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30/09/08

RACCOLTA INDIFFERENZIATA di Chiara Sambo

Da qualche giorno abbiamo un problema, un problema grosso, di quelli che non si vorrebbe mai affrontare ma è impossibile ignorare. Perché è qui, sotto i nostri occhi, e ingombra parecchio. Anche fisicamente. Un bell'ingombro, quel cumulo di calcinacci in mezzo al pavimento della stanza dove mangiamo dormiamo viviamo tutti quanti, e intorno non ha ancora finito di depositarsi polvere, anzi ne piove giù ogni tanto qualche nuovo sbuffo dalla falla slabbrata che si è aperta nel soffitto.
Per spostarci da un punto all'altro dobbiamo girarci attorno o scalarlo e ridiscenderlo, e questo ci ha fatti tutti grigiastri e polverosi come fantasmi. Fantasmi stanchi e senza voglia. Nessuno di noi fantasmi ha voglia di dare una ripulita, di cominciare a spalare. Stiamo lì a guardarlo con malessere, con odio. Eppure si sapeva che l'assito aveva i suoi anni, e che per tutti i suoi anni siamo saliti – ognuno almeno una volta al giorno – in quella soffitta asfissiata a scaricarci i nostri pesi. A svuotare le tasche.
Dai e dai, i pesi pesano, e i passi passano e pesano anche quelli.
Il pavimento cigolava da un po', ma noi niente, testa sotto come struzzi, e avanti a trasportare di sopra pezzi dei nostri meccanismi usurati, ruggine e cocci, rifiuti e scarti irrecuperati, carta ferraglia stracci spaghi sfilacciati e cenere, tanto che la porta a un certo punto si è incastrata con uno stridio definitivo e abbiamo cominciato a lasciar giù rottami anche sulla soglia, poi sul ballatoio e negli ultimi tempi perfino sui gradini più alti.
Per forza una settimana fa – o più o meno o comunque non ci ricordiamo bene quando – per forza è venuto giù tutto, il soffitto. Era marcio, fradicio, divorato. Non teneva più. Si è sfondato come un sacco di carta bagnata, con un tonfo che aveva un rumore flaccido e una lunga eco metallica.
Così adesso le macerie che avevamo nascosto di sopra in anni di pellegrinaggi quotidiani sono tornate giù tra noi tutte in una volta, piombandoci in mezzo alla vita in una nuvola cieca di polvere e carbone, e se non ci diamo – se qualcuno non si decide a darsi – una mossa, le avremo davanti agli occhi, 'ste macerie, per chissà quanto tempo o per sempre.
E soprattutto vorrei sapere dove metteremo le prossime che già ci stanno sfondando le tasche, e quelle che premono, nuove ogni giorno, dietro la porta.


29/09/08

L'ordine

Camillo scrive (ed io volentieri evidenzio) :

è un po' vecchio e lo conoscerai già, ma ripetiamolo qui, come un mantra:

"[...] Può tuttavia accadere che un gusto eccessivo per i beni materiali porti gli uomini a mettersi nelle mani del primo padrone che si presenti loro. In effetti, nella vita di ogni popolo democratico, vi è un passaggio assai pericoloso. Quando il gusto per il benessere materiale si sviluppa più rapidamente della civiltà e dell'abitudine alla libertà, arriva un momento in cui gli uomini si lasciano trascinare e quasi perdono la testa alla vista dei beni che stanno per conquistare.
Preoccupati solo di fare fortuna, non riescono a cogliere lo stretto legame che unisce il benessere di ciascuno alla prosperità di tutti. In casi del genere, non sarà neanche necessario strappare loro i diritti di cui godono: saranno loro stessi a privarsene volentieri... Se un individuo abile e ambizioso riesce a impadronisrsi del potere in un simile momento critico, troverà la strada aperta a qualsivoglia sopruso. Basterà che si preoccupi per un po' di curare gli interessi materiali e nessuno lo chiamerà a rispondere del resto. Che garantisca l'ordine anzitutto! Una nazione che chieda al suo governo il solo mantenimento dell'ordine è già schiava in fondo al cuore, schiava del suo benessere e da un momento all'altro può presentarsi l'uomo destinato ad asservirla. Quando la gran massa dei cittadini vuole occuparsi solo dei propri affari privati i più piccoli partiti possono impadronirsi del potere.
Non è raro allora vedere sulla vasta scena del mondo delle moltitudini rappresentate da pochi uomini che parlano in nome di una folla assente o disattenta, che agiscono in mezzo all'universale immobilità disponendo a capriccio di ogni cosa: cambiando leggi e tiranneggiando a loro piacimento sui costumi; tanto che non si può fare a meno di rimanere stupefatti nel vedere in che mani indegne e deboli possa cadere un grande popolo".

(Alexis De Tocqueville, De la démocratie en Amerique, 1840, citato in Umberto Eco, Considerazioni attuali, L'espresso, n. 20, anno LIV, 22 maggio 2008, p. 222)

28/09/08

La necessità del pensare

Tuttavia anche il non pensare, che sembra essere una situazione tanto raccomandabile in campo politico e morale, comporta i suoi rischi. Corazzando la gente contro i rischi dell'analisi, li abitua ad accettare immediatamente qualunque regola di condotta vigente in un dato tempo e in una data società. Ciò a cui la gente è abituata, allora, non è tanto il contenuto delle leggi, la cui analisi approfondita desterebbe delle perplessità, quanto il possesso di regole sotto cui sussumere particolari. In altre parole, essi sono abituati a non prendere mai decisioni. Chiunque, per qualsivoglia ragione o scopo, volesse abolire vecchi "valori" o virtù, non incontrerà difficoltà solo che gli si offrisse un nuovo codice, e non avrebbe bisogno né di forza né di persuasione - di nessuna prova sulla superiorità dei nuovi valori rispetto ai vecchi - per rafforzarlo. Quanto più gli uomini rispettavano il vecchio codice, tanto più appassionatamente si abitueranno al nuovo; la facilità con cui tali rovesciamenti avvengono in date circostanze suggerisce in realtà che tutti dormano quando avvengono.

Lu Santu Currau - 6 -

Tutta l'immagine viveva lungo un asse obliquo fatto di linee rette trafugate al mondo reale. Sullo sfondo la porta, ricamata a rettangoli, confessava di dimenticanze o furti, lì, proprio all'altezza della maniglia.
In primo piano Antonino pareva amabilmente confabulare con un invisibile interlocutore, ma le sue rughe, le spalle, lo stesso braccio destro, non ammorbidivano la rigorosa geometria di quell'attimo. Buffo, pensò Malebranco, che proprio lui, l'etnologo e poeta Uccello, posasse su quella sedia di plastica e metallo.
In alto, sulla parte sinistra della foto, appesa non si sa dove una marionetta vestita di stracci, se tali potevano essere definiti quegli indumenti, rievocava il mondo contadino tanto caro all'artista.
Maldido aveva fatto ingrandire l'originale fin quasi a sfocarne le tracce, poi aveva ritagliato la marionetta ripassandone i margini e fissandoli su di un foglio di carta velina; ne aveva anche calcolato l'altezza approssimativa, quarantacinque centimetri, basandosi sulle proporzioni degli oggetti e del soggetto raffigurato. Solo a quel punto era iniziata una ricerca febbrile tra appunti e vecchi testi, quasi tutti già in suo possesso, che lo aveva condotto ad essere certo della primitiva ipotesi.

Lu Santu Currau - 5 -

Percorrendo la strada, centocinquantadue metri con un piccolo avvallamento ad iniziare dal novantatreesimo metro e sino al centoventunesimo, che separava il locale dalla sua abitazione, una costruzione singola, cinque vani con giardinetto esterno, sita al civico 4 di Via Luna, Malebranco non poté fare a meno di sorridere. In questi casi egli, generalmente, era il solo ad accorgersene, giacché nessuna increspatura ammorbidiva la sottile striscia delle labbra.
"Sì, era proprio lui" confessò a se stesso.
Il detectus si fermò un attimo portando la mano destra alla tasca per estrarne un piccolo foglio, all'incirca dieci centimetri per quindici, e riguardarlo alla luce del lampione che illuminava l'ingresso della villa del Dottor Caremolli, un vecchio magistrato che abitava proprio a metà strada di quel quotidiano percorso. Quella carta celava un ingrandimento della foto che Maldido aveva portato con se da Brentano.
"Sì, è proprio lui" ripeté alla notte riprendendo, poi, a camminare.

27/09/08

Corteo


Accussì accumenciu a camminari
stancu, senza chiù sogni a dari,
quannu all'improvviso viru na fantasia:
sutta na bannera svintulia,
in menzu a tanti autri, na picciridda
pari russu ciato, poesia,
sta niciula cusidda.
Persa felice ne so cosi,
na stu ventu, ioca ignara 
d'ogni inutili turmentu.
Continuo allora chiù leggero ad avanzari.
"Quannu a vecchia spiranza sicca
un ciuri novu arriva"
chista, mi ricu, è la liggi do campari.

Fonte immagine: Pandora &  Zeuz

26/09/08

24/09/08

The Animals


Qui, alla finestra, ascolto gli Animals
e ricordo.
Il sole, fra i rami, a tratti è lo stesso,
manca solo la peccaminosa gioia
delle prime sigarette
a riverberarne la luce,
l'eco delle sciocchezze degli amici,
il misterioso merletto
dei tuoi capelli.

Lu Santu Currau - 4 -

Il Soleras, era forse l'unico vero amore del Dottor Dionigi Treschin.
Invecchiato per venti lunghi anni nelle botti di una tenuta che quest'ultimo, non senza una buona dose di violenta furbizia, era riuscito ad acquistare, esso era il simbolo, sosteneva il farmacista, del mondo intero.
"E' la morte che genera vita- ripeteva spesso- E' l'affinarsi dei sensi con l'età, il crescere di generazione in generazione. Non vede? Pensi al valore simbolico di ogni botte. Una generazione che riversa le proprie conoscenze, le proprie forze, non già in chi verrà dopo di lei, ma verso chi la precede, un mondo in cui è la saggezza dell'anziano a dominare, il suo sacrificio a soddisfare gli dei".
E il suo Soleras, in verità, era davvero speciale. Gli aromi di caramello e di fico secco, d’albicocche e di nocciola, seguiti o inseguiti da quelli di mandorla e dattero, di scorza d'agrume e di cuoio riuscivano a stordire anche il palato meno attento, il bevitore più frettoloso.
Anche Maldido ne era stato affascinato, e, per lungo tempo, aveva cercato di carpirne il segreto, poi, per non dichiarare la propria sconfitta, aveva fatto sua l'ipotesi dell'amico.
"E' proprio vero - aveva pensato- è il gusto della morte", e con questo era riuscito ad archiviare la pratica.

23/09/08

Lu Santu Currau - 3 -

Seduto al suo tavolo Maldido attendeva l'arrivo della prima portata.
Aveva con se la copia di un ritratto fotografico di Ferdinando Scianna e ora osservava quella immagine, l’etnologo e poeta Antonino Uccello, strizzando, a tratti, un po' gli occhi come in una inconsapevole profferta d'amore.
Malebranco non ordinava mai in quel luogo, né si dilungava in vaghi discorsi, voleva solo star tranquillo, e Brentano, da subito, aveva colto i gusti di quel silenzioso avventore; così, da vecchio oste avvezzo a coccolare la buona clientela, si limitava, quando proprio appariva indispensabile, a segnalare al suo ospite le eventuali mancanze nella dispensa.
Quel giorno aveva preparato dei tagliolini ai carciofi, champignon e vongole ed uno zuccotto di carciofi e carote. Come sempre aveva portato a tavola anche una buona bottiglia di vino, un San Severo bianco, ma, anche quello come sempre, neanche un goccio di quel nettare fu versato nel bicchiere di Maldido, semplicemente tutto venne pagato, e, il cibo, consumato.

"Buonasera Malebranco"
"Salve dottore"
Appena sbirciata la foto Treschin si sedette, senza nessun formale invito, accanto a Maldido, ed iniziò a fissarlo.
"E allora?" infine disse.
"Allora cosa?"
Maldido non sembrava gradire molto i modi del farmacista eppure nulla sembrava poterlo distogliere da quella foto, anche le poche parole che Dionigi era riuscito ad estorcergli, erano state pronunciate a capo basso, sulla tavola deserta e con quella immagine tra le mani.
"Non credete valga la pena acquistarlo?"
"Potrebbe"
"Ma se..."
"Oh! Mio buon dottore... ma credete davvero sia possibile che io"
"Insomma! Ditemi almeno qualcosa"
"Poi, vi dirò, poi. Lasciatemi adesso"
Le ultime parole di Malebranco, il loro tono, fecero desistere Dionigi da ogni ulteriore insistenza; si alzò dunque, congedandosi dall'amico per dirigersi verso il bancone. Ad attenderlo c'era un Soleras, anzi il suo Soleras.
"Ti ha detto niente?"
"Nulla"
Brentano guardava ora lui ora Maldido e, nel frattempo, picchettava a tempo sul vecchio legno.

22/09/08

Lu Santu Currau - 2 -

"Buongiorno Dottor Malebranco, ha scoperto qualcosa oggi?"
Brentano, con ampio gesto, lo invitò ad accomodarsi al tavolo che da sempre gli era riservato. Maldido ebbe, non visto, una lieve perplessità. Il fatto è che egli non si aspettava certo quella domanda, quanto, più opportunamente, un:
"Buongiorno Dottor Malebranco, il lavoro è stato proficuo oggi?"
o, al limite,
"Buongiorno Dottor Malebranco, spero abbia ben lavorato, oggi".
Invece quell’episodio, così poco importante agli occhi altrui, lo mise di malumore. O forse non fu la domanda bensì l'essere stato costretto a pensare per un istante a quell’angustioso problema della sua vita: denominare il proprio mestiere. Perché, di mestiere, Maldido Malebranco era un "detectus". Era stato lui stesso ad inserire la parola sul proprio curriculum vitae in un momento di grazia creativa, ed a farla, poi, propria nei rari momenti in cui era costretto a rivelare l'attività che gli permetteva di vivere. Certo ogni volta la sua risposta era seguita da una seconda immancabile domanda:
"Mi scusi se mi permetto, ma cos'è, cosa fa, un detectus?" ed era a quel punto che Maldido esitava. Come spiegare il suo sezionare immagini, il quotidiano reticolare la vita, immaginaria e reale, altrui?
Per togliersi d'impiccio egli aveva imparato a confessare che, semplicemente, il suo compito era quello di cercare errori storici nei film, eppure questa era solo una parte, forse quella più remunerativa, di ciò che era a lui chiesto.
Già! Perché Maldido Malebranco era noto ad un gruppo ristretto di artisti per la sua capacità di riuscire ad inserire piccoli ma, al loro gusto, essenziali particolari all'interno di ben più dense scene, mentre dei suoi servigi usufruivano anche alcuni investigatori, in quei rari momenti in cui confessavano a se stessi di non aver capito nulla di ciò che i loro occhi vedevano, per non parlare, poi, delle case di produzione che, a torto, credevano di poter piegare la concorrenza disvelando al grande pubblico le "perle" dell'altrui creare. Si guadagnava bene con queste sciocchezze e Malebranco non disdegnava certo il denaro.
Eppure ciò che Maldido amava più d'ogni cosa era il non ricompensato stupore che lo coglieva ad ogni scoperta. Molte di quest'ultime rimanevano sue per sempre: perché non gli sarebbero state rimborsate, o perché troppo simili a quei sogni che difficilmente si riesce a raccontare, oppure solo perché nate in curiose e casuali circostanze.
"Ecco!" ripeteva, allora, più volte, a se stesso; per poi, subito dopo, distogliere lo sguardo da ciò che, fino a qualche attimo prima, lo aveva così tanto interessato. Lo prendeva, in quelle occasioni, una strana e stanca malinconia, e urgente si faceva il bisogno di non vedere, di non sentire, più nulla. A questa necessità era dovuto lo stretto rapporto che pareva unirlo a Dionigi Treschin, il farmacista.

20/09/08

Saldi


E ora che ci manca do micciu sino alla lumera finalmente lho vista la mia città alle televisioni. Cera il liotru con il cartello vendesi. Le strade o scuru. La munnizza che bruciava. Mancavano i due artisti di questa comparsata. Il milanese cuntafrottuli e sciampagnino u duttureddu pleiboi. Ma di sicuro ciavevano cose importanti da fare che io non li posso sapere oppure capiri.
Di questo silenzio al tempo che si parlava di Napoli io cè lo chiedevo al Cavaliere ma lui annaculiava la testa allargava le braccia e non mi arispunneva.
Parra pocu ormai Arcidiacono. Da quanto sè deciso a mittirisi da parte che allinizio mi ha detto che era solo per un po' ci nesci pocu da ucca. Addirittura lultima vota non vinni nemmeno a dirimi per chi votare e quasi quasi mi mancau il suo suggerimento che io anche solo per cortesia ogni vota ero cuntento di sentirlo e poi cera che qualcuno si interessava veramente di mia.
Ora al comune il sindaco è fascista che lha detto lui stesso che ci piace essere chiamato così. E certo a noi veramente ci sivveva un nuovo podestà che le strade sono come al tempo della guerra quando stava per finire e la genti come allora non lo sa più cosa sono gli stipendi puntuali a fine mese. Manca solo lo sbarco delle truppe e il ritorno a seguito dei mafiosi anche se per questultima cosa già a muta a muta ci hanno pensato.
Io non lo so se ci saranno unaltra vota lamericani oppure qualche arabo arriccutu come a quello che cianno avuto in ferie a Palermo ma di certo cu fussi fussi ciavissa mettiri solo denari e tanti che di pigghiari cà non cè chiù nenti.

Controllori e Controllati

Come già ufficializzato da qualche giorno, il Comitato per le Libertà Civili (LIBE) del Parlamento europeo ha deciso di inviare una delegazione a Roma, dal 18 al 20 settembre, per verificare la condizione dei Rom in Italia. Oggi è stato reso noto il programma delle tre giornate e la lista degli incaricati dell'ispezione. I nomi degli eurodeputati che faranno parte della delegazione ha destato incredulità da parte degli attivisti per i Diritti Umani. "Questa delegazione è una presa in giro e non rappresenta di certo l'Unione europea," commentano i leader del Gruppo EveryOne Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, "perché è composta per la maggior parte da eurodeputati italiani. Su 20 membri che visiteranno i campi Rom e incontreranno il ministro dell'Interno, membri del parlamento italiano e leader di Ong, fra le quali noi del Gruppo EveryOne, ben 13 sono italiani. Ma non è tutto, perché fanno parte della delegazione che ha il compito di giudicare il grado di razzismo nei confronti dei Rom politici di estrema destra, come il capo di Forza Nuova Roberto Fiore e Luca Romagnoli, l'uomo che ha chiesto a gran voce l'esame del DNA per i bambini Rom e che ha formulato la proposta di deportare tutti i 'nomadi' - ladri e rapinatori, secondo lui - fuori dall'Italia". Il Gruppo EveryOne ha inviato un messaggio di protesta nei confronti del Comitato per le Libertà Civili del Parlamento europeo. "E' una protesta formale che inviamo alle Istituzioni europee, manifestando la più grande preoccupazione verso una scelta che non può essere condivisa da nessun uomo che si batte per i diritti delle minoranze. Oltre a Fiore e Romagnoli, il Parlamento europeo affida l'indagine sull'antiziganismo in Italia a Mario Borghezio, nemico giurato del popolo Rom e propugnatore del testo razzista intitolato "Preghiera dello Zingaro". Quindi, Roberta Angelilli di Alleanza Nazionale, paladina di una crociata contro i genitori Rom, 'sfruttatori di bambini', a suo dire. Si prosegue con Elisabetta Gardini, la cui avversione per i Rom è tanto forte da averla indotta a una posizione di critica violenta contro Famiglia Cristiana, definita 'cattocomunista' dopo i suoi editoriali che invitavano gli italiani a riscoprire la tolleranza. E ancora, con Stefano Zappalà, convinto sostenitore del rilievo delle impronte digitali dei bambini Rom. La delegazione che visiterà il 'Casilino 900' e il campo 'Salone' di Roma non sarà certo obiettiva, ma, al contrario, rappresenta pienamente la destra italiana della 'tolleranza zero' e non basta la presenza di uomini che si battono per i Diritti Umani, come Viktoria Mohacsi o Claudio Fava, per ritenerla un organo rappresentativo dell'Unione europea. Ecco perché esprimiamo delusione e indignazione nei confronti della Commissione Libertà Civili del Parlamento europeo, oltre al sospetto che siano stati stipulati accordi politici svendendo la pelle dei Rom, che da secoli sono vittime di perversi giochi di potere".


Fonti: Antifascismo militante; Gruppo EveryOne ; Articolo 21

19/09/08

Lu Santu Currau - 1 -

Il Signor Maldido Malebranco, anni cinquantadue e mesi cinque su di un fisico asciutto e ben tenuto, poggiò il tomo sul tavolo, un vecchio libro di psicologia pescato sulla bancarella antistante il civico 124 del Viale dei Corsi, non prima, però, di aver segnato con la matita, era quella trovata sul tavolo dell'architetto Cercaponzi e mai più restituita, il numero della pagina, settecentottantadue, a cui era, faticosamente ma con letizia, arrivato. Poi, dopo aver stirato con lentezza e gusto le corte gambe, chiuse gli occhi, marroni ma cangianti sino al verde in alcune fortunate occasioni, e subito si addormentò.
Quasi subito sognò, anche, ma dell'una e dell'altra occorrenza non serbò ricordo alcuno poiché, quando riaprì gli occhi, nulla, attorno a lui, era cambiato ed anche il vecchio orologio da parete, quel piatto bianco e verde regalo di un ristoratore piemontese con il disegno della mole e le lancette rosse, segnava uno stacco di un solo minuto dalla scena precedente.
Incurante, dunque, di quello che era successo, si alzò per indossare il cappotto, era ancora con la vestaglia da camera beige regalo della sua anziana genitrice, ed uscire. Le sette. Il suo amico cuoco, in realtà il padrone della locanda "Al buon gatto", tal Brentano Geronde, stava di certo già aspettandolo.

18/09/08

La famiglia Ardenti


Io non lo capisco come si può essere accussì fottunati. La signora Nunzia me laveva detto che Rocco era uno di quelli che pigghiavano sempre. Macari un tintu ambo almeno una volta a settimana ci nisceva. Cetto però non lo potevo immaginare che sopra a cinquemila persone che facevano la domanda per becchino pigghiavano proprio a lui nella lotteria.
Allepoca me lo cuntò lui stesso che già si vedeva che si sentiva un signore mentre ci metteva la targhetta nuova sopra i citofoni scassati.
"Totò che ti devo dire ci voleva come il pane questo posto. Aveva una vita che furriavo con la lapa per pigghiare i cartuni. Non cia facevo chiù. Eppoi ora mi nasci un altro figghio. Tu lo sai comè"
Ma chissaccio no saccio comè tutta sta storia. So solo che cerano cinquemila cristiani con cinquemila numeri e ognuno ciaveva cinquemila motivi buoni per vincere. Ci voli culu macari per vurricare i morti. Chistu sacciu. E comunque oggi mi sento la bocca tutta lappusa. Ieri per festeggiare lanniversario della vincita e la nascita di Iano la moglie diRocco mi invitò a cena. Cera talmente robba che si mise anche suo marito a cucinare e quando mi susii dalla tavola mi sentivo chinu come un liafante.
Broccoli affugati. Caponatina. Sarde a baccafico. Pomodori secchi. Ricotta infornata. Spaghetti con la salsa e le melenzane. Pasta al forno. Capretto. Carne di cavallo e un melone rosso gigantesco che pareva un gelato.
Soprattutto cera un cafolo di vino. Pungente sopra alla lingua e forte nella panza proprio come piace a me. Ce laveva dato un suo parente di Pedara che ciaveva ancora la vasca per pistare la racina. Quella nera e niciula che a mangiarla ci stai una vita ma a sucare quello che esce dalla botte ti inchi i cianchi.
Io ci fici tanti brindisi in suo onore. Lo vedevo va che dopotutto la sua era una famigghia che ancora aveva veramente bisogno.
I figghi camminavano quasi a nura casacasa e i mobili di sicuro Rocco laveva scelti nei cassonetti dei quartieri della genti fina quando ancora faceva il vecchio lavoro.
Cirino era il più grande. Faceva il giovine nella carrozzeria dello Zio Santo. Nunzio e Orazio ancora invece erano troppo piccoli ma di scola per tutti non cinnera mancu a parrarini. Ogni tanto prima cerano andati con il padre a cogghiri munnizza ma facevano danno e se capitava che li fermava la polizia Rocco doveva inventare sempre qualche scusa. Ora se capitava si futtevano i ciuri che i parenti lassavano allobitorio per poi rivenderli a prezzo speciale.
Una volta era venuto uno del comune a chiederci notizie a sua moglie. E lei niscennu la minna per allattare u chiù nicu ciaveva risposto la stessa cosa che ieri mi disse a me:
"Ma se i picciriddi non ne mangiano scola chi ci putemu fari?"

17/09/08

16/09/08

Gabriele Armuzza



Per ogni Natale a Armuzza ciacchiappava la fantasia e precisopreciso per limmacolata mi chiamava per farisi aiutare.
Ora non è che io ciò quaccosa contro il presepio però chiccivoli a farlo? Basta ca uno nesci sinnivà in qualche piazza e con tannicchia di euri si pigghia la Madonna San Giuseppe Il Bambino e macari i pastori di prastica e poi se vuole la grotta e il cielo stellato.
Invece no. Lui savaffari quello più bello del quartiere e ogni anno per questo saccattava una statua come ci sono solo nelle chiese.
Già ciaveva la Sacra Famigghia e i Re Magi e ora aveva accuminciato con lanimali. Per tenere tutta quella processione Armuzza aveva chiuso nella so casa una stanza che apriva solo a Dicembre davanti al prete e accussì mangiava dormiva e si taliava la televisione nellunica che cera rimasta libera. Affarisò comunque.
Io il mio guadagno celavevo e anche questanno accuminciai lentolento a sistemare la pagghia vicino alla grotta di cartone e le luci anche. Prima però ci resi unallisciata allimmo di Armuzza.
Erano gli accordi! Una ripassata per la preparazione del teatro e una per la notte di capodanno quando a volte laiutavo anche a sparare le bombe.
Cetto tanto bene questa bella tradizione finora non maveva portato ma a provare ogni vota non costava nenti e io per qualche giorno mi sinteva veramente più fottunato.

14/09/08

12/09/08

Jona




Amato è da qualche mese che mi pari sempre più incazzato. Addivintau raro che scherza e quando succede dura poco. Io pensavo che la colpa era di so mugghieri che sinniiu a passare le ferie al mare dai parenti e u lassau sulu ma quando sono andato a trovarlo ho scoperto che non era accussì.
Amato è tannicchia pazzu sì però è gentile e qualche birra ci nesci sempri ad andarlo a trovare.
"Assettiti Totò. Chi ti offro?" mi chiese. Ma era una dumanda tanto per dire che le bottiglie erano già sul tavolo.
Ne pigghiai una e cià fici viriri prima dappizzarici a ucca e lui mi seguì contento.
"Chi ni pensi Totò?"
"Chi ni pensi?! E di cosa?"
"Dellitalia Totò! DellItalia"
"E che cosa devo pensare? Semu ca. Chivvoi riri?"
Cangiau facci Agatino. Accuminciau a fari vuci e a dirimi cose con parole difficili ma che dentro cenerano altre come democrazia e giustizia o resistenza e lavoro.
Non lo sapevo che Amato era comunista. Pecchè lo so che queste sono le parole dei comunisti.
Finita la sfuriata mi pigghiau per un braccio e mi portò davanti al televisore. "Aspetta" mi rissi.
Subito misi un disco e fici partiri un film. Non sapevo che fare. Da un lato ero curioso ma dallaltro accuminciava a farimi paura quel cristiano e comunque decisi di seguirlo per un poco nella sua pazzia.
Le prime immagini erano di una bella città."Si chiama Amsterdam" mi spiegò Amato che quelle furono le uniche parole che disse. Io visti che cerano tanti canali e belle case e anche la voce del bambino che iniziava a raccontare la sua storia era daccordo con me. Jona si chiamava come nel titolo del filmi. Io non lo so se tutto quello che ho visto è vero come c'è scritto alla fine però debbo dire che tante cose mi pari ora di averle più chiare in questa testa di cippu.
C'è un punto che Jona dice che i grandi sono strani perchè certe volte riescono a ridere e a piangere contemporaneamente e un altro dove invece guarda un carusazzu che a tutti i costi ci vuoli fari soprusi. Cè la gente che lo aiuta e quella che non lo vede nemmeno e che se non lo vede è meglio per lui.
Io Jona lho capito subito che era un ebreo ma non credo che questa è la cosa più importante pecchè Jona non è lui. Insomma questo picciriddo è tutta la sua famigghia e questa può essere la mia o quella di Agatino o di un marocchino anche o di uno zingaro. Dallaltro lato invece cè solo gente che urla. Che grida come quando arrivano per portare Jona nel campo e lui riesce a portarsi via solo il suo pupazzo. O che ti fa le riprese e pensa che tutti questi insetti sono uguali e che bisogna solo schiacciarli e per loro non c'è diritto neanche ad una educazione. A una scuola.
Poi cè il campo. Quello dove si sta per vivere. Per mangiare. Per sperare. Il campo dove fare l'amore se uno ci riesce vuol dire anche esistere.
A mia mi passi che quel campo tannicchia ci assomiglia a questo mondo anche se qua forse ancora i picciriddi ci possono fare marameo alla polizia e il mangiare ancora non manca. Per il resto ci hanno insignato a stari cuntenti di travagghiari per un tozzo di pane e a ringraziare i nostri padroni e a farci punire se non facciamo le cose bene.
Si cresce in fretta nel campo e la morte diventa come la vita. E la vita come la morte.
Io non lo so se tutto quello che ho visto è vero come c'è scritto alla fine del film ma la cattiveria può venire anche dal tuo fratello e la bontà dal tuo nemico pecchè questo sono gli uomini e un maiale scannato non ha razza.

Amato non aveva più detto niente dallinizio. Alla fine però mi mostrò tre foto. In una cera un niura abbiata nterra dentro al carcere.


In unaltra invece una scritta diceva: "Immigrati clandestini: Torturali!".


Nellultima poi cerano due facce e io li ho riconosciuti che avevano la stessa funcia.

Vincenzo


Vincenzo sta all’ultimo piano. Vicino al cielo.
Quando era nico mi prendeva in giro e nacchiappavamo pecché mi scantavo adaffacciarimi al balcone e mi mettevo con le mani avanti per tenermi meglio.
"Non ce la faccio -ci dicevo- non ce la faccio"
Ora lui cià ancora due punti di un colpo di spada di zorro che ci resi nel braccio. Io invece il puttuso che mi fece la sua pistola a pallini.
Vincenzo è veramente un amico.
Oggi parte per andare a travagghiari al nord.
Ma io non lo voglio salutare.
"Non ce la faccio -ci dissi- non ce la faccio"

11/09/08

Agatino Amato

Agatino Amato scrivi poesie.
Oggi acchianai alla sua casa pecchè ci avevo avuto tutta la notte un male di stomaco tremendo e quanto capita che staiu accussì sua moglie mi fa le nizioni che cè le porto io.
Mentre additta appoggiato al tavolo mi calavo i causi lo vidi che stava davanti a un compiutere e che arrireva da solo.
"Macchiviri fimmini?" ci ho domandato senza pinsari a sò mugghieri.
Ce lo chiesi pecchè io li ho viste queste cose alla televisione e anche nei giornali cè scritto che uno ci può telefonare alle persone e certe volte i cristiani che cianno i cosi i blogghi si maritano tra di loro e poi ci sono macari tutti quelli che fottono come al supercinema "Vittoria" e si fanu viriri dentro al compiutere e si scangiano le fimmine come al mercatino dellusato.
Agatino forse non le sapeva queste cose pecchè tutto serio mi rispose con le seguenti parole:
"No! Sto leggendo i commenti alle poesie che ho mandato in rete".
Poi tutto preso dalle sue cose non mi calcolau chiù.
Io feci finta di niente. Ringraziai la signora e tornai alla mia casa. Però ci pensai tutta la matinata a quelle parole pecchè io quella risposta non lavevo capita per niente.
Che voleva dire? E pecchè arrireva? E che cosa doveva piscari?
Lho detto sempre. Altro che poeta! Quel cristiano o è scemo o fa finta di essiri scemo per non travagghiare.

10/09/08

domani, 11 Settembre

TI RICORDO AMANDA

Ti ricordo Amanda
la strada bagnata
mentre correvi alla fabbrica
dove lavorava Manuel

Il sorriso aperto
la pioggia nei capelli
non importava niente
correvi a incontrarti
con lui con lui con lui con lui con lui
sono cinque minuti
la vita è eterna
in cinque minuti
suona la sirena
si torna al lavoro
e tu camminando
illumini tutto
quei cinque minuti
ti hanno fatto fiorire

Ti ricordo Amanda
la strada bagnata
mentre correvi alla fabbrica
dove lavorava Manuel
Il sorriso aperto
la pioggia nei capelli
non importava niente
correvi a incontrarti
con lui con lui con lui con lui con lui

Con lui che partì per la sierra
che non aveva fatto niente
che partì per la sierra
e in cinque minuti
è morto ammazzato
suona la sirena
si torna al lavoro
molti non tornano
neanche Manuel

Ti ricordo Amanda
la strada bagnata
mentre correvi alla fabbrica
dove lavorava Manuel





09/09/08

La legge è legge

Una settimana fa acchianai sopra il treno che dovevo andare a Messina per una visita e maccompagnò Nunzio Andronico.
Io veramente celavevo detto prima a Vincenzo se mi poteva lasciare alla stazione ma giustogiusto quel giorno lui ciaveva un appuntamento con lavvocato per farisi dare i soddi dal suo principale.
Nunzio è una brava persona. Gentile. Educato. Cetto cià anche lui i suoi scatti. Come quando un anno fa ci spaccò una bottiglia nella testa del vigile. E che vigile poi. Il signor Arcifa. Quello che abita al primo piano.
Arcifa sera lamentato sempre che ci tiravano le scocce del melone nel suo balcone e sera fissato con Nunzio pecchè abita con sua madre nella casa sopra alla sua. Accussì penso che quel giorno che gli si presentò loccasione non ci passi vero di vendicarisi.
Nunzio apprincipio cercò di spiegarsi e di prenderlo con il buono. Ma Arcifa non lo voleva capire che non cinnera munita per pagare unaltra multa.
"Pecchè poi?" ci diceva Nunzio "Posteggiai la ritmo sopra la panchina. Ma era un attimo. Non mi viristi che ti salutai e poi trasii nella farmacia?"
Nunzio aveva continuato a stare calmo di fronte allurbano che parlava tutto matelico.
La legge è legge.
Ma non ci visti chiù quando Arcifa ci disse che a lui sti cose non ci interessavano e che dovevano morire di fame quelli che ci sucano la pensione agli altri.
Parlando con me in macchina mi cuntao tutto quello che ci passò nella testa. Andronico lo conosceva bene a quel cristano. Il vigile era nato mortazzo di fame e di niconico ciaccuminciao alliccarici i baddi allonorevole. Che con il suo metro e mezzo mancu se ci portava un cero al giorno a Santaituzza ce la mettevano la divisa. E ora faceva lo spetto e si sentiva il padrone della città.
La trovò vicino al sedile. Si spaccò in mille pezzi contro quella testazza dura. Ma Nunzio mi confessò che il ciauro di vino per un momento ammucciò quello della merda.

La storia


Se invece di subire la storia gli uomini si uniranno per farla; se sapranno dominare i rapporti sociali come dominano le forze della natura e gli strumenti della tecnica; se avranno fiducia in se stessi, il mondo di domani potrà essere migliore, più giusto e più libero.
Un mondo senza prepotenze, senza fame, senza ignoranza. Un mondo più unito, più fraterno.
Se questo mondo nascerà domani o tra cinquant'anni, o cento, e che aspetto avrà, non sappiamo: ma che altro ci rimane da fare se non lavorare per il suo avvento, costruirlo giorno per giorno, in modo che corrisponda ai nostri sogni?

07/09/08

Julius Fucik (Smikhov 23 febbraio 1903, Berlino 8 settembre 1943)

Ho vissuto per la gioia, e per la gioia muoio.
....che la tristezza non sia mai legata al mio nome!
(Julius Fucik 1° maggio 1943)


JULIUS FUCIK nacque il 23 febbraio 1903 a Smikhov, uno dei più vecchi sobborghi industriali di Praga. Suo padre era operaio metallurgico. A scuola il ragazzo Fucik dimostrò attitudini non comuni, una grande passione per la lettura e soprattutto per la storia. Nel 1921 il figlio dell'operaio di Smikhov si iscriveva alla Facoltà di filosofia dell'Università di Praga.
Fucik iniziò allora lo studio delle scienze sociali e dei classici del marxismo. La conoscenza teorica, unendosi alla coscienza di classe che gli veniva dall'origine operaia, lo portò ben presto ad aderire al movimento socialista, e ad entrare nell'organizzazione studentesca comunista, di cui non tardò a diventare uno dei dirigenti.
Per vivere, intanto, lo studente Fucik doveva fare i più vari mestieri: fattorino, allenatore sportivo, muratore, terrazziere, e perfino uomo-sandwich. Più di una volta egli si trovò in condizione di soffrire la fame. Ma né le umili occupazioni alle quali era costretto per vivere, né la miseria più dura, gli impedirono di continuare a applicarsi allo studio, e di svolgere una intensa attività di militante rivoluzionario, come organizzatore, oratore di comizi, giornalista, nelle condizioni sempre più difficili che la classe dominante cecoslovacca andava creando al movimento operaio.
Le sue prove brillanti e polemiche di giornalista gli valsero, nel 1930, un primo soggiorno nell'Unione Sovietica, con una delegazione di operai cèchi che gli operai della Ghirghisia sovietica avevano invitato a visitare l'U.R.S.S. Il viaggio, iniziatosi in maniera semiclandestina, per il divieto opposto dalle autorità cecoslovacche, durò sei mesi. nel corso dei quali Fucik e i suoi compagni visitarono Mosca, Leningrado, il bacino del Volga, l'Ucraina, il basso Don, il Caucaso, il Tagikistan, il Kazakistan e parecchi altri luoghi.
Di ritorno a Praga, noncurante delle minacce della polizia, Fucik tenne in un anno oltre un centinaio di conferenze, con le quali documentò al pubblico cèco quanto il Paese dei Soviet andava realizzando nel campo sociale e della cultura. Contemporaneamente egli raccoglieva le sue impressioni di viaggio in un grosso volume, "Il paese dove il domani è già ieri", che poté essere compiuto e pubblicato solo nel 1931, perché Fucik, arrestato in occasione d'una riunione politica, dovette scontare alcuni mesi di prigione.
Nello stesso periodo Fucik divenne redattore del Rude Pravo, l'organo quotidiano del partito comunista ceco-slovacco, e attivo collaboratore della rivista Leva fronta, intorno alla quale si raggruppava un'ampia cerchia di intellettuali di sinistra.
Ripetutamente arrestato per i suoi attacchi giornalistici ai gruppi privilegiati, Fucik dovette spesso nascondersi e camuffarsi per sfuggire alla polizia. Nel 1934, minacciato di un nuovo arresto, tornò nell'Unione Sovietica e vi rimase fino al 1936, come corrispondente del Rude Pravo. Le sue corrispondenze dall'U.R.S.S. fecero di lui uno dei giornalisti più popolari in Cecoslovacchia.
Quando Fucik rientrò in patria, la crisi dello Stato borghese cecoslovacco, maldestramente manovrato dagli imperialisti francesi ed inglesi come una pedina nel gioco antisovietico, era ormai prossima. La Cecoslovacchia stava per essere abbandonata a Hitler.
Nell'imminenza dell'accordo di Monaco, Fucik, in una serie di articoli, si adoperò a denunciare all'opinione pubblica cèca le mire aggressive della Germania nazista e la politica pro-hitleriana dei governi di Parigi e di Londra. Firmato l'ignobile accordo, soppressa in Cecoslovacchia la stampa comunista, entrati i nazisti a Praga nel marzo del 1939, cominciate le persecuzioni e gli arresti, Fucik continuò la sua lotta di militante democratico nella clandestinità.
Continuamente braccato dalla Gestapo, egli organizzò insieme con i compagni tutta una rete di giornali e riviste clandestine, che furono un modello del genere, per abbondanza e tempestività di informazioni e per accuratezza tipografica. Al principio del 1941 la sua attività coraggiosa e intelligente di organizzatore lo fece nominare membro del Comitato Centrale del partito Comunista cèco.
Le rischiose pesanti responsabilità di partito non lo distoglievano però dal portare avanti uno studio, che da parecchio tempo aveva in animo, su alcuni aspetti della storia della letteratura cèca. Del resto quello studio era anch'esso un lavoro di partito, un modo di dare armi alla lotta della classe operaia cecoslovacca. Fucik infatti si proponeva di mettere in luce quegli elementi della storia letteraria nazionale che la critica borghese aveva ignorato o sottovalutato, le tradizioni democratiche dei migliori scrittori cèchi, l'importanza di alcuni scrittori popolari che la storiografia delle classi privilegiate aveva preferito passare sotto silenzio. Con questo lavoro egli preparava al proletariato del suo Paese preziosi strumenti filologici per assumere l'eredità culturale nazionale, per divenire classe dirigente anche nel campo della cultura.
Fucik progettava di sviluppare quei suoi studi critici in una vasta opera dal titolo " I dimenticati e coloro di cui non si parla ". Egli portò a termine una prima monografia su Bozena Nemcova, scrittrice e patriota dell'800, un saggio su Julius Zeyer, ed iniziò un ampio studio sul celebre poeta slovacco Jan Neruda. Il manoscritto su Neruda, incompiuto, venne sequestrato dalla Gestapo insieme con le altre carte di Fucik, al momento dell'arresto, e in parte distrutto: ce ne rimangono solo sei capitoli.
Fucik cadde nelle mani dei nazisti nella primavera del 1942. La cronaca della sua prigionia nel carcere di Pankrac, a Praga, delle torture feroci a cui fu sottoposto, è raccontata in questo diario " scritto sotto la forca ", che l'eroico combattente poté tenere e far uscire dalle mura della cella grazie all'organizzazione clandestina comunista la quale tesseva infaticabilmente le proprie fila anche all'interno di Pankrac.
Trasportato in Germania, Fucik comparve dinanzi al
tribunale nazista di Berlino il 25 agosto del 1943. Ai giudici dichiarò: " So che sarò condannato e che la mia vita sta per finire, ma so anche di aver fatto tutto il possibile per la nostra vittoria. Sono certo che vinceremo. Noi morremo, ma altri verranno e continueranno la nostra opera".
Tornando alla prigione dopo la condanna a morte chiese alla compagna Lida Placha che cantasse qualcosa. Lida intonò la Partigiana, e tutti cantarono in coro. Lida e Julius cantavano in cèco, e i comunisti viennesi che erano con loro, anch'essi condannati a morte, cantavano in tedesco. Poi cantarono tutti l'Internazionale.
Colui che fu suo compagno di cella nei giorni precedenti all'esecuzione ha riferito: "Io ero ridotto in uno stato di inebetimento completo. Non riuscivo a pensare più a nulla, nemmeno alla mia famiglia. Fucik, invece, non faceva altro che cantare o raccontare qualcosa. Si comportava come se avesse ancora dinanzi una lunga vita da vivere".
Il 4 settembre una bomba cadde sulla prigione, tutti i detenuti furono fatti uscire in cortile, e Fucik si incontrò con alcuni dei suoi compagni cèchi. Incatenato ai polsi ed ai piedi, in mezzo al cortile, parlò loro a gran voce per scuotere gli animi dall'abbattimento in cui molti erano caduti. Parlò della forza morale dei cittadini sovietici, della sconfitta che i nazisti avevano subito davanti a Mosca ed a Stalingrado, disse che l'U.R.S.S. non avrebbe deposto le armi finché il fascismo non fosse annientato:
"Se a occidente venisse aperto un secondo fronte, la guerra finirebbe certamente prima. Alcuni di noi, forse, avrebbero la speranza di non morire. Ma ricordiamoci che siamo soldati i quali combattono nelle retrovie del nemico. Se dobbiamo morire, moriamo con la convinzione che vinceremo ".
L'8 settembre 1943 Julius Fucik veniva impiccato.
Nella letteratura di testimonianze, di memorie, di cronache e di diari, uscita dalla Resistenza contro il fascismo, questo "Scritto sotto la forca" di Fucik resterà un esempio unico. Gli uomini passati per le prigioni e le camere di tortura della Gestapo e delle Brigate Nere, per i campi di concentramento, ci hanno reso conto di quella tremenda esperienza a libertà riacquistata, quando le mura del carcere o le barriere di filo spinato si erano ormai riaperte dinanzi a loro. Oppure, se da qualcuno. dei tanti per cui prima della liberazione venne la morte, dei tanti che non sono sopravvissuti, ci è giunto un messaggio, uno scritto, è stato un messaggio di poche righe, un testamento di poche parole, splendente spesso di tutta la forza d'animo e di tutta la lucidità che può avere un uomo, ma suggellato dallo spietato laconismo che è proprio dell'uomo in punto di morte. Fucik è l'unico che, al cospetto della morte, già crudelmente lacerato dalle torture, sia riuscito a discorrerci a parole spiegate, ad esprimerci la sua esperienza di moribondo per pagine e pagine, per migliaia e migliaia di righe, a dichiararci la fiducia che lo sostiene, in maniera cosi diffusa e circostanziata da cancellare l'ombra della morte completamente e lasciarci l'immagine di una vitalità appassionata e trionfante.
Per serbare questa straordinaria condizione di equilibrio e di serenità là dove tutto si adopera a confondere l'uomo e precipitarlo nell'angoscia, Fucik non ha bisogno di reprimere nulla di sé, di imporre il silenzio a nessuno dei suoi affetti, neppure i più intimi e segreti. Le pagine in cui parla della moglie, della sua Gusta, dell'amore che li ha resi completi l'uno nell'altra e felici, sono la testimonianza di un animo il quale non si nasconde affatto il valore inestimabile di ciò che la morte gli toglie. Ma in quello stesso animo gli affetti individuali, per quanto intensi e esigenti, non sono più divisi dall'impegno sociale, l'amore per una sola donna è tutt'uno con l'amore per tutti gli uomini, con l'amore della libertà e della giustizia. Fucik non ha nulla da temere dall'immagine dell'amata, dal ricordo della sua tenerezza, della sua carezza, del suo respiro: non ha da temere che il dolce nome di Gusta gli tolga anche solo un poco di forza sotto il bastone dei torturatori e dinanzi alla forca. Quel nome al contrario, e naturalmente, lo ricondurrà al nome della patria, al nome dell'umanità oppressa, della dignità umana calpestata, che occorre difendere e riaffermare, anche a costo di sofferenze, ed anche accettando la morte.
Di dove ha tratto Fucik una così esemplare coesione fra il suo fervido e sensibile cuore di individuo e la sua intelligenza, la sua volontà di cittadino, di uomo in mezzo agli altri uomini? È' forse il risultato soltanto di una superiore integrità di carattere, di una personalità fortunata e generosa? No, Fucik non sarebbe stato quale questo diario ce lo presenta, se il suo cuore e la sua volontà, le sue doti naturali, non fossero state formate dalla classe operaia, non avessero trovato la propria unità ed il proprio mordente attraverso l'ideologia e la pratica del partito della classe operaia, non si fossero sentite fino all'ultimo sostenute e guidate dal suo immenso e cosciente organismo. Fucik non è mai solo: anche quando è più isolato e indifeso, fra le mani dei carnefici che dentro le quattro spoglie pareti della camera di tortura infieriscono sopra il suo corpo, egli avverte intorno a sé il grande esercito dei compagni che gli comunica energia ed a cui deve rendere conto. E nello scrivere clandestinamente, su minuscoli frammenti di carta, le sue note di prigioniero, a nulla egli pensa meno che a farne delle meditazioni con se stesso, delle confessioni solitarie, un bilancio spirituale. " Scritto sotto la forca" fu concepito come una relazione di esperienze da trasmettere ai compagni, uno strumento per l'azione: da consegnare a coloro che avrebbero continuato la lotta.
Da ciò deriva che nel diario di Fucik manchi completamente, come ho già accennato, quella morbida compiacenza, quel mal dissimulato indugiarsi a compatire la propria sorte, che negli altri documenti del genere capita invece spesso di scoprire. Da ciò deriva il vigore immediato e operante del diario di Fucik, il fatto che nessuna parola in esso suoni retorica. Quando, al momento di avviarsi verso la morte, il figlio dell'operaio meccanico di Smikhov scrive l'ultima riga delle sue note, " Uomini...vegliate! ", egli sa di non adoperare una formula, perché gli uomini a cui il suo saluto si rivolge ben conoscono a che cosa debbano vegliare, e come, con quali mezzi, con quali metodi, rendere attiva ed efficiente la propria veglia. Anche per noi il saluto di Fucik, tutto il suo diario, valgono come un incitamento concreto all'azione, un elemento di guida in questa lotta che vuol costruire nel nostro tempo la giustizia per cui Fucik e tanti altri hanno dato la vita
.
Testo di: FRANCO CALAMANDREI


Fonte: Biblioteca Multimediale Marxista



Pecunia, antica saggezza, non olet.

Non importa che abbia avuto
due mogli
e che le sgualdrinelle
confortino le sue notti.
Non importa che la sua morale
abbia più buchi di un colabrodo,
che abbia corrotto,
falsificato bilanci,
giurato il falso,
prevaricato
adottando la menzogna
come stile di vita.
Non importa!
Sia ricevuto in Vaticano con tutti gli onori.
Pecunia, antica saggezza, non olet.

Andrea Camilleri




06/09/08

Vera Alagna


Scinniu dalla machina che saranno state le due di notte. Era una decappottabile ianca. Tutta lucida come a un cesso pulito.
Con le cosce belle in mostra e landatura menza mbriaca Vera fici il giro dellauto per andare a salutare il masculo di turno. Pareva cuntenta. La visti accalarisi vicino allo sportello e sospirare qualcosa mentre quello per ricambiare il saluto continuava a darici con la sinistra una bella lisciata no culu. Lei sembrava non farci caso poi però sembrò incazzarisi quando con la destra lautista tento di farici accalare la testa fino a dentro alla machina. Non disse mancu pio però. Si allontanò senza vutarisi e sinniiu verso la sua casa.
Pinsai che era sempre bella come una carusidda. In silenzio minniii al pianerottolo per accendere le luci delle scale che così a lei ci veniva più facile inzittare la chiave del portone e poi mi misi ad aspettare la lucetta dellascensore per sentirmi più tranquillo. Quando però capii che aveva scelto di acchianari le scale a piedi me ne rientrai. Non volevo farmi trovare lì come a un mammaluccu.

Nosacciu su prima maveva visto. Sacciu sulu che allimprovviso sintii le sue unghie dietro la porta che mi chiamavano. Rapii di cursa.
Non cera mai stata con me. Con tutto il palazzo forse ma con me mai e ora invece senza dire una parola aveva iniziato a vasarimi. Era proprio lei. Lì con la porta mezza aperta e uno scemo che mutanni che non la faceva entrare.
Io continuavo a essere come incantesimato. Non ci riuscivo a dire niente e a lei sembrava che ciandava bene proprio così.
Con le mani dietro alla schiena mappoggiai alla cornice della porta dellingresso mentre Vera stava già accuminciannu a cercare qualcosaltro con la lingua. Ci stesi du secunni a veniri. Senza spustarimi chiurii locchi e finalmente accuminciai a parlare.
Ci cuntai tutte le cose. Di come lavevo desiderata. Di come ci vulevu bene. Di tutti i sogni che avevo fatto.
Quannu accalai locchi per guardarla però non cera più nessuno. Mi vutai cunfusu. Nenti. Solo la porta aperta e la luce delle scale addumata. Chiu nenti.

04/09/08

La scrittura


[...] cosi può capitare che uno scriva con entusiasmo una pagina, o anche un libro intero, e poi si accorga che non va bene, che è pasticciato, sciocco, già scritto, mancante, eccessivo, inutile; e allora si rattristi, e gli vengano delle idee sul genere di quelle che aveva lui quella sera, e cioè mediti di cambiare mestiere, aria e pelle, e magari di mettersi a fare il montatore. Ma può anche capitare che uno scriva delle cose, appunto, pasticciate e inutili (e questo accade sovente) e non se ne accorga o non se ne voglia accorgere, il che è ben possibile, perché la carta è un materiale troppo tollerante. Le puoi scrivere sopra qualunque enormità, e non protesta mai: non fa come il legname delle armature nelle gallerie di miniera, che scricchiola quando è sovraccarico e sta per venire un crollo. Nel mestiere di scrivere la strumentalizzazione e i segnali d’allarme sono rudimentali: non c'è neppure un equivalente affidabile della squadra e del filo a piombo. Ma se una pagina non va se ne accorge chi legge, quando ormai è troppo tardi, e allora si mette male: anche perché quella pagina è opera tua e solo tua, non hai scuse né pretesti, ne rispondi appieno.

03/09/08

02/09/08

train



L'oscillare vacuo delle anime
obbliga i viaggiatori all'oblio:
c'è ancora tempo. Poi
la pioggia di baci
senza nome
o il rapido infittirsi delle disperate
attese.
Ancora soste
fino all'onesta banchina.

01/09/08

2008 - 1902. Ovvero Dimmi quando, quando, quando di Cosimo De Nitto

Tenendo dietro alla mia curiosità di spigolare tra vecchi libri mi è capitato di leggere una relazione finale scritta nel giugno 1902 da un maestro-supplente a Pieve Saliceto, piccola frazione di Gualtieri, provincia di Reggio Emilia. Riporto alcune parti che mi sembrano interessanti per gli spunti di riflessione che mi suggeriscono (scusandomi per la lunghezza):

"Frequenza: La frequenza fu lodevole. Ebbi su trentacinque iscritti una media di trentatré frequentanti giornalieri. Anche questo è un segno dei tempi. La scuola s'innalza nel concetto delle masse e diviene necessità sociale. Anche la parziale refezione scolastica contribuì alla frequenza.

"Stato intellettuale e fisico degli alunni. Non posso dir nulla sullo stato fisico ed intellettuale degli alunni all'ingresso della scuola per la ragione semplicissima che non c'ero. Al termine dell'anno scolastico i gobbi lo erano ancora ed idem dicasi dei deficienti. Per i primi la cura consigliabile è quella dell'Istituto ortopedico Rizzoli, per gli altri occorre un altro organamento della vita scolastica che dia agio all'educatore di porre in atto, almeno in parte, la trangugiata teoria pedagogica.

"Disciplina. La disciplina l'ho sempre ottenuta con mezzi semplicissimi: destando l'allettativa, l'interessamento; vigilando. Non è disciplina, quella che si ottiene con mezzi coattivi. Comprime l'individualità infantile e genera tristi sentimenti. Il maestro deve prevenire e rimuovere le cause del male per non dover poi dolorosamente reprimere.

"Diligenza. Finché scuola e famiglia non saranno unite nell'opera educativa la vera diligenza resterà pio ed utopico desiderio. Come pretendere un foglietto pulito da un bambino che fa il compito in una stalla per dura necessità di cose? La pratica qui ebbe la salutare virtù di farmi buttare alle ortiche molta e forse ingombrante zavorra idealistica.

"Risultati conseguiti. Per un complesso di cause indipendenti dalla mia volontà i risultati non furono troppo soddisfacenti quantunque non abbia trascurato nulla per migliorare le sorti psichiche di bambini massacrati da lunghi anni di sgoverno scolastico. *** Noto che mal s'appone al vero chi crede con coscienza di giudicare la valentia di un maestro dal numero dei presentati e promossi all'esame. Perché? Perché l'esame fatto come si fa oggi, acquista i poco pedagogici caratteri di un giudizio di Dio, e non sono rari i maestri , che unitamente ai bimbi si affidano alla medesima dea: la fortuna.

"Programma e suo svolgimento; giornale di classe. Il programma lo svolsi come potei, il giornale di classe non l'ho fatto.

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Quando ho letto questo resoconto non ho potuto evitare di pensare all'esagitato dibattito di questi giorni sulla scuola. La prima considerazione che mi viene, leggendo i "Quarant'anni da smantellare" della Ministra M. S. Gelmini sul Corriere della Sera, è la mancanza assoluta di senso storico.

Proporsi di rimuovere il passato, o parte di esso, per ritornare al "prima" è un sogno vano. Prima perché è impossibile, poi perché non è assolutamente scontato che il passato sia come uno si immagina o vuol credere. La nozione di passato, in questo caso, ha più a che fare con la psicologia e l'ideologia politica, che con la storia. Un esempio per tutti la Restaurazione.

Il '68 è storia e non c'entra niente. Le nuove generazioni di insegnanti non l'hanno vissuto, sicuramente non lo conoscono molti alunni che non arrivano col programma a studiarlo. Prendersela con il '68 o con una sua pretesa pedagogia (?) sembra un'ossessione propria di chi comunque ha bisogno di un nemico cattivo per mascherare le proprie difficoltà a capire, valutare, operare e per nascondere le proprie magagne. E il manicheismo, si sa, non serve a chi vuol gettare sul passato uno sguardo sereno, attento alla sua complessità, per capire i processi e cercare il bandolo della matassa per andare avanti nel presente.

Il nostro maestro supplente nel 1902 dice alla Gelmini: "la scuola è necessità sociale, si innalza nel concetto delle masse, anche la parziale refezione contribuisce alla frequenza" (figuriamoci il tempo pieno!). Se la maggiore frequenza non è obiettivo del governante di oggi, altro che ritorno al prima del '68. Occorrerà tornare agli istitutori privati del '700, prima della Rivoluzione francese.

Nello stato intellettuale e fisico il nostro, al di là di un linguaggio povero e crudo, che non risente certo del deteriore pedagogismo odierno!, per i "deficienti" (coloro cioè che accusano deficit e ritardo cognitivi) prefigura ed invoca "un altro organamento della vita scolastica". Vuoi vedere che il maestro del 1902 chiede uno di quegli insegnanti di sostegno che la ministra Gelmini vuole far fuori per esigenze di cassa?

Quando riferisce sulla disciplina il nostro maestro, che, non dimentichiamolo, opera nel 1902 e per giunta è un supplente temporaneo, sembra impartire alla nostra ministra una vera e propria lezione. Cosa dice in pratica: "non è disciplina quella che si ottiene con mezzi coattivi". Perché essa "comprime l'individualità infantile e genera tristi sentimenti. Il maestro deve prevenire e rimuovere le cause del male per non dover poi dolorosamente reprimere".

Quindi ciò di cui principalmente gli insegnanti e la scuola devono preoccuparsi è prevenire i comportamenti deviati attraverso un'opera educativa, servendosi di strategie didattiche adeguate. Altro che 7 in condotta come panacea che risolve definitivamente i problemi del comportamento degli alunni. E' come dire che la pena di morte fa diminuire i delitti (confronta "Dei delitti e delle pene" di Cesare Beccaria -1763/64). Nemmeno il più malandato psico-pedagogista sarebbe disposto a confermare che il 7 in condotta risolve il problema del bullismo.

Dove si parla di diligenza il nostro maestro-supplente prima invoca l'unità tra scuola e famiglia nell'opera educativa, poi mette in rilievo il peso rilevante del condizionamento sociale ("Come pretendere un foglietto pulito da un bambino che fa il compito in una stalla per dura necessità di cose?") nei risultati scolastici. E se a lui basta "gettare alle ortiche molta e forse ingombrante zavorra idealistica", noi dovremmo gettare alle ortiche anche la lettura strumentale dei risultati OCSE-PISA quando non si ha l'onestà intellettuale di riconoscere il peso negativo che esercita il grave condizionamento sociale in certe (non tutte!) realtà scolastiche del meridione. E allora, anziché portare al sud sviluppo economico e sociale, si trascinano gli insegnanti a fare corsi di formazione intensiva per imparare a... fare miracoli! Vuoi vedere che è da addebitare agli insegnanti anche la questione meridionale?

E se poi non si fosse perso tempo in questi ultimi anni a fare corsi di aggiornamento su riforme (Moratti) che non riformano niente, o su Nuove Tecnologie decontestualizzate (Moratti), forse non si sarebbe perso tempo e denaro per dare ai docenti l'opportunità di una seria formazione metodologica, didattica, disciplinare, assolutamente contestualizzata agli specifici ambienti di lavoro.

Dei risultati conseguiti il nostro maestro-supplente non è troppo soddisfatto, per cause indipendenti dalla sua volontà, ma dal massacro causato da lunghi anni di "sgoverno scolastico<" (sic!). Quanto lo comprendiamo!

Chi negli ultimi tempi pontifica e inveisce contro gli insegnanti, capofila tra tutti la ministra Gelmini, seguita a ruota da giornalisti non molto informati o da eminenti cattedratici che non vedono un palmo di naso al di là della loro cattedra, non ha la benché minima onestà intellettuale di riconoscere e indagare i fattori, indipendenti dalla volontà dei docenti, che limitano e condizionano pesantemente la loro opera. Al massimo riconoscono l'incidenza degli indecorosi stipendi, ma poi si fermano solo a questo, quando invece ci sono tantissimi altri condizionamenti che una civile società e un governo attento (non imbufalito contro il mulino a vento del '68) indagherebbero bene e svolgerebbero una positiva opera di decondizionamento, per far svolgere pienamente alla scuola a agli insegnanti la loro missione. Altro che OCSE-PISA. Si curano le cause della malattia, non i suoi male interpretati sintomi.

Infine il nostro maestro-supplente mette il dito nella piaga della valutazione dei docenti. Egli dice che sbaglia chi vuol giudicare l'insegnante dal numero degli alunni presentati o promossi agli esami. Egli non crede ai criteri meramente quantitativi.

La bravura e la produttività dei docenti e della scuola non si misura con criteri aziendalistici, per il semplice fatto che la scuola non è una azienda, gli studenti non sono prodotti, gli apprendimenti non sono cumuli di nozioni che in modo automatico si trasformano in competenze, la personalità degli alunni non è materiale plasmabile come e quando lo si vuole. Da qui, forzando un po', l'illusorietà della semplificazione numerico-quantitativa della valutazione. Ridurre la drammatica complessità della valutazione alla semplificazione della sua espressione in numeri è come se un elefante avesse la pretesa di risolvere complessi problemi di fisica nucleare.

Il programma il nostro maestro-supplente lo ha svolto come ha potuto. Come possono anche oggi molti insegnanti in situazioni scolastiche e sociali sgarrupate. Egli non compila il giornale di classe, segno che l'inizio del processo di burocratizzazione della professione docente si perde nella notte dei tempi, e anche di questo non si può dare colpa agli insegnanti.

Riflettendo sull'oggi mi pare che la ministra Gelmini non regga il confronto con il nostro docente-supplente. Troppo superficiale e superata anche per il 1902 lei. Molto più pertinente e a fondo dei problemi lui, molto più avanzata la sua visione della scuola e dell'insegnamento: mutatis mutandis.

A quale prima del '68 si riferisca la ministra Gelmini non è dato sapere. All'immediato dopoguerra (prima della riforma della scuola media 1962-'63), al fascismo, al pre-fascismo, al dopo unità d'Italia. Non si sa, basta che si cancellino 40 anni di storia della scuola italiana e poi qualunque cosa va bene. Cancellare cosa? I Decreti Delegati del 1974 n. 416 (governo Rumor), Legge 4 agosto 1977, n. 517 (governo Andreotti), I programmi della Scuola Media. D. M. 9 febbraio 1979 (governo Andreotti, le 150 ore per il diritto allo studio- DPR n. 395/1988 (governo De Mita), i Programmi per la scuola elementare del 1985 (governo Craxi), gli Orientamenti per la scuola dell'Infanzia del '91 (governo Andreotti), il Progetto '92 per i Professionali (governo Andreotti), I programmi Brocca (noto sessantottino!) dal 1988 al 1991 (governi De Mita, Goria, Andreotti). A questo punto non so se anche la riforma Moratti sia figlia del '68.

Ma poi bisognerebbe anche cancellare tutte le leggi, regolamenti, direttive, che fanno riferimento ai sopracitati provvedimenti.

E poi bisognerebbe cancellare anche i comportamenti dei docenti e dei dirigenti che hanno lavorato con questi strumenti. E poi anche tutto ciò che hanno appreso generazioni e generazioni di studenti. Insomma mi par di capire che dovremmo cancellare tutta, o quasi, la legislazione scolastica e vivere di "Voto di condotta, divisa scolastica, insegnamento dell' educazione civica, ritorno al maestro unico (?), rilancio degli istituti tecnici e della formazione professionale (?)." .

Impresa alquanto difficile anche per un ministro così determinato.

Si ha l'impressione (fondata!) che non si abbia la più pallida idea di che cosa siano l'istituzione scolastica e la storia di questa nel nostro Paese.

Quanto al tanto vituperato pedagogismo, occorrerebbe dire prima che cos'è la pedagogia. Gli scritti di pedagogia si esprimono nel linguaggio proprio di questa disciplina, come il diritto, la fisica, la medicina ecc. ecc. si esprimono nei propri linguaggi specialistici (sottocodici, linguaggi settoriali ecc.). Ogni disciplina ha il suo lessico, ignorarlo non può un meritevole studente.

Ciò si insegna nelle prime lezioni di Italiano (proprio la quarta I della ministra) a partire dalla scuola elementare.

Cosimo De Nitto

28 agosto 2008

Ps: il maestro-supplente è Benito Mussolini. La citazione è tratta da "Mussolini" Istituto Editoriale Italiano - Milano 1947, pagg. 53-54.

Il sottoscritto non ha mai avuto nessuna simpatia per il personaggio in quanto tale, non parliamo poi per quanto avrebbe combinato dopo.

E non gradirebbe cambiare idea proprio ora!




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