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30/04/09

La bottiglia

La radio è quasi sempre addumata a me casa che ammia mi piaci e poi sento le voci quando non cè nuddu e quelle mi fanno compagnia. Certe volte può macari capitari che ascuto una cosa intelligente o qualcuno che murmuria notizie che arrinesciunu mutimuti a fariti pinsari.
Ieri per esempio parranu di una buttigghia importante che avevano trovato e io a questa buttigghia confesso che ciò pensato tutto il resto della giornata e anche ora mi veni nella testa ca pari una musca di quelle che non escono più dalla finestra.
La storia poi in fondo è semplici che attruvanu questa cosa vicino a un campo dei tedeschi della guerra quelli dove ammazzavano a ebbrei e zingari e ghiarrusi e cumunisti e dentro la buttigghia ciaveva una carta ammugghiata che cerano scritti sette nomi e sette numeri che poi si chiamano matricole rissunu alla radio e questa cosa già era successa vicino a un altro campo na para di anni fa con altri due nomi di gente diversa.
E a mia mi veni nella testa che di queste persone cè rimasto solo questo e che chiù tinta della fame più crudele delle vastunate era per loro la cosa di non potere esistere di essere addivintati sulu numeri senza passato e senza futuro. Allora penso a mia e mi dico che io invece ciarrinesciu a mangiari e quasi sempre nuddu mi runa coppa senza motivo eppero a dire la verità non lo so lo stesso se una buttigghia vuota mi sivvissi.

Messaggio in bottiglia 65 anni dopo Auschwitz

26/04/09

Antonio Gramsci (Ales, 22 gennaio 1891 – Roma, 27 aprile 1937)

«È un fatto che si chiama politica [...]. Tu sai come si fa con i bambini che fanno la pipì nel letto, è vero? Si minaccia di bruciarli con la stoppa accesa in cima al forcone. Ebbene: immagina che in Italia ci sia un bambino molto grosso che minaccia continuamente di fare la pipì nel letto di questa grande genitrice di biade e di eroi; io e qualche altro siamo la stoffa (o il cencio) accesa che si mostra per minacciare l’impertinente e impedirgli di insudiciare le candide lenzuola»

Antonio Gramsci, Lettera alla madre, 25 aprile 1927



Fonte immagine :http://www.muralesinsardegna.net



Fondazione Istituto Gramsci

Antonio Gramsci

L'albero del riccio (Audiolibro)

24/04/09

I sette fratelli Cervi

Ma i padri e le madri sono fatti cosi', adesso lo capisco. Pensano che loro moriranno, che anche il mondo morira', ma che i loro figli non li lasceranno mai, nemmeno dopo la morte, e che staranno sempre a scherzare coi loro bambini, che hanno cresciuto per tanti anni, e che la morte e' un'estranea. Che sa la morte dei nostri sacrifici, dei baci che voi mi avete dati fino a grandi, delle veglie che ho fatto io sui vostri letti, sette figli, che prendono tutta una vita! E tu Gelindo, che eri sempre pronto alla risposta, ora non mi conosci piu' e non mi rispondi? E tu Ettore che nell'erba alta dicevi: "Non ci sono piu'". E tu Aldo, tu cosi' forte e piu' astuto della vita, tu ti sei fatto vincere dalla morte? Maledetta la pieta' e maledetto chi dal cielo mi ha chiuso le orecchie e velati gli occhi, perche' io non capissi, e restassi vivo , al vostro posto! Niente di voi sappiamo piu', negli ultimi momenti, ne' una frase, ne' uno sguardo, ne' un pensiero. Eravate tutti e sette insieme, anche davanti alla morte, e so che vi siete abbracciati, vi siete baciati, e Gelindo prima del fuoco ha urlato: "Voi ci uccidete, ma noi non moriremo mai!" ...
Alcide Cervi

20/04/09

Donne: Elida

Elida non ama il profumo dei fiori
anzi
ad esser precisi
Elida non ama gli odori lei
solo raccoglie monete da alberi strani
da ordinari signori
in quel buio assetato
nel segreto mercato
dei fanciulleschi giardini.

Elida sogna comunque
mentre muove veloce la mano
mentre ode i sospiri
mentre sfida gli umori
i furori 
ormai stanchi
dei suoi sconosciuti 
assassini.

Negli occhi allora le passa
una piccola casa
un letto più grande
un bagno con angolo doccia
salotto tivvù  la boccia
con i cioccolatini.

19/04/09

Dedicato. Polvere

Gli oggetti appicca appica si coprono di polvere sottile e se fai passari assai tempo quella prende tutto e ammuccia ogni cosa. Faccie grigie sopra alla carta delle fotografie e vecchi dischi sintuti una volta sola. Chiavi che non hai mai saputo cosa rapunu e minuzzagghie. Cose grandi e cose niche.
La polvere non sei tu che la chiami. Lei arriva e non ne fa distinzioni che per idda tutto è uguali. Certo ogni tanto ti può veniri la vogghia di pigghiari una pezza per pulizziari però quasi sempre finisci che rimandi e rimandi e non se ne fa chiù nenti che di sicuro poi te lo scordi.
La polvere a volte chiovi chiossai e sono tanti i motivi. Chenesò qualcuno qualcuna che per spazzare le sue cianfrusaglie ti inchi attia o il vento che spinge e colpisce lì dove non ci sù difisi.
Mi pari che anche nella testa funziona accussì solo che non cè nessuno che ci ciuscia sopra alle tue cose. Nessuno. Anzi no forse ogni tanto la morti.

17/04/09

Macerie

Ora di fronte a me casa hanno finito da poco di scannari una fabbrica e dappettutto ci sono macerie e blocchi e terra ammunziddata. A mia comunque non mi da fastidio quando mi affaccio che tanto è abbastanza lontano è lunica cosa sono la polvere e i rumori se cè vento che poi se ne ho voglia invece pozzu viriri tutte le ruspe e i camion giganteschi megghiu che se fossero alla televisioni. La signora Manara del piano di sotto dice che ci devono fare nuovi appartamenti e che per farli toglieranno gli alberi che ci sono rimasti nel mezzo tra noi e loro ma ancora con questa crisi tutto il lavoro va avanti alleggiu alleggiu e penso che passerà assai prima che la fanno questa scemenza. Comunque questo centra picca che io volevo dire unaltra cosa in effetti. E' che stamatina presto che quasi ancora cera scuru in mezzo a tutti sti macerie cera na cosa ca non ciava essiri. Nanimali che non mi aspettavo di vedere. Una cunigghiedda tutto grigia che sautava da una pietra allaltra come una capretta sperduta. E in mezzo a quel bianco del cemento ammia mi passi comu nanima in pena ca cerca conforto. Ca cerca aiuto. Durau picca sta visioni cheppoi quella è sparita ma iu ci continuo a pensari che qualcosa vorrà pure dire questo fatto. Eppero non ciarrivo.

14/04/09

"MA IO PER IL TERREMOTO NON DO NEMMENO UN EURO..." (di Giacomo Di Girolamo)

Scusate, ma io non darò neanche un centesimo di euro a favore di chi raccoglie fondi per le popolazioni terremotate in Abruzzo. So che la mia suona come una bestemmia. E che di solito si sbandiera il contrario, senza il pudore che la carità richiede. Ma io ho deciso. Non telefonerò a nessun numero che mi sottrarrà due euro dal mio conto telefonico, non manderò nessun sms al costo di un euro. Non partiranno bonifici, né versamenti alle poste. Non ho posti letto da offrire, case al mare da destinare a famigliole bisognose, né vecchi vestiti, peraltro ormai passati di moda.

Ho resistito agli appelli dei vip, ai minuti di silenzio dei calciatori, alle testimonianze dei politici, al pianto in diretta del premier. Non mi hanno impressionato i palinsesti travolti, le dirette no – stop, le scritte in sovrimpressione durante gli show della sera. Non do un euro. E credo che questo sia il più grande gesto di civiltà, che in questo momento, da italiano, io possa fare.

Non do un euro perché è la beneficienza che rovina questo Paese, lo stereotipo dell’italiano generoso, del popolo pasticcione che ne combina di cotte e di crude, e poi però sa farsi perdonare tutto con questi slanci nei momenti delle tragedie. Ecco, io sono stanco di questa Italia. Non voglio che si perdoni più nulla. La generosità, purtroppo, la beneficienza, fa da pretesto. Siamo ancora lì, fermi sull’orlo del pozzo di Alfredino, a vedere come va a finire, stringendoci l’uno con l’altro. Soffriamo (e offriamo) una compassione autentica. Ma non ci siamo mossi di un centimetro.

Eppure penso che le tragedie, tutte, possono essere prevenute. I pozzi coperti. Le responsabilità accertate. I danni riparati in poco tempo. Non do una lira, perché pago già le tasse. E sono tante. E in queste tasse ci sono già dentro i soldi per la ricostruzione, per gli aiuti, per la protezione civile. Che vengono sempre spesi per fare altro. E quindi ogni volta la Protezione Civile chiede soldi agli italiani. E io dico no. Si rivolgano invece ai tanti eccellenti evasori che attraversano l’economia del nostro Paese.
E nelle mie tasse c’è previsto anche il pagamento di tribunali che dovrebbero accertare chi specula sulla sicurezza degli edifici, e dovrebbero farlo prima che succedano le catastrofi. Con le mie tasse pago anche una classe politica, tutta, ad ogni livello, che non riesce a fare nulla, ma proprio nulla, che non sia passerella.

C’è andato pure il presidente della Regione Siciliana, Lombardo, a visitare i posti terremotati. In un viaggio pagato – come tutti gli altri – da noi contribuenti. Ma a fare cosa? Ce n’era proprio bisogno?
Avrei potuto anche uscirlo, un euro, forse due. Poi Berlusconi ha parlato di “new town” e io ho pensato a Milano 2 , al lago dei cigni, e al neologismo: “new town”. Dove l’ha preso? Dove l’ha letto? Da quanto tempo l’aveva in mente?

Il tempo del dolore non può essere scandito dal silenzio, ma tutto deve essere masticato, riprodotto, ad uso e consumo degli spettatori. Ecco come nasce “new town”. E’ un brand. Come la gomma del ponte.

Avrei potuto scucirlo qualche centesimo. Poi ho visto addirittura Schifani, nei posti del terremoto. Il Presidente del Senato dice che “in questo momento serve l’unità di tutta la politica”. Evviva. Ma io non sto con voi, perché io non sono come voi, io lavoro, non campo di politica, alle spalle della comunità. E poi mentre voi, voi tutti, avete responsabilità su quello che è successo, perché governate con diverse forme - da generazioni - gli italiani e il suolo che calpestano, io non ho colpa di nulla. Anzi, io sono per la giustizia. Voi siete per una solidarietà che copra le amnesie di una giustizia che non c’è.

Io non lo do, l’euro. Perché mi sono ricordato che mia madre, che ha servito lo Stato 40 anni, prende di pensione in un anno quasi quanto Schifani guadagna in un mese. E allora perché io devo uscire questo euro? Per compensare cosa? A proposito. Quando ci fu il Belice i miei lo sentirono eccome quel terremoto. E diedero un po’ dei loro risparmi alle popolazioni terremotate.

Poi ci fu l’Irpinia. E anche lì i miei fecero il bravo e simbolico versamento su conto corrente postale. Per la ricostruzione. E sappiamo tutti come è andata. Dopo l’Irpinia ci fu l’Umbria, e San Giuliano, e di fronte lo strazio della scuola caduta sui bambini non puoi restare indifferente.

Ma ora basta. A che servono gli aiuti se poi si continua a fare sempre come prima?
Hanno scoperto, dei bravi giornalisti (ecco come spendere bene un euro: comprando un giornale scritto da bravi giornalisti) che una delle scuole crollate a L’Aquila in realtà era un albergo, che un tratto di penna di un funzionario compiacente aveva trasformato in edificio scolastico, nonostante non ci fossero assolutamente i minimi requisiti di sicurezza per farlo.

Ecco, nella nostra città, Marsala, c’è una scuola, la più popolosa, l’Istituto Tecnico Commerciale, che da 30 anni sta in un edificio che è un albergo trasformato in scuola. Nessun criterio di sicurezza rispettato, un edificio di cartapesta, 600 alunni. La Provincia ha speso quasi 7 milioni di euro d’affitto fino ad ora, per quella scuola, dove – per dirne una – nella palestra lo scorso Ottobre è caduto con lo scirocco (lo scirocco!! Non il terremoto! Lo scirocco! C’è una scala Mercalli per lo scirocco? O ce la dobbiamo inventare?) il controsoffitto in amianto.

Ecco, in quei milioni di euro c’è, annegato, con gli altri, anche l’euro della mia vergogna per una classe politica che non sa decidere nulla, se non come arricchirsi senza ritegno e fare arricchire per tornaconto.
Stavo per digitarlo, l’sms della coscienza a posto, poi al Tg1 hanno sottolineato gli eccezionali ascolti del giorno prima durante la diretta sul terremoto. E siccome quel servizio pubblico lo pago io, con il canone, ho capito che già era qualcosa se non chiedevo il rimborso del canone per quella bestialità che avevano detto.

Io non do una lira per i paesi terremotati. E non ne voglio se qualcosa succede a me. Voglio solo uno Stato efficiente, dove non comandino i furbi. E siccome so già che così non sarà, penso anche che il terremoto è il gratta e vinci di chi fa politica. Ora tutti hanno l’alibi per non parlare d’altro, ora nessuno potrà criticare il governo o la maggioranza (tutta, anche quella che sta all’opposizione) perché c’è il terremoto. Come l’11 Settembre, il terremoto e l’Abruzzo saranno il paravento per giustificare tutto.

Ci sono migliaia di sprechi di risorse in questo paese, ogni giorno. Se solo volesse davvero, lo Stato saprebbe come risparmiare per aiutare gli sfollati: congelando gli stipendi dei politici per un anno, o quelli dei super manager, accorpando le prossime elezioni europee al referendum. Sono le prime cose che mi vengono in mente. E ogni nuova cosa che penso mi monta sempre più rabbia.

Io non do una lira. E do il più grande aiuto possibile. La mia rabbia, il mio sdegno. Perché rivendico in questi giorni difficili il mio diritto di italiano di avere una casa sicura. E mi nasce un rabbia dentro che diventa pianto, quando sento dire “in Giappone non sarebbe successo”, come se i giapponesi hanno scoperto una cosa nuova, come se il know – how del Sol Levante fosse solo un’ esclusiva loro. Ogni studente di ingegneria fresco di laurea sa come si fanno le costruzioni. Glielo fanno dimenticare all’atto pratico.

E io piango di rabbia perché a morire sono sempre i poveracci, e nel frastuono della televisione non c’è neanche un poeta grande come Pasolini a dirci come stanno le cose, a raccogliere il dolore degli ultimi. Li hanno uccisi tutti, i poeti, in questo paese, o li hanno fatti morire di noia.
Ma io, qui, oggi, mi sento italiano, povero tra i poveri, e rivendico il diritto di dire quello che penso.
Come la natura quando muove la terra, d’altronde.


12/04/09

[Didascalie] Tiziano Vecellio


 Tiziano Vecellio, Madonna con santi e membri della famiglia Pesaro (1519-26).
Venezia, Santa Maria Gloriosa dei Frari




Non un universo sconosciuto ma un mondo altro rispetto a quello degli adulti è quello che ci osserva  da questa pala del Tiziano. Lo sguardo quasi distratto del giovane Leonardo, il nipote del devoto Francesco Pesaro - qui raffigurato con i figli -, segue in realtà i nostri passi, spia i nostri movimenti.
Il suo essere rivolto verso il “pubblico” acquista allora un nuovo significato; Leonardo, il mondo che egli rappresenta, è lì a dichiarare con forza la propria presenza, a reclamare la propria luce.

10/04/09

Lasse Gjertsen


OK, this video is very ego, sorry about that! My dad suggested to upload it, and I though, what the hell.. The language is norwegian, but I did my best to subtitle it in english. If you hear the word "tits-machine", don't worry, it means "time machine" in norwegian, lol!

This video was my interpretation of the admission assignment for an animation school in Norway, which was to make a "self portrait in any technique". I was studying in England at the time (Spring 2005), but wasn't satisfied with that school, and wanted to try another place.
I got in!

How it's made:
Filmed myself infront of a green screen, made it to a walking cycle which could be looped forever. The rest are pictures from England and Norway and books, and are just mashed together in Premiere. The music is me, played guitar and harmonica myself (two instruments I actually can't master) but it sounds ok enough. Music edited together in FL Studio.

08/04/09

Il bottone, gli operai, la voce del padrone



Antonio Schiavone 36 anni
Roberto Scola 23 anni
Angelo Laurino 43 anni
Bruno Santino 26 anni
Rocco Marzo 54 anni
Rosario Rodinò 26 anni
Giuseppe Demasi 26 anni


(ASCA) - Torino, 7 apr - L'incidente alla Thyssenkrupp fu provocato dal mancato azionamento del pulsante di emergenza: l'aspo sul carrello fu collocato erroneamente , la lamiera avrebbe sbandato verso il lato dell'operatore con un fenomeno vistosissimo di attrito, con scintille, fumi e surriscaldamento sia della lamiera che della carpenteria. Il surriscaldamento e non le scintille avrebbero provocato l'incendio della carta accumulatasi lungo la linea, anche per il mancato azionamento del segnalatore automatico. Gli operai sarebbero intervenuti circa dieci minuti dopo l'avvio non in linea del nastro, ma se fosse stato premuto il pulsante di arresto d'emergenza, a soli venti centimetri di distanza sulla plafoniera,e utilizzato per ben quattro volte il giorno prima della tragedia, si sarebbe bloccato il flusso dell'olio e si sarebbe evitato il disastro. E' quanto hanno sostenuto oggi i periti della difesa, al processo contro i sei dirigenti dell'acciaieria tedesca, per la morte dei sette operai avvenuta in seguito all'incendio del 6 dicembre 2007. Secondo i periti inoltre gli estintori erano efficienti e in grado di spegnere un inizio di incendio sulla carta come hanno cercato di dimostrare con un esperimento, il cui video e' stato proiettato in aula. La ricostruzione, che ha sostenuto anche la sostanziale idoneita' della linea cinque, dove e' avvenuto il disastro, contrasta con quella fornita nelle scorse udienze dai periti di parte civile e della procura che oggi hanno sottolineato con l'impianto non dovesse mai essere in funzione e che il pulsante di emergenza avrebbe dovuto essere premuto continuamente. L'udienza si e' conclusa dopo circa sei ore ed e' stata aggiornata al 21 aprile.

07/04/09

Encelado


La Fontana di Encelado (Bosquet de l'Encélade), nel giardino di Versailles


È fama, che dal fulmine percosso
e non estinto, sotto a questa mole
giace il corpo d'Encèlado superbo;
e che quando per duolo e per lassezza
ei si travolve, o sospirando anela,
si scuote il monte e la Trinacria tutta;
e del ferito petto il foco uscendo
per le caverne mormorando esala,
e tutte intorno le campagne e 'l cielo
di tuoni empie e di pomici e di fumo.

Eneide

Sono figlio di un ex operaio Ilva

«Sono figlio di un ex operaio Ilva, non un operaio a caso, mio padre. L'ultimo del mondo. Sono figlio dell'ultimo del mondo. Io sono un traditore. Sono un reietto. Come Bruto ho ucciso mio padre. L'ho ucciso con il silenzio. Caino me. Mio padre aveva tre figli, io l'unico maschio, ultimo a nascere». Questa la lettera letta da Pierfrancesco Favino (il Giuseppe di Vittorio della fiction recentemente trasmessa dalla rai, sulla storia del padre della Cgil) dal palco del Circo Massimo, in occasione della manifestazione della Cgil, di Roberto Romano, figlio di un operaio morto sul lavoro, scritta il 13 dicembre 2008 per l'anniversario della tragedia alla ThyssenKrupp. «Secondo Riva a me spettava un posto di diritto in fabbrica. Per me il destino era scritto», mio padre «da buon operaio, padre di famiglia, voleva per il suo unico figlio maschio il riscatto sociale, voleva una carriera all'avanguardia. Mi diceva: studia, impegnati, costruisci il tuo futuro perchè nessuno qua ti da niente. Perchè il futuro si costruisce sporcandosi le mani. Mi diceva di non arrendermi perchè all'Ilva non c'era neanche il padre eterno a difenderti». «Sì, mio padre era cattolico, praticante - si legge ancora nella lettera - Io prima ci credevo. A ventitre anni con una moglie e un diploma di perito industriale il suo futuro era segnato. Come era segnata la nascita, un anno dopo, della sua prima figlia. Lavorare all'Ilva era l'unica soluzione. Operaio. In fondo alla società per diritti e protezione ci sono gli operai. Lui aveva molti doveri ma pochi diritti. Aveva il dovere di proteggere la sua famiglia, sfamandola, educandola, aveva il dovere di non scioperare perchè lo sciopero significava portare a casa meno soldi perchè, dopo quasi tre anni mio padre volle assieme a mia madre concepire un figlio, la fortuna ne diede due: mia sorella e me. Perchè avere due gemelli significava doppio lavoro, significava visite pediatriche doppie, ogni volta che ci si ammalava ci si ammalava in due, ogni volta significava andare in farmacia e lasciare una settimana di lavoro. Ma in famiglia non si era in due ma in cinque».

03/04/09

"Se non ora, quando? Domani tutti al Circo Massimo"



Lo chef consiglia di Andrea Camilleri e Saverio Lodato

Camilleri, domani, in centinaia di migliaia andranno al Circo Massimo, su invito di Guglielmo Epifani e della Cgil. Saranno un milione o di più? Lo capiranno solo i fortunati presenti. I Tg faranno riprese raso terra, non superando il ginocchio dei manifestanti. Vedute aeree e dirette tv, per questo governo, sono un lusso. La Questura, con il bilancino d’ordinanza, ridurrà le cifre di tre quarti. Seguiranno Sacconi, Brunetta, Quagliarello: ecco i «fannulloni». Consiglio agli italiani? Andate al Circo Massimo a 4 a 4, se volete che almeno uno di voi sia registrato dal pallottoliere di Palazzo Chigi.

Non ho alcun dubbio che questa volta questure e Tg opereranno non la solita diminuzione del numero dei partecipanti, ma passeranno direttamente alla decimazione. Bisognerà dimostrare, a tutti i costi, che solo pochi pazzi possono dichiararsi scontenti di tutto quello che il governo Berlusconi sta facendo contro la crisi. Tremonti, infastidito, replica dicendo: «Abbiamo già dato». Ma chi ricorda più le elemosine prenatalizie e di pochi spiccioli? E mentre i soldi per le banche si trovano, non si trovano per i disoccupati che crescono esponenzialmente, per gli ammortizzatori sociali, per intervenire sulle famiglie in povertà. Il nostro paese rischia una catastrofe, e lorsignori fan finta di niente e insultano chi non accetta il loro demenziale ottimismo. Per il comico Brunetta i manifestanti, naturalmente, non saranno che mascalzoni venuti a Roma per una gitarella. E Sacconi è troppo occupato a pensare a come farli morire cattolicamente, piuttosto che a come farli sopravvivere. Ci sono i benpensanti che dicono che una manifestazione così ora non è opportuna. E se non ora, quando? Mi associo con tutto il cuore al suo invito, caro Lodato: domani tutti al circo Massimo.

01/04/09

Siliquastro

Chiovi. Ci sarebbero tante cose da fare. Stenniri la biancheria. Taliari le piantine appena misi nel vaso. Fumare in santa pace una sigaretta sporgendosi tannicchia chiossai fino ad arrivare a viriri la strada. Chiovi però. Quì. In questa città. E i primi alberi che avevo visto fioriti hanno già perso ogni cosa. Peccato! Che cè un viale che ci passo spesso che allimprovviso di notti a ghionnu senza nessun segnali ava addivintatu tutto rosa. Un rosa gentile. Delicato. Alberi strani però. Rami senza fogghi e lo stesso tanti ciuri. Legno niuru e ciatu di baci.
Io impaccideru mi sono informato e mi hanno detto che quelli si chiamano alberi di Giuda. Che la tradizione dice che lapostolo si è impiccato a un loro ramo. Ora fermo restando che io sapevo che il disgraziato aveva usato un carrubbu che a me sempre accussì me lhanno cuntato mi è venuto normale pensare a cumu mai Giuda avissa scelto proprio quelle piante.
Io nella mia testa una risposta me la sono data che mi sono detto che forse u Signuruzzu alla fine ci vosi dare un conforto inaspettato a quellanima. Per quel suo tradire. Per quel suo dondolare.
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