. Ha già avvisato una ventina di persone del loro licenziamento, ma credo saranno molti di più alla fine. Magari ci sarò anch'io. Magari no. Magari non ha importanza. Ecco, ieri invece, ieri, una signora mi ha sorriso. Le avevo restituito la pratica per una firma "non apposta" (sì, si dovrebbe dire così, penso) per una firma che mancava insomma, spingendo con delicatezza il documento sotto il vetro... e l'ho vista sorridere. Odio le pieghe agli angoli del foglio, la carta stropicciata. Deve averlo capito e mi ha sorriso, di un sorriso spezzato.
Credo sia necessario segnalare quel graffio sul vetro in direzione: non va bene, non è opportuno.
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