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16/06/11

Gioacchino Acreusi

Gioacchino Acreusi anni 81 vedovo ciavi solo tre capricci: i mulinciani fritti il vino e la politica. Le prime ci sono sempre a so casa che ormai macari i mura cianno u ciauru di frittura. Il secondo ce lo portano dalla campagna che lui non si fida di queste cose imbottigliate e poi la scorta ci dura assai che a lui ci servono solo due bicchieri. Uno a pranzo e uno a cena che u supecchiu è comu u mancanti. La politica invece è quella che legge in quelle riviste che ciarrivano che io non lho mai viste dal giornalaio e che dentro ci sono cose che io non sento mai. Chennesò fabbriche in Cina dove loperai fannu buddello o gente della foresta dellamerica che non vuole fare abbattere gli alberi. Cose strane che io non lo capisco a lui cosa ci putissi interessare visto a fame ca cè cà. Ma Acreusi è fatto così che mi hanno detto che quando era caruso furiau u munnu e sinni iu macari a Cuba appresso a quelli ca vavva longa che sparavano allamici degli americani. Ora era tutto arrunchiato e tannicchia sordo però la testa ciarraggiunava ancora e a sentirlo parlare uno non ci poteva che dare ragione. 
Assira ca ci passai a portarci la posta ca mava lassatu u postino rapiu la porta che alla televisione c'era uno sbirro della Grecia che andava a fuoco. Mi taliau e fece un segno con la mano a indicarmi la scatulidda illuminata quindi mi rissi accussì:
"Grandi cose Totò! Grandi cose! Mi dispiace solo non arrivare a vederle!"
Mi siddiava chiedere altro e ci ittai un sorriso insignificante. Poi però me dispiaciuto quando ha chiuso la porta. La prossima volta mi faccio spiegare meglio. Se ciarrivo. 

14/06/11

Antioco Amicale

A peddiri la testa ci voli poco che anche il proverbio lo dice e a Antioco Amicale si può dire che ci capitò così. Che la perse davvero. Che la cercarono per un mese intero prima di trovarla dentro a una ghiaccera di quelle che si portano a mare. I carabbineri non ci potevano credere. Frisca frisca per il ghiaccio che ci cambiavano ogni giorno. Ianca e pulita come quella di un picciriddu. 
Ciccio la teneva così per farcela vedere ogni tanto a so mugghieri che che così si stava muta per quello che era successo o macari non ci vineva a fantasia di ciccari di nuovo citrioli a fera.
Insomma la storia poi era stata semplici. Enrica a mugghieri e Antioco u fruttaiolo avevano iniziato a futtiri inzichitanza che già dopo un po' che serano canusciuti non ne avevano potuto più fare a meno. E insomma non è tanto giusto su chiddu non è to maritu e chidda e maritata ma Enrica era stata sempre una brava mugghieri e Antioco un bravo caruso e uno non si può ribellari se antrasatta acchiana a pazzia a dittari leggi.
Era capitato che si erano conosciuti al mercato e a lei quel fruttaiolo nuovo non è che cera stato subito simpatico però i prezzi erano buoni e la frutta di qualità e accussì lei ci ieva quasi ogni giorno. Quando cera confusione che ci toccava di aspettare Enrica aveva accuminciato a osservarlo meglio a quel cristiano e cera piaciuta  la cortesia che ci metteva a trattare con i clienti e la timidezza macari  che era strano per uno ca di misteri vinneva robba. 
Insomma chiffù e chi non fù passau picca tempo prima che pigghianu a parrari e soprattutto a taliarisi accussì senza imbarazzo che già il cuore batteva strano e i causi accuminciavano a stari stritti.
Antioco ci pareva ogni giorno festa e sbagghiava macari i prezzi quando cera lei e vinneva mulinciani pi cucuzzi a taliarla  e arristava mutu e assente quannu sinni ieva. Sarritirava a casa tutto chinu di fantasie e sorrideva alla gente senza mancu virirla che tanto a tutti si sinteva di vulirici beni.
Il primo incontro dei due fu alla Villa come i carusiddi da scola e il primo bacio anche che in quel momento fu come una cascata dacqua frisca. Comu su tutto cascassi no cori.
Enrica i primi tempi non ci pensava al futuro ma poi la strada verso casa addivintau ogni giorno chiù pisanti e i piedi si ribellavano e i manu cercavano appigli pi tinirisi e la testa era china di ogni cosa. Eppure continuò a vederlo il suo Antioco e quando riuscivano a fare lamore non cerano dubbi o paure che la pace vera era quella e non sivveva altro.
Ciccio lavevano avvertito e una volta e due e ancora eppure ciarrireva na facci a quei sparritteri senza nenti chiffari che Enrica era sua e non cerano dubbi che lui se la pigghiava ogni sira a so fimmina e un masculo lo senti se tutto è a posto. 
Furono mesi meravigliosi e difficili e felici e di paura che lamore è sempre questo e loro lo seppero e lo conobbero ma rurau e crisceva e non fineva. 
Quando ci ficiru viriri la casa Ciccio non ci voleva credere. Aspittau che lei niscissi e poi sunau alla porta. Antioco ciaveva la faccia della felicità e non laveva mai visto a quel cristiano e non lo sapeva chi era e neanche un coltello come quello che ci tagliò il collo aveva mai visto e non lo sapeva a chi puteva sevviri. Poi cangiau tutto e non seppe più niente.

13/06/11

07/06/11

Enzo Del Re (Mola di Bari, 24 gennaio 1944 – Mola di Bari, 7 Giugno 2011)


Enzo del Re è anche uno che non ha smentito quello che per anni ha cantato nelle sue canzoni. L’ho incontrato stamattina, sempre lì, al solito posto sul lungo viale che ospita il mercato del paese. Solito stile: lunga barba brizzolata, una camicia azzurra con un gilet di jeans, seduto su una sedia a chiacchierare con uno dei suoi amici, o un passante. Il suo banchetto è sempre il solito, piccolo, coperto di un telo bianco e di musicassette e biglietti che riportano le sue canzoni accanto ad un’immagine di Mola di Bari vista da "L’acqua di Cristo", la zona che sta di fronte al Cimitero. Rispetto all’ultima volta che l’ho visto, si è arricchito di cd... Mi fermo a parlargli, e parte il racconto di quando Dario Fo parlava di mafia alla RAI, delle sue lotte per mantenere la propria libertà artistica e, forse più banalmente, di parola. Mi racconta di quando Guido Chiesa andò a cercarlo lì, al mercato, per chiedergli di mettere "Lavorare con Lentezza" nel suo film. "E quella canzone diventò poi la sigla di Radio Alice, nel ’69..." Me lo dice con orgoglio, ma anche un pò sottovoce, un pò come quelle comari che si avvicinano e ti dicono "ma lo sai che cosa è successo...." E’ un molese, Enzo del Re. E’ uno stravolgimentologo come si definisce parlando dei suoi studi sul dialetto locale e l’italiano... E’ un’artista, come si definisce guardandosi intorno un pò perso... E’ un comunista, come lo definiscono i molesi che lo hanno conosciuto nel ’68. E’ uno che sta lì, con il suo banchetto carico di musicassette e pochi cd, che gli si illuminano gli occhi se gli chiedi l’origine di una parola dialettale, ma se non ti fermi e passi oltre, ti guarda indifferente forse pensando " Mola a questo mondo per me non c’è un altro paese più arretrato di te. Ma se tu in sogno mi vieni sento la gioia che si sparpaglia in corpo e mi accappona la pelle. Paese mio, paese mio è un’altra notte è un altro giorno che sto vivendo così."
Fonte:Enzo Del Re, uno che lavorava con lentezza

05/06/11

le revolutionnaire bourgeois



Nella casa vinni una che spatteva volantini. Nella carta cera scritta una cosa longa longa e poi la parola sciopero tutta acculurata. La signora era tutta sorridente e accalurata anche che a stare al sole se la pelle non cè abituata unu sura presto e poi cè la polvere e la terra e mancano i marciapiedi anche che uno respira solo le machine.
Per questo lho invitata a pigghiarisi una birra che io sono gentile e certo anche pecchè era bello sticchiu.
Massittai nella cucina di fronte a lei e ci resi tutto il tempo per parlare. E di parlare non cià fineva chiù chista. Che lei era comunista e che era stata qua e che era stata là eppoi delle vacanze e dei viaggi e degli uomini e del lavoro che il suo amico giornalista e quello medico e leremo dei frati e la Corsica. Insomma nel giro di due birre mava cuntato tutta la sua vita e alla quarta mi parrava ancora di giustizia e amore e libbertà e continuava anche che già ammia mava stancato.
Ora io poche cose ho imparato ma di certo so che due sono le categorie che unu cià stari luntanu. I ricchi ca ti fannu i carizzi e quelli ca si sentunu rivoluzionari. I primi tanculanu o scuru e i secondi appena ci passa a frevi. Per questo lo anticipata che per una volta venivo io per prima.

02/06/11

"Amore senza spazio" di drfani


Partiamo da una certezza, la più ovvia di tutte: l'amore è dentro il mondo. Ma se è dentro il mondo, deve necessariamente essere anche parte del suo racconto.
E la parte di un racconto è racconto essa stessa. Ecco allora, se l’amore è racconto, deve sottostare almeno alle regole basilari d’ogni narrazione.
Caratteristica d’ogni narrazione è la necessità di spazio. Non c’è storia senza spazio.
Cos’altro è una storia, se non un vuoto che viene riempito? Una pagina bianca che viene scritta? un personaggio che va ad occupare mondi immaginati? una trasformazione, una metamorfosi che muove sviluppandosi da A fino a B?
Ora non voglio far diventare queste poche parole che dovevano essere sull’amore parole sulla narrazione, ma non posso fare a meno di dare seguito al mio ragionamento: sento che ha un suo perché.
Sempre più spesso vedo amori ingombranti, che si trascinano con fatica di anno in anno.
Questa idea mi aiuta a chiarire: quando la sovrapposizione è perfetta, quando ogni riga è stato scritta, quando ogni angolo del foglio è stato riempito, quando il personaggio ha realizzato tutte e dodici le sue fatiche, non c’è più possibilità per nessuna forma di racconto. Quanto tutto è compiuto è terminato anche lo spazio. Ed è vero il contrario. Quando non c’è più spazio: tutto è compiuto. Vale per ogni racconto. Bene, allora deve valere anche per l'amore. Quando ci appiccichiamo, quando colmiamo per intero la distanza, quando ci sovrapponiamo. Quando non siamo semplicemente vicini – intimi – ma attaccati uno all’altro, quando non esiste più uno spazio seppur minimo per il movimento, allora non esiste più alcuna possibilità di relazione.
Manca il tempo per lo stupore.
Tutto diviene fermo. Inalterabile. Già raccontato.
Ecco, all’amore evidentemente questo duole.
Come al racconto.
E duole anche a me. Perché molta, troppa gente vedo appiccicata, soffocata dentro una relazione che non può più essere tale, perché privata di qualunque distanza. Abitata in ogni sua minima parte.
Soffocata e soffocante.
Gaber direbbe: obesa.
Una relazione che ha straripato oltre il suo corpo, oltre il suo spazio. Una relazione che non ha più possibilità di dialogare, perché non ha più un luogo seppur piccolo dove posare parole nuove.
Una relazione che i proprietari ancora si sforzano di chiamare amore, ma non lo è più. Perché l’amore è racconto. E il racconto vive nella continuità di un cambiamento. Nella possibilità di un nuovo inatteso stupore.
Il racconto può esistere solo nell’occasione meravigliosa che offre un rigo che tiene viva ancora la sua parte di bianco.
Non c’è tempo per lo stupore senza uno spazio.
E dove non c’è spazio, non c’è più amore.
Un bravo narratore lo sa: è il momento di scrivere a quel racconto la parola fine.

Fonte: Eco-Sapere (Via vai di parole per una conoscenza eco-logica ) di drfani
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