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30/09/09

Linee urbane


Ora cè lautobussu ca porta a questura
e gira e vota e furia
ciavi i finestrini con le sbarre e
ci manca luscita di emergenza
rissunu
ma gira e vota e furia
e pigghia tutti
e i porta o carciri
comè gentile
comè elegante
gira e vota e furia
e dentro non ci manca nenti
tutto alla luce del sole
tutto al servizio del cittadino
solo gira e vota e furia
lautobussu ca pulizia a città
da tutte sti macchie niure
furia vota e gira
e iddi si possono fari una passiata al sicuro
al sicuro
fino a destinazione
fino a moriri
che la merda
quella
è tutta fora
ca talia

27/09/09

La paura


A scantarici semu tutti bravi che i problemi di certo non mancano e poi macari ca chisti non ci fussiru qualcuno disposto a rialannilli nzichitanza di certo si troverebbe.

E cè cu chiuri locchi.
Cu abbia pitrati.
Cu arriri senza senso
e cu si fa abbati.
Cu cerca i so amici.
Cu preia diu.
Cu futti.
Cu allucia.
Cu " ci pensu iu".

Una vota u scantu faceva veniri i vemmi e se questi tarrivavano na testa erano guai ca unu ci puteva arristari pazzu di manicomio o moriri macari che i vemmi erano pericolosi. E allora cera bisogno di una cicaredda e di massaggi e di priari che la calavermi era brava e arrisuvveva tutto. Bastava essiri precisi. Ordinati. Che tutto ciaveva il suo tempo. Che il bene era sempre chiù forti do mali.

E cè cu talia rittu.
Cu pigghia u vastuni.
Cu mangia senza pitittu
e cu fa u crastuni.
Cu si ietta nterra.
Cu accumencia a fumari.
Cè cu si caca ncoddu.
Cu scumpari.

Io se qualche cosa mi scanta mi cuntu delle storie che mi fanno scantare ancora chiossai e poi me le ripeto che così mi sento meglio. A vote poi invece mi sforzo solo di rapiri locchi che macari può capitari che la cosa ca mi fici scantari è sulu uno specchio nabbagghiu e per questo è megghiu taliari.

E cè cu fingi festa.
Cu si ietta a mari.
Cu ammazza a famigghia.
Cu si fa arristari.
Cu fa attentati e cu si marita.
Cu sforna figghi e cu si rifà una vita.


Fonte immagine:Rosa Puglisi, Mavara

26/09/09

Leonora Carrington

Il lunedì se il tempo è buono faccio due isolati a piedi e vado a trovare la mia amica Carmella. Vive in una casetta con sua nipote che cucina dolci per una sala da tè svedese benché sia spagnola. Carmella ha una vita piacevolissima ed è molto intellettuale, legge libri con un occhialetto elegante e non borbotta quasi mai tra sé. Lavora a maglia bellissimi pullover, ma il vero piacere della sua vita è quello di scrivere lettere. Carmella scrive lettere in tutto il mondo a gente che non ha mai conosciuto firmando con ogni sorta di nomi romantici, mai col suo naturalmente.
Carmella disprezza le lettere anonime e comunque sarebbero poco pratiche perché chi può rispondere a una lettera non firmata? Queste meravigliose lettere volano celestialmente per via aerea nella delicata scrittura di Carmella. Nessuno risponde mai. La gente non ha mai tempo per le cose interessanti.


Leonora Carrington nasce in Inghilterra il 6 aprile 1917 in una ricca famiglia. Da ragazza viene espulsa da parecchie scuole per comportamento ribelle finchè non viene mandata a studiare arte a Firenze. Tornata in Inghilterra prosegue gli studi artistici nonostante l'opposizione del padre finchè, nel 37, incontra Max Ernst - di cui già ammirava il lavoro - e con lui va a vivere a Parigi. Con l'occupazione nazista della Francia nel 1940 Ernst viene arrestato. Leonora Carrington si trasferisce in Spagna dove ha un tracollo psicologico che la porterà in manicomio per un periodo. Quando i suoi cercano di riprenderla per farla curare in un altro istituto Leonora fugge e si rifugia nell'ambasciata messicana di Lisbona dove riceve l'aiuto di un diplomatico messicano amico di Picasso. Con lui si sposerà per convenienza trasferendosi successivamente a New York e poi in Messico dove divorzierà per risposarsi con l'intellettuale Emericko Weisz da cui avrà due figli e con cui vivrà per più di sessant'anni. Il Messico le darà l'opportunità e lo spazio per dipingere e scolpire e per intrecciare relazioni artistiche importanti come quella con Remedios Varo. Le fornirà inoltre l'ispirazione per le sue opere pittoriche e letterarie, in cui l'artista saprà unire le fiabe e i racconti celtici della sua educazione infantile alla mitologia e alle leggende messicane. La sua prima mostra avverrà a New York nel 1947. Successivamente molto conosciuta in Messico, comincerà ad esporre negli altri paesi del mondo a partire dagli anni ottanta. Il suo lavoro, eseguito con una tecnica meticolosa, è estremamente evocativo e simbolico, ma di fatto enigmatico e l'autrice non spiega mai i suoi lavori.

Fonti

Testo tratto da
Il cornetto acustico (Ed. Adelphi) riportato su Women.it (dallo stesso sito anche la nota biografica)

Foto: Ordinary finds

Camilleri sull'utilizzatore finale

Con le sue inseparabili sigarette e con Annalisa, la sua giovane assistente che gli prepara caffè zuccheratissimo, Andrea Camilleri mantiene a 84 anni una brillantezza mentale ed una memoria invidiabili. Ed ecco lì la rabbia, la sua vecchia rabbia comunista, quella che Camilleri considera l’antidoto morale per il suo paese, quest’Italia che nonostante tutto vota e ammira Silvio Berlusconi e che, afferma, “ama il buffone delirante perché riflette il peggio di ciascuno di noi e suscita l’invidia che ogni italiano prova nei confronti delle motociclette che non rispettano nessuna regola del codice della strada”. In questa intervista, realizzata ieri nella sua abitazione, il maestro del romanzo noir dipinge l’oscurità del panorama politico italiano.

D. Tutta l’Europa parla di Berlusconi, gli italiani tacciono.
R. Questo silenzio è inquietante. E’ da tempo che viviamo una sorta di fase della supplenza. La magistratura ha sostituito la politica e lo stesso accade per l’opposizione: in quanto inesistente, è stata sostituita da due quotidiani (La Repubblica e L’Unità) e da un canale televisivo (RAI3). Tutti gli altri tacciono. E così parla la stampa estera che ha sostituito la nostra in questa fase d’emergenza della nostra democrazia.
D. E’ davvero emergenza?
R. Certamente. Prima l’Italia era considerata un’anomalia, adesso non ci sono pesi e contrappesi, corpi e anticorpi, la malattia Berlusconi si è diffusa e non trova resistenza. Siamo mentalmente, politicamente ed economicamente malati, soprattutto nel nostro costume: predomina l’immoralità.
D. C’è chi dice che si è compiuto il piano della loggia P2…
R. Non si è realizzato del tutto ma in gran parte si. Le idee dei suoi fondatori sopravvivono nell’uomo che ha conquistato il potere. E’ una clonazione ma il DNA è lo stesso. L’organizzazione è stata smantellata, le idee sopravvivono.
D. Crede che il Partito Democratico sia una reale alternativa?
R. Non ho mai voluto aderire, è un mostro a due teste. E’ bene che ci siano più voci all’interno di un partito ma solo quando gli obiettivi sono comuni. Qui ci sono ex comunisti del PCI con l’Opus Dei. Una difficile convivenza. L’incontro di questi giorni tra Rutelli (PD) e Fini (PDL) conferma, a mio parere, la fine del PD. Gli ex democristiani vogliono darsela a gambe. E dall’altra parte Fini vuole abbandonare Berlusconi. Ormai quel che è fatto è fatto.
D. Così l’unica speranza è….in esilio con Obama??
R. La vera tragedia è che è possibile che, appena arrivati, l’abbiano già tolto di mezzo. Ha il grande svantaggio di essere nero: potrebbero assassinarlo in un niente. E non scherzo.
D. Perché si dice che in Italia non c’è libertà di stampa? Secondo Berlusconi, la Rai è l’unica televisione pubblica che critica il Governo.
R. Berlusconi sostiene di non essere un dittatore perché i dittatori censurano e chiudono i giornali. Lui non li chiude perché non può. Però censura. Alcuni anni fa cacciò vari giornalisti RAI, qualche tempo fa affermò che Paolo Mieli (Corriere della Sera) e Giulio Anselmi (La Stampa) avrebbero dovuto cambiare mestiere e nell’arco di una settimana è quello che fecero. E’ poi c’è la peggior censura, l’autocensura, la paura dei giornalisti di farsi del male con le loro stesse mani. C’è così tanta paura che quasi si preferisce leggere Vittorio Feltri (direttore de Il Giornale), perlomeno è chiaro, sai perfettamente chi hai di fronte. Gli altri non li si capisce per niente.
D. Come è iniziato il berlusconismo?
R. Quando nessuno se lo aspettava, dal processo Mani Pulite saltò fuori un politico che incarnava perfettamente la corruzione che si voleva combattere. In questa circostanza si notò la capacità geniale di Berlusconi di mostrarsi per quello che in realtà non è. Adesso si mostra per quello che realmente è: insulta i giornalisti, gli avversari, li chiama farabutti, coglioni…Dove si è mai visto un primo ministro che insulta?
D. Li chiama soprattutto comunisti.
R. Non riuscirà mai a far si che io prenda questa parola come insulto. Questo rivela solo una cosa: è innamorato del fascismo, ma lui è peggio dei fascisti perché alcuni fascisti si sono evoluti. Per questo ha affermato che Mussolini mandava i giornalisti critici nei suoi confronti in vacanza. Non sa che Amendola fu picchiato a morte, che i fratelli Rosselli furono assassinati in esilio, che Gramsci morì dopo anni di carcere? Non sa che i comunisti italiani firmarono i Patti Lateranensi con De Gasperi, che insieme alla Resistenza hanno portato la democrazia, che fermarono le vendette contro i fascisti?
D. Se agita il fantasma del comunismo, sarà perché gli torna utile.
R. Certo che lo è. E gli italiani se la bevono perché non hanno memoria. Gli italiani si ricordano del loro paese perché aveva una squadra che giocava partite contro il paese vicino. Se domandi ad un italiano cosa accadde nel 1928, ti darà la formazione dell’Inter di quell’anno ma non ti dirà certo che quell’anno si impose il fascismo perché questo non lo sa.
D. Crede che il fatto che non ci sia stata una guerra civile abbia dato vita ad un conflitto fermo al suo stato embrionale, irrisolto?
R. Il Movimento Sociale Italiano nacque sei mesi dopo la fine della II Guerra Mondiale. Diciotto mesi più tardi avevano già deputati in Parlamento. Nel ‘45, quando arrivai a Roma, c’erano scritte che dicevano “Ridateci il testone”. Volevano di nuovo Mussolini! Ricordo un articolo favoloso di Herbert Matthews, giornalista del New York Times. Diceva “Non avete ucciso realmente il fascismo, è una malattia di cui soffrirete per decenni e riapparirà in forme che non riconoscerete”. Ed eccoci qui, a domandarci se Berlusconi è o non è fascista.
D. Anche Pasolini profetizzò qualcosa di simile.
R. Pasolini era discutibile nel giudicare se stesso; ma la sua percezione sugli altri era assolutamente acuta. Lui e Sciascia sono le due grandi coscienze civili che ci mancano. Ho tremendamente bisogno di loro.
D. Niente dura per sempre…
R. Lo scarso audience di Porta a Porta dell’altra sera è stato una gioia. Dà qualche speranza. Un imbecille ha scritto su Il Giornale che il mio sogno è quello di vedere Berlusconi impiccato come Mussolini. E’ il contrario, ciò che più temo è che possa morire o che i giudici lo facciano fuori. Quello che voglio invece è che duri, che gli italiani bevano da questo calice fino a vomitare. Così si renderanno conto di ciò che è e poi finirà. Altrimenti, diverrà martire. Spero soprattutto che risusciti la moralità perché adesso ciò che vige è la morale del vespino. Il vespino va controsenso e nessuno dice niente; passa col rosso e nessuno dice niente, sale sul marciapiede e nessuno dice niente. Gli italiani guardano il vespino e pensano: Madonna! Che bello sarebbe essere questo vespino e non rispettare nessuna regola!” E non mi riferisco alle escorts né alle veline, mi riferisco solo alla vita quotidiana.
D. Perché gli italiani amano così tanto Berlusconi?
R. Perché si guardano allo specchio e sono uguali. Impéra una maleducazione insopportabile. L’altro giorno il conducente di un auto ha gridato a mia moglie: “Cretina! E io le ho detto “Segui quella macchina, seguila”. Perché?, mi ha chiesto, mi ha insultato! Sì, ma ti ha chiamato cretina e non puttana, voglio conoscerlo, è un tizio vecchio stampo, seguilo!
D. In questo senso Veronica Lario è un esempio di civismo femminista, anche se è stata catalogata come “velina ingrata” da Feltri.
R. Non è mai stata una velina, era un’attrice di teatro e anche abbastanza dotata. E’ una donna offesa che non ne può più, che non può parlare con suo marito e decide di farlo attraverso i media. Mia moglie, se facessi una cosa simile, mi butterebbe giù dalla finestra. Ciò che risulta davvero offensivo è l’esibizionismo di Papi, così poco serio. Sei un nonno di 72 anni! Se vuoi farlo, fallo con discrezione, cosciente di ciò che sei. E poi, che figuraccia! Se dici di frequentare minorenni è già un orrore, ma le escorts…
D. Dice di non aver mai pagato
R. Fa pagare gli amici, è ancora peggio. Caligola, Nerone, avevano una loro grandezza. Alla fine bruciarono Roma. Questo è talmente meschino che fa paura. Non accenderebbe nemmeno un fiammifero.
D. Crede che l’Italia possa resistere così ancora quattro anni?
R. Non credo, siamo sul punto di un’implosione. Fini, forse per puro gioco di parole, ha un fine, allontanarsi da lui. Dice cose giuste, laiche, moderne. Una destra finalmente rispettabile. Dall’altro lato della barricata gli auguro sinceramente che ci riesca.
D. Non crede che la Chiesa preferisca Berlusconi?
R. Certamente: “pecunia non olet”, il denaro non puzza. Puoi attaccare la verginità di Maria, negare il santo sepolcro, loro ti mettono all’ Indice e tu vendi più libri. Però se dici loro che tagli i fondi alle scuole si arrabbiano. Il dogma assoluto della Chiesa è il denaro, l’esenzione fiscale. Conosco a Roma un cinema porno intestato al Vaticano….Basta non toccare il denaro del Santo Padre. Il Vaticano detta legge in Italia e non l’hai mai fatto tanto come in questo momento. Ma il Papa dissimula come Zapatero: assistono in diretta al delirio di Berlusconi e dicono: “Non posso parlare perché sono straniero”. E se poi qualche vescovo dice qualcosa, fa come Berlusconi con Feltri: “Mi dissocio, mi dissocio”. No, non sarà la Chiesa a farla finita con Berlusconi. Spero siano i cittadini a farlo.

[Articolo originale ""No será la Iglesia la que acabe con Berlusconi"" di Miguel Mora]



Fonte: Italia dall'Estero

24/09/09

La libertà di stampa in Italia

Non riesco a capacitarmi del fatto che si tolleri con tanta leggerezza il proliferare di giornali nuovi, vedi quello di Marco Travaglio, l’uomo più viscido della sinistra disfattista e sempre alla ricerca di nuovi modi per indebolire il premier, vista la continua ascesa dello stesso nel consenso degli italiani. Possibile che l’avvocato Ghedini non riesca a trovare un reato plausibile per la chiusura di queste «vipere» che strisciano con il continuo intento di mordere il premier e causarne la morte politica? Un giornale che palesemente offende e denigra il capo del governo va subito chiuso. Lasciamo poi le critiche a chi è nato per criticare tutti gli avversari politici. Una volta creato l’esempio gli altri giornali di sinistra si guarderanno dal continuare ad offendere il premier e la sua coalizione. Possibile che non si riesca a trovare una norma che preveda l’attentato morale al capo del governo? Io credo che l’unica soluzione a questo continuo stillicidio di calunnie sia quello di rispondere con i sistemi usati (che io non approvo) da Putin nei confronti della Georgia, e della Cina nei confronti dei monaci tibetani: «La forza». Dopo una serie di bastonate inflitte a Franceschini, D’Alema, Travaglio, Santoro e Maurizio Mannoni, si vedrebbero subito i risultati, si vedrebbe il ritorno del rispetto nei confronti di Berlusconi.


Mario Cervi (il "padre nobile" della testata) sul Giornale (dal 1987 proprietà della famiglia Berlusconi) di oggi (che non linko)

Vivian Lamarque

Condomino

Cammino piano, qua sotto
al terzo piano dorme un condomino
morto. E' tornato morto stasera
dall'ospedale, gli hanno salito
le scale, gli hanno aperto la porta
anche senza suonare, ha usato
per l'ultima volta il verbo
entrare. Ha dormito con noialtri condomini
essendo notte sembrava a noi uguale
ha dormito otto ore ma poi ancora
e ancora e ancora oltre la tromba
mattutina dei soldati, oltre il sole
alto nel cielo, ora che noi ci muoviamo
non è più a noi uguale. E' un condomino
morto. Scenderà senza piedi le scale.
Era gentile, stava alla finestra
aveva un canarino, aveva i suoi millesimi
condominiali, guarda gli stanno spuntando
le ali.

da Una quieta polvere (Mondadori, 1996)

20/09/09

L'Arcobaleno [sett.-ott. 2009]

Con questo numero ricomincia l'avventura dell'ARCOBALENO.
Ricomincia con una veste grafica più agile e con una nuova impostazione dei contenuti, quasi tutti convergenti attorno ad uno specifico tema. Da esperienza prevalentemente locale, il nostro giornale ha cominciato ad essere letto ed utilizzato didatticamente anche fuori dalla Sicilia; ora conta numerosi collaboratori/redattori sparsi in tutta l’Italia.
Non abbiamo padroni, rifiutiamo i padrini e non vogliamo sponsor; le nostre possibilità materiali sono limitatissime, non così quelle progettuali che non hanno praticamente confini. Il nostro giornale è un cantiere aperto, destinato ogni giorno a cambiare.
Non cambia, ma se possibile, si rafforza, invece, la nostra idea di fondo: rappresentare uno strumento in grado di suscitare riflessioni e stimolare critiche e confronti. Siamo sempre più convinti, infatti, che sia necessario gettare sassi colorati nella palude grigia della malainformazione di massa, per la quale è più importante il rumore di un albero che cade rispetto allo sforzo immane di una foresta che cresce; per la quale le condizioni di vita e la vita stessa di milioni di esseri umani hanno minor rilievo di una storia di corna, di lifting, di miss Italia o del superenalotto.
Alla cultura rassicurante, dimensionata a capitoli e paragrafi, rimasticata e risputata sempre allo stesso modo, misurata con i quiz, valutata con il bilancino dei decimi e dei centesimi, noi preferiamo quella che semina i dubbi, che tra il bianco ed il nero si sofferma sui grigi, che ha l'ambizione di formare esseri umani, ciascuno diverso dagli altri, e non entità omologate nei cervelli e plastificate nelle forme.
La scuola è una realtà in cui crediamo sia ancora possibile educare all'essere e non al sembrare, all'essere e non all'avere. Noi scegliamo i viottoli irti, tortuosi e ciottolosi invece che le autostrade votate all'alta velocità; e all'esibizione di gusci belli ma vuoti preferiamo uno sguardo attento a decifrare i segni complessi della nostra vita sociale.
La conoscenza è fatica, ma il piacere che si ottiene riconoscendo il frutto del proprio impegno non ha nulla a che spartire con la botta di fortuna dei miracolati della lotteria, con il “posto” ottenuto leccando i piedi ad un protettore, con i soldi ricevuti vendendosi il corpo o la dignità.
Vorremmo che la scuola riuscisse nel suo compito più alto, quello di insegnare, di lasciare un segno per tutta la vita, un vaccino permanente contro l'influenza epidemica e contagiosa della stupida e istupidente brama del potere.
Questo numero propone il tema del viaggio. Se ne parla da tanti punti di vista; ma qualcuno potrà giustamente lamentare la mancanza di qualche spunto, l’assenza di qualche classico del viaggio. Manca On the road di Jack Kerouac, manca l’Odissea, mancano i viaggi nell’oltretomba di Virgilio e Dante. E poi la cartografia, l’analisi economica del turismo di massa, la storia e l’evoluzione dei mezzi di trasporto… Insomma, ce n’è almeno per un altro numero. Ma essere esaurienti ed esaustivi non rientra tra i nostri scopi. Ciò che vogliamo è dimostrare concretamente come sia possibile, facile e divertente organizzare un discorso unitario semplicemente adottando diversi punti di vista. Vogliamo affermare che le materie sono tante, ma la cultura è una, ed è vero che la cultura è ciò che rimane quando si è dimenticato tutto. Le nozioni a memoria pappagallesca lasciamole ai cretini di turno. Forse è troppo presto per pensare alle tesine, ai percorsi o alle mappe concettuali in vista degli esami di Stato, ma non è certo un male se si comincia a farsene un'idea precisa o a trarne utili suggerimenti sin da ora...

19/09/09

Mario Lodi





Alla Drizzona, la bella cascina presso Piadena dove da un ventennio Mario Lodi guida le attività della «Casa delle Arti e del Gioco» da lui fondata, l'ultima calura dell'estate arretra davanti ai porticati ariosi. L'autore di decine di libri per ragazzi - a cominciare dall'indimenticabile Cipì - è ancora sulla breccia con lo stesso entusiasmo di quando, anticipando di una manciata di anni La lettera a una professoressa di Don Milani, con il suo C'è speranza se questo accade al Vho (1963) cominciò a riflettere sulle sue esperienze di maestro elementare.

Di lì a poco, con Il paese sbagliato (1970), e non pochi altri saggi e variegate iniziative, compreso un giornale per bambini, divenne il simbolo del rinnovamento da operare dentro la scuola dell'obbligo. Un impegno che in Lodi non si è mai attenuato. Nato nel 1922, diplomato maestro nel 1940, di mutamenti ne ha visti tanti ma ora, davanti agli interventi che, impongono il maestro unico prevalente, riducono gli insegnamenti opzionali e altre attività che hanno sorretto la scuola del tempo pieno di cui è stato uno dei pionieri, osserva sgomento. E respinge deciso ogni proposta di classi inizialmente separate per gli alunni extracomunitari: «I bambini, quando arrivano a scuola, non sanno scrivere ma sanno tutti parlare, nelle loro diverse lingue. E la parola è la ricchezza immensa che non va chiusa in ghetti ma educata al dialogo. Solo così il bambino, come auspica la nostra Costituzione, diventa il cittadino del futuro…».

Lodi porta dritto dritto i suoi 87 anni e, se gli si chiede di ricordare i primi libri che gli arrivarono sotto gli occhi, non ha dubbi: «Sono nato proprio nell'anno della Marcia su Roma e uno dei primi libri che mi diedero da leggere a scuola, e che mi si è stampato nella memoria, raccontava le avventure del balilla Vittorio».

Era quello scritto da Roberto Forges Davanzati?
«Sì, stampato dalla Libreria di Stato, era una sorta di Cuore trapiantato dentro le liturgie del Regime. Seguendo le vicende quotidiane di Vittorio tutti gli scolari italiani di quinta venivano coinvolti nei passi fondamentali dell'edificazione mussoliniana. Erano con lui alle grandi adunate, festeggiavano il Natale di Roma, partecipavano alla Befana fascista. E andavano a vedere i lavori di bonifica nell'Agro pontino...».

Per fronteggiare lo zelo del Balilla Vittorio servivano robusti antidoti. Chi li ha riforniti?
«Mio padre, operaio di simpatie socialiste. Portava a casa romanzi che appartenevano alla tradizione popolare. Con personaggi che mi insegnavano cosa era la vita e come starci da uomini giusti. Mi colpiva il Remi vagabondo e curioso delineato da Hector Malot in Senza famiglia. Oppure l'affollato palcoscenico de I miserabili. Un libro che si è così inciso nel mio cuore, tanto che ho chiamato Cosetta mia figlia, proprio come la ragazzina che trova in Jean Valjean un padre giusto e coraggioso…».

I libri come antidoto alla propaganda di regime. E poi?
«Nel contesto, molto semplice e popolare, in cui viveva la mia famiglia i libri trovavano un forte apprezzamento. La padrona della fabbrica dove lavorava mio padre per Natale, ai figli dei dipendenti regalava libri. Testi diventati per me significativi: ricordo ancora un'edizione del Tartarino di Tarascona di Daudet. Mi aveva conquistato almeno quanto le pagine del Corrierino dei Piccoli che cercavo, ogni settimana, di non perdere. Ero già alle medie quando su Topolino dell'editore Nerbini, che poi editerà L'avventuroso, fu pubblicato il primo fumetto delle avventure africane di Cino e Franco, due ragazzotti che l'autore, un americano, catapultava in un'improbabilissima giungla. Un successo strepitoso…».

Poi con le superiori e l'inizio dell'insegnamento saranno arrivate le letture più impegnative…
«Paradossalmente un segno meno rilevante mi è stato lasciato dai libri importanti, dai classici che alle Magistrali ci dicevano di leggere. Certo fui colpito da un brano di Tolstoj che parlava della scuola avviata nella sua tenuta per i figli dei contadini. Ma rispetto alla pedagogia, al rapporto col bambino, a scuola trasmettevano solo nozioni e mai messe in discussione. Col Rousseau de L'Emilio e, ancora di più, con le intuizioni pedagogiche di Maria Montessori o il "metodo naturale" di Célestin Freinet, ho fatto i conti più avanti, sul lavoro. Tra i banchi delle mie classi che erano sempre in scuolette di questa mia campagna cremonese, sperdute e tuttavia investite più che mai dai cambiamenti in atto nel Paese. Dall'emigrazione per esempio che portava qui dal Veneto e dal Meridione schiere di lavoratori che si avvicinavano ai centri industriali ma non potevano permettersi di abitare in città…».

Lì cominciarono le esperienze del testo libero, del calcolo vivente, della pittura come libera espressione del bambino?
«Sì. I giornali di scuola, le inchieste condotte dai bambini raccontate in C'è speranza se questo accade al Vho. Appena prima dell'uscita di Lettera a una professoressa un amico giornalista, Giorgio Pecorini, mi aveva portato a Barbiana. Voleva che Don Milani e io ci conoscessimo. E per due giorni, su nel Mugello, fui tempestato dalle domande di don Lorenzo: voleva sapere tutto, ma proprio tutto, su come lavoravo in classe…».

Intanto i diari del lavoro compiuto con i suoi ragazzi nel corso dei diversi anni scolastici confluivano in un altro suo testo: come nasce «Il paese sbagliato»?
«Lo avevo fatto leggere nella sua prima stesura a Gianni Rodari che aveva suggerito a Giulio Einaudi di pubblicarlo subito. Eravamo tra il 1969 e il 1970. Ricordo che Einaudi è venuto qua da me, a Piadena, con le bozze de Il paese sbagliato e mi ha dato ventiquattro ore di tempo per tagliare cento pagine, così da alleggerire il tutto. Ventiquattro ore, perché stava andando a Colorno dove Basaglia, che era appena arrivato da Gorizia per dirigervi il manicomio, doveva consegnargli un suo nuovo libro che doveva uscire contemporaneamente al mio. Penso fosse La maggioranza deviante scritto con la Franca Ongaro. Comunque quando Einaudi ha rimesso piede qui io avevo finito il mio lavoro di riduzione del testo. Dopo la pubblicazione, iniziò un impegno di convegni, conferenze, viaggi durato anni...».

Continuato anche dopo che ha concluso l'insegnamento…
«Certo, un'attività di seminari, laboratori, incontri che continuano qui alla "Casa delle Arti e del Gioco" che ho costituito nel 1989 con i proventi del Premio Internazionale Lego che avevo appena vinto. Un impegno che ha investito anche il tema, affrontato in alcuni miei libri, del rapporto dei bambini con la televisione. Non ho mai condiviso alcuna demonizzazione verso la Tv, sin da quando l'ho vista la prima volta dietro la vetrina dell'elettricista di Piadena. Ma piuttosto l'urgenza di farne capire le opportunità e i rischi…».

Dunque prefigurando un futuro che adesso è arrivato...
«Per la verità è un futuro che stava già dentro uno dei libri che ho amato di più, il Pinocchio di Collodi. Lì c'è già tutto sul tragitto che porta il burattino a diventare bambino o viceversa. Quando il cittadino diventa un burattino manovrato dagli altri. E sui Mangiafuoco, o il Gatto e la Volpe che ci vogliono convincere che c'è un campo dove nella notte crescono gli zecchini d'oro, c'è qualcosa da aggiungere rispetto a quanto scriveva Collodi?».

E qualche libro ancora che spieghi come girare le spalle al Paese dei Balocchi e tornare a scuola, dai buoni maestri…
«Allora bisogna leggere Ultimo banco. Per una scuola che non produca scarti. Lo ha scritto Sandro Lagomarsini, un prete che da trent'anni a Cassègo, un borgo sperduto dell'Appennino ligure, ha aperto un doposcuola sulle orme di Don Milani. E' stato pubblicato adesso dalla stessa Libreria Editrice Fiorentina che aveva fatto uscire il libro del priore di Barbiana. E poi c'è un altro libro ancora che mi è piaciuto. E' L'uomo che piantava gli alberi di Jean Giono. Parla di come un uomo solo - con alberi piantati pazientemente l'un dopo l'altro per anni, e seguiti con cura - possa far rivivere una vallata brulla…».

Sentendo parlare Lodi dagli alberelli il pensiero corre ai ragazzi che stanno per varcare, in questi giorni, la soglia delle nostre scuole. Riusciranno a rinverdire questo Paese?

18/09/09

Templa


Io non lo saccio se dico una fesseria ma mi pari che un tempo quando qualcuno decideva di rapiri una fabbrica la pensava come a una chiesa. Come a uno scogghiu. Come a un simbolo di una religione che doveva durare per sempre.
E i mura erano belli larghi. E gli uffici ranni. E i pilastri ben fatti che ci doveva veniri difficili a tutti sulu a pinsari di abbattirli. Insomma la fabbrica era magnifica. Qualcosa di più importante degli operai. Di chiù forti dello stesso padrone. La fabbrica era il mondo che allimprovviso cangiava. La prova che non si poteva chiù turnari indietro.

16/09/09

Santi


E' bello quando unu ciavi un santo. Unu tuttu sò che ci può parlare e chiedere e confessare e mannari macari affanculu se vuole.
Iu pensu anche che uno se lo dovrebbe potere scegliere come ci piaci a questamico. Chinnisacciu u voi niuru iautu e cullocchi azzurri? Oppure pensi che è megghiu uno che è stato ricco e poi cià dato tutto ai poveri? O ancora immagini una carusidda ca mossi priannu e vergine? Ecco che ci runi un nome e ci fai lidentichitti e quello o quella spunta fora sulu pittia. E ci puoi aviri limmaginetta o il quadro o la statua comu ti veni più comodo o per come vuoi spendere.
E certo la chiesa ne ha fatti tanti di santi accussì ma purtroppo ancora non ciabbastano per tutti. E allora ogni tanto penso che i parrini dovrebbero avere un registro e tu ci vai e ci spieghi a loro comè fatto u to santo e ci cunti tutti i pila e la storia e quelli lo scrivono sopra il registro e ti autorizzano che poi macari quannu mori se lo può prendere qualcuno che può essere che cè piaciuto quello tuo.

13/09/09

Decenza


Me lo ricordo ancora che le prime vote che acchianai al nord non mi facevo convinto di come putissi fare la gente ad asciugare i robbi. Isava a testa e vireva sulu balcuni motti. Senza vita. Senza culuri.
Poi malluminanu lintelletto dicennumi che era una questione di decenza. Che non sta bene fari viriri le proprie mutanne al mondo. O parrari affacciato alla ringhiera. E meno che mai chiamari do balcuni a genti na strada.
Io continuo a non crederci a sti minchiati che secunnu mia è sulu ca purazzi non cianu u suli tutto lanno e allora una scusa ci voli per le proprie sventure comu nella favula della volpe e delluva che i soru a scola ma cuntavano o spissu sta storia quantera nicu.
Una vota il Cavaliere Arcidiacono mi cuntau che addirittura a Genova quannu ci fù u buddello avevano fatto una legge per vietarla in tutta la città questa usanza che allora non cera decoro. Comu su fussi chistu u problema della buona educazione mentre invece si putissuru ammazzari a coppa i cristiani impunemente.

12/09/09

11/09/09

Maic


Rissunu ca mossi Maic. Che lui era uno importante e che ora ci fannu i funerali di stato. Che era uno che ha fatto litalia e la televisione rissunu e per dimostrarlo ficiunu viriri tutte le minchiate che aveva fatto nella sua vita.
Rissunu ca mossi Maic e iu ci criru che era ormai anziano macari che se lo voleva ammucciare e passava tuttu u tempo a muntagna a sciari e a fari soddi con la pubblicità.
Rissunu ca mossi Maic ma iu cangiai canali che cera un film di Totò vecchio. Ma macari dà cera Maic che faceva "Lascia o Raddoppia" e il Principe ci iucava tannicchia.
Rissunu ca mossi Maic ma io me lo ricordo solo ca vinneva di tutto e sempri con la stessa faccia convinta che alla fera o luni avrebbe varagnato una fortuna. E infatti.
Rissunu ca mossi Maic quello della grappa e che non ha eredi ma questo anche io lo so che non è vero. Lui aveva fatto in tempo a spiegarici tutti i trucchi e le cose del mestiere al suo amico milanese e quello lha imparati accussì boni che ora anche lui è sempre più in alto. Anche lui cià il sigillo nero.

08/09/09

06/09/09

Abramo Leone (1988 - 2009)

Allanagrafe nisceva come Abramo Leone ma tutti per strada lo chiamavano Picaciù che allora nessuno lo avrebbe riconosciuto. Angiuria era nata quandera nicu che sempre mentre giocava al biliardino prima di fare un colpo forti si preparava girando la stecca e urlando: "Pica! Pica!" e poi al momento di tirare ciaggiungeva:"Ciùùùù" che la palla vulava veloci e forti come non mai. Sta cosa però forse a causa dei tanti gol segnati cera rimasta per vizio e criscennu lui quella formula laveva continuata ad usare come a prima. Accussì prima di ogni scippo arrivava supra alla vespa come quando lamericani arrivavano contro allindiani e puntualmente quando aveva finito lultima u della carica la borsa era già nelle sue mani. Anche quannu futteva non se la toglieva labitudine che il Pica era destinato allultimi colpi prima di veniri con una facci che pareva quella dei cartuni giappunisi.
Mi cuntanu che macari quannu mossi pronunciò la frase magica. Sera pigghiato la questione che non volevano fare entrare un amico suo dentro alla discoteca."Tu si niuru. Non ti vulemu" ciaveva detto a quello un pezzo di merda allingresso e lui non ciaveva vistu chiù che con Moamed cera crisciuto e ciaveva fatto i scoli e lo sapeva che non ciassumigghiava a lui. Che insomma era un bravo carusu. Comu fu e comu non fu nella discussione nisciu fora antrasatta nalliccasapuni e sangu vivu macari.
Quannu arrivanu i sbirri respirava ancora. Moamed ci tineva a testa e chianceva. Abramo invece sorrideva e continuava a ripetere: "Pica! Pica!" sempre più alleggiu però. Senza forza.

03/09/09

Sconfitte




A conti fatti.

Dopo una dibattutissima riunione di programmazione me ne sono tornata a casa un po’ depressa: facendo tutti i calcoli sul nuovo assetto orario risulta piuttosto evidente che sarà impossibile, per il prossimo anno scolastico, mantenere i laoratori così come si svolgevano negli anni scorsi.

Da moltissimi anni gestisco il laboratorio teatrale a classi aperte (in verticale e in orizzontale) che ha permesse a tanti ragazzini di appassionarsi a questa forma d’arte, di partecipare alla rassegna teatrale del distretto, confrontandosi con i coetanei che avevano vissuto esperienze analoghe, di salire su un palcoscenico vincendo la paura e controllando l’emozione.

Mi spiace che questa attività, come tante altre (strumento musicale, sport etc.), non sarà più possibile se non in forma molto limitata, mi spiace che vadano perdute tante professionalità, che tanti ragazzini si debbano accontentare di un’offerta meno qualificata, ma purtroppo non vedo alternative.

Grazie per questa scuola che educa un po’ meno, che insegna un po’ meno.

01/09/09

Seconda Guerra Mondiale




Seconda Guerra Mondiale 01/09/1939 - 02/09/1945

La seconda guerra mondiale ha rappresentato il più grave e terrificante conflitto della storia dell'umanità. A descriverlo, prima delle parole, valgano molto di più le cifre.

* ITALIA: 415.000 morti (330.000 militari, 85.000 civili).
* FRANCIA: 610.000 morti (250:000 militari, 360.000 civili).
* GRAN BRETAGNA: 410.000 morti (350.000 militari, 60.000 civili).
* GERMANIA: 7.000.000 di morti (4.000.000 militari, 3.000.000 civili).
* POLONIA: 5.420.000 morti (120.000 militari, 5.300.000 civili).
* UNIONE SOVIETICA: 21.000.000 di morti (13.600.000 militari, 7.500.000 civili).
* AUSTRIA, BELGIO, BULGARIA, CECOSLOVACCHIA, DANIMARCA, FINLANDIA, GRECIA, JUOGOSLAVIA, LUSSEMBURGO, NORVEGIA, OLANDA, ROMANIA, UNGHERIA: 4.720.000 morti (1.020.000 militari, 3.700.000 civili).
* STATI UNITI: 250.000 morti (tutti militari).
* CANADA: 42.000 morti (tutti militari).
* GIAPPONE: 2.060.000 morti (1.700.000 militari, 360.000 civili).
* CINA: 13.500.000 morti (3.500.000 militari, 10.000.000 civili).

Il totale di questa immane carneficina è spaventoso: 55.527.000 morti, dei quali 25.162.000 militari e 30.365.000 civili.

Nei 12 anni di regime nazista furono, inoltre, sterminati nei campi di concentramento circa 6.000.000 di ebrei.

Gli internati furono, in totale, 7.500.000.

Ai morti vanno aggiunte le distruzioni materiali, le devastazioni di incalcolabili ricchezze, di un immenso patrimonio creato dal lavoro e dalla intelligenza dell'uomo.

Molti paesi furono ridotti nella più completa rovina, con le città trasformate in un cumulo di macerie, le strutture economiche e le comunicazioni sconvolte, le popolazioni superstiti affamate.

Nel 1945 il costo totale della guerra fu calcolato in 1.154 miliardi di dollari; il costo delle distruzioni provocate dalla guerra in 230 miliardi di dollari. Si è anche calcolato che nella sola Europa occidentale furono completamente distrutti 1.500.000 edifici e danneggiati 7.000.000.

Tratto da Memoria per la storia e per la pace - Mai più guerra, a cura di Tullio Ferrari, Vol. III, Associazione Nazionale Combattenti e Reduci, Sez. di Modena, 1986, pag. 106. [su liberliber]
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