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30/10/07

29/10/07

Tapallara - 9 -

Laveva cercata assai senza trovarla e sera preoccupata molto per quella assenza ma poi quando ogni cosa era stata chiarita la vecchia Alimanni non ciaveva voluto chiedere niente a Ninuzza di quello che era successo. E tante altre cose non cera mai riuscita a spiarici alla figghia anche se lo sapeva che molte volte e per molte cose importanti ce ne sarebbe stato bisogno. Ma alla finfine quali domande? Che le risposte le sapevano tutte e due e se le erano scambiate con locchi per anni tutti i giorni. Ora che era nonna a Mena ci bastava di vederla tranquilla alla sua nicuzza e di iucari con la niputedda.

Erano passati quasi tre anni. Il giardino a tannicchia a tannicchia fu circondato dalle case. Ma Ninuzza non ci badava assai a questa cosa. La matina arrusbigghiava con una carezza a Carmela e la portava fuori a farici respirare il sole. Fino a due anni e mezzo lei ciaveva dato il suo latte alla creatura ma uno nemmeno se lo immaginava questa cosa pecchè ciaveva ancora due minne tunni e chini che parevano ianca pasta di mandorla. Ne sapeva quaccosa Alfio che ogni sabato ci portava la spesa grossa dal mercato e che la taliava sempre come a un babbalecco. Ma tutto si fermava a quelle taliate. A quegli occhi che chiedevano. A quelle mani che ammucciavano voglie.

"Cumu stai?"
"Bene e tu?"
"Ci puttai una bambola alla picciridda. Talia. Ciavi macari u biberon"
"Grazie, ma lo sai. Io..."
"Finiscila. Non ti preoccupari. Iu sugnu cuntentu ogni vota che..."
"Che?"
"Su ti viru felice, ecco"
"Come sta tua moglie Alfio?"
"Bene, grazie. E' a casa pì cucinari"
"Vacci annunca! Caspetti?"
"Sì, sì... è ca iu ti vulissi..."
"Vai Alfio, a sabato. Non ci pensare a me. Sugnu tranquilla. E ora sta venendo mia madre per aiutarmi"
"A sabato allura... macchiè stu sgrusciu? Chissù sti vuci?"
"Corri Alfio. Corri. Viri chi successi"

Era allangolo della strada. Da sotto alla lapa china di bombole spuntava una striscia rossa. Nellasfalto dietro a quel carretto a tre ruote sintravvedeva quaccuno a terra.
"Ammazzau! Ammazzau!" "Ciacchianau di supra du disgrazziatu!" "Presto! Presto! Fimmati quacche machina!" "Forse è ancora viva!" "Non si movi! Non si movi!"
Tutti erano attorno a quello spettacolo. Ittannu voci. Taliando muti. Facendosi il segno della croce.
Il cistaro savvicinò al gruppo che ancora lautista doveva scendere. Se mai ciavissi arrinisciuto quel carusiddo senza vavva a capire quello che aveva fatto. Tutto iancu stringeva stretto stretto il volante e guardava avanti come uno che non riesce a svigghiarisi e preia. Ma non cera più niente di priari. Quaccuno arrivò presto con una coperta a coprire quello che restava di quella mischinazza.
Fu per caso che in mezzo a tutta quella confusione Alfio visti vicino al marciapiede una cosa niura con i manici dorati. Ora fu sicuro di sapiri cuiera la morta. Ci venne un colpo. Laveva vista tante volte quella borsa a casa di Ninuzza. Quella che Mena sera accattata per il matrimonio.
La pigghiò come una reliquia per portarcela al suo amore. Camminando verso il cancello accuminciò a sintirisi come tanti ruppa nello stomaco. E ci mancava la forza per dariccilla quella notizia. E per pensarla anche.

Ai funerali cerano solo tre fimmini e nemmeno un ciuri. Ma così era stato deciso.
Una di quelle era muta e con i palitti ritti.
Unaltra invece cullocchi vivi sannaculiava e iucava senza parlare.
Lultima nel suo cuore arriscurreva con la morte.

28/10/07

27/10/07

Vito Albana

Vito Albana viene dalla campagna anche se ora abita nello stesso mio palazzo.
Quando era più caruso ci finì un braccio sotto il trattore e così non lo pigghiano più a raccogliere la robba della chiana. Ma nella disgrazia fu fortunato. Un suo amico lo fece andare a travagghiare come custode in una ditta di costruzioni della città e lui in questo modo potè continuare a mangiare.
A Vito ci piace parlare con me. Lui mi ha insegnato a usare le arance e i limoni per colazione pranzo e cena. Li sa cucinare in tutti i modi possibili. Ci fa le granite. Linsalata. Il riso. I dolci e i liquori. Quando saccatta la carne poi usa tutte le cose. Foglie scoccia e succo.
Se capita che la ditta non ciavi cantieri aperti Vito ritorna per qualche giorno al paese. Ne approfitta per pigghiare tutto quello che può che così può conservarselo nella sua casa. Cette volte in quelloccasioni passa da me per sapere se voglio anche io quaccosa e poi me lo porta che ne napprofittiamo per fare due chiacchiere.
Fu per questo che ieri mattina lo visti spuntare dietro alla mia porta di casa alle sei precise che ancora sembrava notte. Si presentò con una bella forma di pane. Due cipolle. Un pezzo di pepato fresco e mezzo litro di vino.
Voleva fare colazione.
Mi disse che era dalle cinque che era pronto ma aveva avuto paura di distubbare e così aveva aspettato unaltra ora. Era tutto contento di potermi raccontare le ultime novità del paese.
Di suo nipote Mariano che senera fuiuto con una carusidda di tredici anni. Di Carmela. Pecchè la gelatara del corso ciaveva lamante e lo sapeva solo lui. Dello Zio Cola che sera ammuccato venti uova e cinque chili di sasizza cruda per scommessa. Di sua madre che ancora a novantanni se ne andava ogni giorno al cimitero per parlare con suo marito. Mi disse anche che maveva portato della ricotta accussì buona che a mangiarla con la pasta di casa che ciaveva lui era meglio di un pranzo di matrimonio.
Vito non sera mai sposato.
Non ne voleva compassione per il suo braccio.
Alle femmine oneste invece ci tremavano le mani quando ci vedevano quel pezzo di carne che cera rimasto. Mi cuntò che per questo quando ciaveva vogghia di farisi taliare lattro pezzo ca pinneva apriva il portafoglio e chiureva locchi.

Fonte immagine: http://lubna.altervista.org

25/10/07

24/10/07

Tapallara - 8 -

Ancora la fimminedda cercava il latte quando tutta la famigghia sinniu a stare in una casa nuova. In via Etnea. Come i nobili.
Vincenzo non solo era diventato assessore ma lavevano fatto anche presidente di tutti i commercianti catanisi e a lei ora tutti un poco per sbaddo e un poco per verità la chiamavano la presidentessa.
Ninuzza ciaveva vestiti e soddi. Di certo chiossai di prima. E una cammarera che ci cucinava. E una che ci faceva le pulizie della casa. E macari una machina anche. Con lautista che la portava dove voleva. Se voleva.
A lei però ci piaceva quasi solo crescere a sua figghia Carmela che così avevano deciso di chiamare la picciridda e poi a parte questo Ninuzza non sapeva nemmeno dove andare se ci fosse vinuta la vogghia pecchè Vincenzo con i suoi amici della politica aveva accuminciato a fare abbattere tutte le case del suo vecchio quartiere che diceva che era per fare più bella Catania e non cera rimasto più nessuno che lei conosceva da farci una visita. Una di quelle visite che ti assetti fora dalla porta e vedi la gente passare e parri di questo e di quello e arriri come solo la gente sincera arriri e saluti tutti anche e da tutti senza malizia si salutata.
Ora non cera chiù nenti. Erano partiti tutti per il nord oppure senerano andati a abitare nelle case che stavano costruendo attorno alla città.
Grazie a lei che celaveva chiesto a Vincenzo macari alla sua amica Agata ciavevano dato una abitazione nuova. Era la stessa dove ero andato a stare anchio. Anche pecchè a quellepoca io e Agata eravamo sposini frischi. Non ceravamo ancora divozziati. Ci volevamo bene e manco ci pensavamo a questa possibilità. Comunque. Lassamu perdiri. Che chistu non centra niente con quello che vi sto cuntando. Dicevo di quella casa. Era un palazzo in mezzo alle campagne che visto da lontano di essere bello era bello solo che ancora dentro ci mancava lacqua e la luce anche e la strada per arrivarci era una striscia di fango buona per quando passavano le pecore.
Ninuzza però anche se voleva non ci poteva proprio andare lì. Ora era una ricca e non stava bene frequentare i pizzenti. Macari se erano amici. Macari su puttavano voti. Questo ciaveva detto Vincenzo quando lei aveva chiesto il permesso di farici una visita a Agata. E sera incazzato anche che lei queste cose doveva capirle da sola e che ciaveva una reputazione ora e che poi per lei era arrivato il momento che si metteva nella testa che doveva imparare a fare la signora e a praticare alla gente giusta. Quella che contava.
Ninuzza aveva attaccato a chianciri pecchè non sapeva cosa risponderci ma non era stata quella la prima vota. Dopo il matrimonio suo marito ciaveva fatto sempre più spesso vuci. Certo mai a quel modo ma la verità è che con il tempo Vincenzo era addivintato sempre più nervoso. Lei aveva immagginato che era così pecchè ciavevano avuto una femmina e lo sapeva bene come invece lui e la sua famigghia avevano desiderato tanto un masculiddu. E poi cera anche tutto quel lavoro che lui faceva e laffari anche a stancarlo. Che a casa quasi non lo vedeva più. Passando i giorni però non è che poi era rimasta tanto sicura di quelle pensate. Cetto lei non era una che pigghiava liniziativa in queste cose ma sera accorta che suo marito... insomma... la cercava poco quando si cuccavano e accussì qualche brutto pensiero ci stava accuminciando a venire e per questo sera decisa a stare più attenta alle cose che sentiva casacasa.

"Allora hai deciso?"
"Dovrei lasciare qui mia moglie anche se..."
"E non è meglio per te? Te la immagini Antonia a cena con le mogli degli altri deputati? E se sono le donne che cerchi non credo proprio che troverai problemi"
"Lo so, lo so. Accumencio a pensare che mia madre aveva ragione: tinatilla pi futtiri adda fimmina e marititi cu una vera signora mi diceva. E io no, che sì le volevo far dispetto, ma... di fronte a quella donna non resisto neppure ora..."
"Ecchiciavi? U meli?"
"Già. Pittia è facile. Ma ci pinsai bene. Tra un paio di giorni... capitano tante cose brutte a questo mondo"
"Non penserai..."
"Già. A che servono allora gli amici?"

Parlavano accussì lassessore e il ministro e non sapevano che la voce è come il vento. E se si lascia la porta aperta in una stanza il vento furia e furia e arriva dove non dovrebbe arrivare e cancia laria e gira e forma tempesta.
Quella notte stessa Ninuzza si pigghiò di nuovo il destino di sua madre. Tornò a essere Alimanni la carusa. E si portò dappresso a sua figghia anche. Lì dove la nicuzza era nata. In campagna. Che lo spazio cera e nessuno faceva domande.
Vincenzo non faticò assai a trovarle. Ninuzza per lunica vota della sua vita aveva usato lautista per raggiungere quel posto senza pensare a nientaltro che a stare lontano da quelluomo.
Lui anche se non ciaveva le prove selera immaginato subito il motivo di quella fuga. Non era sicuro però che lei avesse sentito e capito tutto. Fu per questo che allinizio da dietro alla porta tentò di convincerla e di farla parlare con le buone. Per sapere se aveva raggione nei suoi sospetti o se cera quacchecosaltro che lui non conosceva.
Ninuzza però stava muta e non ci dava conto. Stringeva tra le braccia a Carmela con le spalle appoggiate al legno e na sò testa priava.
Poi Vincenzo tentò di trasiri con la forza. Pigghiò a dare pugni allingresso. Accuminciò a fare voci macari. Malirissi a lei. Alla sua pazzia. Prima di decidere di andarsene ci gridò anche che si sarebbe ripreso a sua figghia. Ma era solo per fare tannicchia di scena. Per fare scumazza.
Lo sapeva anche lui che era megghio accussì. Chi celo faceva fare di dovere favori tanto importanti a certa gente. Chiccinnaveva di doversi crescere da solo una figghia.
Lui nel continente e Ninuzza nella campagna allora. Non era una cosa malvagia pinsau avere una mugghieri viva e vedova. Pecchè del resto Vincenzo non ci voleva avere più niente accheffare con una ca pareva che cerano nisciuti i senzi. Eppoi Roma oramai era vicina. O almeno questo lui credeva. Pecchè quella vota su iucanu per una ventina di voti e lo fecero stare a fare affari nella sua città che ci dissero che ci conveniva chiossai.
E Catania veramente stava diventando unaltra cosa. Tutti quelli che ciavevano due soddi accuminciano a fare i muratori. Ma soprattutto chi di soddi cenaveva assai capì che quello era il momento giusto per chiantarli e vederli crescere.
Fu accussì che spuntarono centinaia e centinaia di palazzine. Nel frattempo però sparirono giardini di frutta e pummaroru e il mare anche. Pareva che tutti lo volevano ammucciare a quello sfregio. Roba inutile che tanto non ci si poteva costruire di sopra. Ma tutto questo sembrava non interessare a nessuno pecchè anche se a quaccuno ogni tanto ci pigghiava la fantasia di dire che non si rispettava la legge tutto in poco tempo si aggiustava. Ma quale legge! Lo sapevano tutti e lo sanno ancora che la legge è una sola. Quella di chi ciavi munita e comanda e da travagghiu e sarricchisci.
Vincenzo ci mise impegno nel lavoro che ciavevano dato e senza perdere tanto tempo riuscì anche a diventare avvocato collaiuto di qualche amico prufissuri alluniversità. Che a farsi chiamare dottore cenerano tanti ma uno vero contava sempre chiossai.
Insomma la fulinia cresceva. E sallargava. E lui con le sue mani e la sua chiacchera si muoveva a meraviglia in queste cose e faceva e disfaceva e imparava a usare parole nuove che erano sempre giuste quando si trovava di fronte a qualche scassaminchia.
Aggiornare. Rielaborare. Riconsiderare. Ammodernare. Creare la Milano del sud.

23/10/07

"Io c'ero" di Anais

Sabato, 20 ottobre 2007, alla manifestazione organizzata da Rifondazione e dal Manifesto, Io c'ero.
Non ero in veste di manifestante, sono andata a fare foto, ma, riuscchiata da quel mare rosso, ho finito per ricordare ciò che avevo dimenticato..
L'emozione che ho provato ad esser lì è stata tanta, in primis era la mia prima esperienza in questa situazione come pseudoreporter. Sono andata sola, ci sono partita dall'Alessandrino perché volevo esserci. Fotografare questi eventi non è semplice, molte sono le foto facili e, come dire, dovute ma anche volute per le persone e i cordoni del corteo che ci tengono a far vedere la propria presenza, il proprio slogan, la proria sezione. Più difficile invece, in quel contesto vivo e frenetico, cogliere l'attimo, cogliere l'espressione vera, catturare l'idea che quel manifesto l'ha creato, il pensiero e il lavoro nascosti nel cuore di chi sui quegli striscioni non ci ha passato una notte o una settimana, ma ci ha combattuto una vita.
Ricreare l'impeto, fotografare l'ideologia, la voglia, l'incazzatura, la delusione, rincorrere la speranza e fissarla in un sorriso o in un vecchio e rugoso pugno alzato.
Impressionare la Politica, quello è stato difficile.
E perché, a stare lì, ero emozionata. Ero io.
Ho visto sui carri ballare e baciarsi giovani adolescenti, quelli delle occupazioni, delle versioni di latino e greco, delle magliette di Che Guevara e dei Nirvana e ho rivisto una vecchia me e li ho invidiati un pò, nella loro stravagnaza e inconsapevolezza di un futuro per cui combattono ma che, tutto sommato, è ancora lontano. Ho rivisto la mia adolescenza e ho rivisto da dove vengo e, soprattutto, come sono arrivata ad essere lì, con quello spirito.
Il mio approccio alla politica è arrivato a tempo debito, con l'iscrizione ad una scuola, pubblica, nettamente di sinistra. Prima dei 14 anni non sapevo nulla, ricordo ancora quando in prima media passeggiavo per lo struscio del Corso con una delle mie più care amiche e le chiesi: cosa vuol dire che sei di destra? E lei mi disse: che sono fascista ed io, chissà come mai, le risposi: ma che razza di bastarda!
Nei primi anni, se non vuoi esser troppo emarginata, diciamo che in certi giri ti ci trovi. Ma, nonostante sembrassi out se non portassi tuta adidas, felpa con cappuccio e koefia, mi son abituata presto a sentirmi di sinistra dentro, non fuori. A tuttoggi so che, il più delle volte, vengo scambiata per una ragazza di destra da chi ancora giudica l'essere politico sull'abbigliamento. Per intendersi avere un cappotto da 50 euro può sembrare di destra, averne uno vintage strappato da 180 fa molto sinistra.
Ho iniziato presto ad isolarmi da queste associazioni e tuttora continuo. Per combattere le accuse, ho iniziato a studiare. Ho iniziato a sentirmi viva grazie ad una professoressa che mi ha fatto conoscere Marx e scordare Dio. Ho accettato le conseguenze intime di una catechesi inculcata ma mai digerita. Ho eliminato il peso del Paradiso che mai potrei conquistare abbracciando la certezza del limite della materia e del mio corpo. Ho pianto la mia disperazione senza sapere a chi appellarmi, senza drograrmi di un oppio più dolce, ma tirandomi sempre su le mie maniche. Ho frequentato i collettivi marxisti-leninsti. Ho scelto sociologia e ho continuato a studiare Marx e sulle teorie dello strutturalismo sociale mi sono quasi commossa. Ho fatto le mie occupazioni prendendomi la responsabilità di studiare e fare i compiti al mio rientro a casa. Non ho mai fatto sciopero anzi, ricordo un'interrogazione di greco proprio per esser entrata. Son passata da Krumira solo perché, a 17 anni, non mi sentivo in diritto di scioperare con i sindacati ed obbedivo a mio padre. Ho superato gli attacchi dei miei compagni di classe perché, alla famosa amica fascista figlia di un importante senatore continuavo a volere bene. Ho trovato i miei modi di essere di sinistra nel sacrificare il mio tempo per gli altri, e lo faccio da quasi 10 anni. Ho trovato il mio modo di essere di sinistra in una famiglia con una sorella che ha studiato e mi ha fatto leggere testi sacri, con un padre che fatica ad arrivare a fine mese ed è cresciuto orfano nella San Lorenzo più cattiva senza fare il 68 e che mi ha schiaffeggiato quando il padre della famosa fascista le impedì di venire con me a vedere Schindler's list. Ho imparato ad esserlo con una madre cristiana prima, democristiana poi, democratica adesso, sena mai permettermi di entrare nelle sue scelte. Ho imparato ad esserlo in mezzo a colleghi anziani, in mezzo agli anziani che andavo ad accudire e le manifestazioni vere le facevano con le spranghe perché morivano di fame.
Ho imparato ad essere di sinistra tra gli autonomi operari, a capire quello che c'era di giusto e quello di sbagliato tra le parole di mio fratello Giuliano e i suoi anni da Majana. Ho imparato a stare a Via dei Volsci, ma a stare al mio posto. Ho messo la mia sciarpa dello scudetto sulla tomba di Carlo Giuliani. Sono affascinata dalle brigate rosse e dal delirio che li ha mossi.
Ho imparato che non è una questione di politica, ma è una questione di vita, che spesso tocca lo stile, dalla scelta di un film a quella del matrimonio, ed è questo che non mi fa amare una persona di destra, non una tessera di partito. Eppure ieri ho avuto il coraggio di vedere l'ultimo di Loach con un ragazzo di destra, ci discuto,sempre, ci si scontra, su tutto ma è pur sempre una persona che, nelle nostre diversità, stimo. Ho imparato ada andare alle manifestazione da grande, quando sapevo per cosa si doveva urlare. Ho appesa la foto di Piazzale Loreto nel mio armadio e ho fatto volantinaggio sotto la pioggia, anche se ho una borsa firmata. Ho applicato la mia scala di grigi ad una politica rossa.
Non ho mai saltato un'elezione da quando posso votare e mai lo farò perché è nei miei diritti e doveri.
Mi sono commossa a vedere un anziano col pugno alzato da mezzora per farsi fotografare, ad 80 anni, ancora in marcia.
Continuo a rileggere il manifesto, continuo a sperare che il comunismo possa essere un modello e non una didattura. A Berlino mi sono commossa tra le strade di una città meravigliosa e ancora divisa in due nel modello di come un uomo possa deviare un'idea.
Ho saltato le votazioni del PD perché all'unità della sinistra non ci credo né voglio credere. Credo alle mie molteplici idee, al mio essere di sinistra e compagna, al mio essere uno nessuno e centomila e al rivendicare la valenza delle mille correnti che quel giorno erano lì.
Credo che chi nasce tondo non diverrà mai quadrato, che la varietà vada esaltata non compressa e se questo vuol dire stare nell'opposizione, far parte dei perdenti, lo rivendicherò per sempre. Credo di preferire la piazza alla poltrona perché finché ci sarà piazza arriverà, prima o poi, qualcuno che questa piazza la ascolerà e su quella poltrona saprà che deve fare. Io ci credo ancora. Ho sentito di preferire essere lì, vera, che essere a Montecitorio, finta e tradita.
Penso che persone come me non cambieranno mai le cose, ma confido che prima o poi qualcuno mi darà la voglia, ancora, di poterci provare.
Faccio parte di una piccola schiera di persone che, guardando Rocky, sotto sotto, sperava che fosse Ivan Drago a vincere quel combattimento.
E in questa minoranza io credo, e questa minoranza l'ho vista, sabato, in qualche sguardo, vero.
Perché è questa minoranza che, sabato, mi ha messo una bandiera al collo che avevo dismesso e, nonostante il freddo che faceva, ho iniziato a sudare.

Fonte testo: http://anaisanais.splinder.com/

22/10/07

Flipper

Proviamo a giocare a lottare sul letto sudati bendati dai nostri domani e m'appare sincero il lento sfiorare il tuo seno un segno casuale che serve a spezzare quel parlottare d'amore di latte di figli ma dopo ti spogli mi spogli lontani da ieri dalle foto sbiadite dalle tranquille rispettose vite i corpi e la pelle e le rughe e l'odore sui peli che la lingua percorre nel suo caldo tragitto e sconfitto è soltanto il ricordo mentre muto ti mordo mentre nuda mi cerchi.


La Fortezza

Chiederei di te.
In un soffio a ricordare una vita
di sale e di olio che unge le dita
le labbra che bagna quel pane
già caldo quel pane che scotta.
Una vita che perde i confini del
gruppo che gioca che ruba che
spreme dagli acri limoni dai
mossi abbandoni. Gli stessi del
mare e girovagare tra oggi e
domani nelle tue mani o nel
viso che rosso risale a cercare
il nostro in silenzio riamare.
Parlerei di me.


5 Settembre 2000

21/10/07

Petites Madeleines


Prima ca ci facevano i fimmi di futtiri cerano stati tutti i combattimenti di Bruslì e Franco e Cicco macari che però non mi piacevano assai pecchè preferivo già i minni della Fenecc.
Fuori dallentrata a volte cerano tanti picciriddi che ciavevano i legni con le catene e chi non se li poteva comprare si futteva la catenella del cesso alla scuola e sarrangiava a combattere che tantu nuddu li sapeva usare.
Di fronte al cinema cera il biliardo.
Addire la verità cenerano due di biliardi. Uno per i professionisti ca ci mittevano la lira nelle partite e arrivavano tutti con la stecca personale da montare. E uno che invece non cera nessuno che controllava i puttusa nel tappeto. Quello era il mio. E degli altri carusiddi.
Nella stessa vanedda ci stava macari una putia. Ogni tanto ci scappava quacche bicchiere di zibibbo che a noi a quei tempi ci pareva che ci scippava la testa di quantera forte e vineva vogghia di parrari e cantari e futtiri macari che per quello cera sempre "a napoletana" ca chiureva un occhio se acchianavi al primo piano senza documenti che tanto tutto era controllato e prima che arrivavano gli sbirri a fare lispezione il palazzo era deserto. Qualcuno che conosco ci fici la scuola ni du postu e si pigghiau macari qualche ricordo personale di quelle fottute.
Svoltato langolo cera il barbiere.
Du seggi a molla e un cavadduzzu per i nicuzzi. Cetto me la ricordo ancora quella stanza ma di più però il ciauro delle immaginette che ci dava ai clienti più fedeli. O a quelli che crescevano. Quannu vinni il mio turno piddù rialu addivintai tuttu russu e mattisau la minchia. Allora scinnii veloce dalla poltrona e scappai a casa.
Non lo sapevo ancora che non è peccato.

20/10/07

Il ballo delle streghe (Ingorda)

Ride. Come fosse mattina di nebbia sul bus, girandola nitrica. Ride. Mi narra di un furto, e di truffe allo stato. Il suo corpo sfiora il bisogno, il rancore. Non ho occhi per riuscire a guardarla, non ho mani. Stringo i pensieri sull'acciottolato delle labbra. Sulla lingua indiscreta. Con forza. Un ultimo slancio, dunque. A liberarmi da questo secreto. Da lei, tugurio e prigione. Halloween. Halloween s'avvicina, le dico. Già mi vesto.

19/10/07

Del trasferirsi della morte


Il tuo viso spaventato, e quelle analisi. Lì, in quella carpetta lucente.
"Aiutami. Ti prego, aiutami" piangevi.
Tre mesi. Solo tre mesi. Prima che il corpo iniziasse a ribellarsi, prima che il caso accompagnasse i tuoi gesti. Io continuavo ad udire la tua voce. Il dolore. Imparai il sapore delle lacrime.
"Lo farò io amore, lo farò io" ti dissi.

Quando mi chiamarono era notte. Tu dormivi ancora al mio ritorno.

Avrei potuto confessarti quello scambio. Raccontarti, ridendo, del primario. Rabbuiato. Nervoso. Unico colpevole in quella stanza. Rivelarti i suoi pensieri.
"Dimenticare l'inesattezza, l'incidente." "Non far scoppiare inutili pubblicità".
Avrei potuto confidarti le mie angosce. Parlarti del trasferirsi della morte.
Del suo volto, anche, del suo corpo.
"Lo farò io amore, lo farò io" solo questo ripetei al tuo risveglio.

Quando ti portarono via era notte. Lei dormiva ancora al mio ritorno.

18/10/07

Tapallara - 7 -

Cè una cosa importanti che mi scordai di dire.
La famigghia di Vincenzo già a quel tempo ciaveva un piccolo giardino vicino alla città. Tutto chino di limoni e di ficu e di ceusa. Di ciauru e di friscu.
Nel mezzo di questa campagna cera una casa di quattro stanze. La cucina. Il soggiorno. Un cesso messo a nuovo. La camera da letto. Anzi a essere precisi di questultima stanza già vi avevo parlato. Ma in certe occasioni non serve dire altro.
Insomma. No sacciu se vinteressa anche questa informazione ma forse prima quella era come a una piccola massiria e serviva a metterci tutti gli attrezzi per travagghiare la terra e la frutta che si cugghieva anche. Ma ora lavevano aggiustata così bene che pareva quasi come a una reggia. Sempri frisca e asciutta. Estati e inverno.
Fu lì che Ninuzza partorì. Una fimmina. A continuare la stirpe.
I dottori ciavevano detto che ancora mancavano due mesi alla nascita e perciò non cera nessuno quella sera a farle compagnia anche pecchè tutto pareva tranquillo e lei poi sera intestardita che voleva stare sola. Vincenzo era già da una settimana a Palermo a fare un congresso e Ninuzza si sentiva ogni giorno sempre più triste per questa mancanza e con strani presentimenti nel cuore.
Ma lassamu stari queste cose. La nicuzza nasciu dicevo.
Tutta rosa saffacciò in mezzo alle cosce della madre quasi ammucciuni. Senza farla soffrire troppo. Lei fino a quel momento aveva visto partorire solo a Merilin. La cagnuledda che furiava sempre incinta frisca nel suo quartiere. Ma fu come se sapesse lo stesso. Di quello che succedeva e di che cosa doveva fare. E così tutto andò bene.
Cerano le stelle e un silenzio cicalato quella notte e Ninuzza se la stringeva al petto quella sua creatura e ci cantava e si sentiva felice e triste e di nuovo felice e di nuovo triste. Pensava che sua figghia avesse diritto a avere gioia a questo mondo e nel mentre continuava a tenerla in mezzo alle sue minne quella carne. Cantando e stringendo. Baciandola e piangendo. Fino a quando ci finiu la voce. Fino a quando vide la nicuzza dormire tranquilla e anche la notte passò e spunto unaltro giorno e unaltro sole.

16/10/07

15/10/07

14/10/07

Il Cavaliere Arcidiacono

Arcidiacono conosce a Bellusconi.
Me la detto quando è venuto da me pecchè ci aveva suo figlio da votare che è un bravo ragazzo. Lui ma ricordato che io lo conoscevo da quando pisciava nel letto a du carusiddu e che sacchianava mi poteva aiutare.
Io al cavaliere Arcidiacono lo ascoltato sempre pecchè quando cera a democrazia maiutao tutte le volte che ciandavo a casa sua per parlarci e mi fece travagghiare pure a me e a quaccuno della mia famigghia.
Poi per un poco di tempo non sera capito più niente. Uno non sapeva più a chi doveva chiedere per un favore e accussì manco ti prendevano macari ca uno ciaveva la volontà. Io questa cosa non la sopportavo proprio pecchè a me che mene fotte se si mangiavano i soddi?
Io travagghiavo e potevo guardare in faccia a tutta a me famigghia e a quei cuttigghiari del palazzo.
Ce le dissi quella volta queste cose a Arcidiacono e lui già li sapeva.
Mi disse di non preoccuparimi che tutto si sarebbe sistemato e poi mi diede cento euri così me lo ricordavo meglio il nome di suo figlio e non mi scordavo di nesciri da casa alla domenica.

Fonte immagine: http://lubna.altervista.org

13/10/07

Tapallara - 6 -

Si maritanu che era primavera. Il suo patrigno era morto due mesi prima ma non cera stata vogghia di rispettare il lutto e così ci fecero il cunsolo il giorno dopo e poi tutto quello che era stato di quelluomo finì sotto alla terra. Mancu soddi lasciò Don Iano pecchè negli ultimi anni aveva ricominciato a mangiarisi tutto a divertimenti e puttusa ipotecando e vendendo quasi ogni cosa di quello che aveva.

Ninuzza con una mano sulla panza unchiata e laltra sotto il braccio di suo marito guardava drittodritto il fotografo e non pareva poi così felice nella foto che aveva conservato anche se la sua creatura doveva nascere presto e per prete ciavevano avuto il viscovo in persona.
Tutti gli altri invitati ceccavano di sistemarisi in posa e quaccuna ci diceva ai suoi figghi di stare fermi. Quaccunaltro saggiustava locchiali. Qualche fimmina schietta sallisciava la gonna.
Solo sua madre sembrava taliarla rittaritta. Era lontana da lei nella foto. Un gradino sotto a Ninuzza. A destra. Nel mezzo cera qualche cliente fidato della famigghia dello sposo. Di quelli che fa prestigio e sustanza averli come ospiti.
Forse non era stato Vincenzo a metterla lì. Forse era stata una decisione del fotografo. Per il suo vestito a lutto o pecchè non la conosceva bene o non sapeva chi era. Oppure ancora era Mena stessa che si stava abituando a stare in quel modo. In disparte. Del resto oramai il suo dovere laveva fatto e non sivvevano altre sceneggiate al mondo per stare in pace.
Ma nonostante questo proprio lei pareva lunica cosa sincera e felice dentro a quei pochi cartoncini a due colori che Antonia aveva tenuto con se. Gente morta e gente viva. Tutti bianchi e neri. Neri e bianchi.

Vincenzo aveva dovuto fare il masculo per sposare a quella picciotta. Tutti lamici lavevano sconsigliato che la famigghia di lei era quello che era e che forse la carusa era una bastarda e che una disposta a farsi unchiare la panza non è una fimmina seria. Anche a sò casa cerano state discussioni e fino allultimo la sua famigghia sera rifiutata di nesciri una lira per quel matrimonio disgraziato. Ma a lui non cinteressavano queste chiacchere. Certo forse ciavevano ragione per quacche cosa. Ninuzza non parrava bene litaliano. Ciaveva amicizie di due lire. Non si sapeva vestiri. Però era una cosa viva e le cose vive cè sempre tempo per aggiustarle e poi si vedeva anche che lo voleva bene veramente. Non come a quelle quattro strafallarie che gli volevano fare sposare. Le conosceva a tutte lui. Una per una. Che quanderano a casa o dentro la chiesa ubbidivano alle famigghie e priavano il Signore ma che poi appena ciavevano il ciato libero e la compagnia giusta sammucciavano dentro le vanedde. O scuru. E facevano certi lavori con le mani e con la funcia a farici nesciri u sucu che un masculo serio dopo quasiquasi non ce la faceva più a camminare. Tutte sante e vergini erano. Fino a quando non si sapeva nenti e si campava tranquilli.
A Ninuzza invece lui laveva convinta a picca a picca. Con la mano ferma. Certo. Ma anche con laffetto. E lei non ne faceva cose di cui vergognarsi come a quelle. Cera anche dispiaciuto la prima vota a vederla piangere dopo che aveva finito. Lo sapeva che laveva fatto solo per lui e che quellangelo ciaveva sofferto per quel sacrificio. Non era riuscito a dirci niente di questo quella vota ma nella sua testa aveva preso la decisione di sposarsela. E poi ora cera quel figghio che stava arrivando e la sua carriera anche che lo stava facendo diventare uno importante davvero.
Perchè lui quando nella Sicilia le acque serano calmate sera abbiato nella politica che celaveva consigliato un suo amico parrino. Questultimo laveva anche presentato alla gente giusta e Vincenzo non cera stato assai a capire che quellambiente ci piaceva. Sembrava come se fosse nato con questo dono. Tutto ciarrinisceva facilefacile e in pochi mesi era riuscito a farisi sentiri dentro al partito che già ciavevano promesso un posto di assessore alle prossime elezioni.

11/10/07

Bacco


Fra freisa e fresie
m'attardo. Poi
frango il vermiglio
di sangue frammisto.
Compio.

20 Marzo 2000

Fonte immagine: Velazquez, Venere allo specchio, Londra National Gallery


09/10/07

[Come Eravamo] Aprile 1982

"Guarda! Che ne pensi? Leggi!"
Nello non sembrava sentirmi, prese distrattamente il foglio che gli avevo passato poi, guardando fuori dalla finestra, lo appallottolò per tentare un clamoroso centro dalla ragguardevole distanza di tre metri dal cestino.
"Che cazzo fai?" urlai. Era un intero pomeriggio che tentavo di scrivere quel volantino.
“Ho bisogno di uscire” rispose.
Nora, circondata dalle compagne, continuava a parlare di cose che non capivo.

Camera Dei Deputati (seduta del venerdì 23 aprile 1982)
"È iscritto a parlare l'onorevole Catalano. Ne ha facoltà."
"[...]L'obiettivo dei nostri ordini del giorno è di condizionare nel merito la spesa militare, sottolineando innanzitutto che non una lira deve essere spesa per armi nucleari, batteriologiche o chimiche o per infrastrutture destinate ad ospitare in qualsiasi modo queste armi. Questo è
l'impegno del movimento per la pace, l'impegno preso dalle 500 mila persone che hanno manifestato il 24 ottobre 1981 a Roma, ed anche successivamente con la manifestazione di Comiso del 4 aprile scorso."
"E' stato incredibile! Ad un certo punto dal palco hanno detto che anche noi eravamo arrivati, solo che qualcuno ha storpiato il nome! Boggilori, così ci hanno chiamato, capisci? Boggilori, quelli del Collettivo Studentesco del liceo Boggilori di Catania hanno detto, e noi lì tutti contenti che però volevamo salire e dirglielo a quelli del palco che si erano sbagliati"
L'erba era di quelle buone, lentamente arrivava a svolgere il suo lavoro, il suo compito. Nora giocava con la chitarra mentre Umberto le raccontava tutto stringendola alle spalle.
Io e Nello ridacchiavamo guardando le foto in bianco e nero della manifestazione.
Un vento terribile spingeva contro il nostro striscione. Rosso e senza parole, che lì, a Comiso, bastava solo esserci.

Radio uno (26 Aprile 1982) Battiato "Gli uccelli"
“Volano, gli uccelli volano nello spazio tra le nuvole, con le regole assegnate a questa parte di universo, al nostro sistema solare. Aprono le ali, scendono in picchiata e atterrano meglio di aeroplani, cambiano le prospettive al mondo. Voli imprevedibili ed ascese velocissime, traiettorie impercettibili: codici di geometria esistenziale. Migrano, gli uccelli migrano con il cambio di stagione. Giochi di aperture alari che nascondono segreti di questo sistema solare. Aprono le ali,
scendono in picchiata e atterrano meglio di aeroplani, cambiano le prospettive al mondo. Voli imprevedibili ed ascese velocissime, traiettorie impercettibili: codici di geometria esistenziale. Volano, gli uccelli volano nello spazio tra le nuvole, con le regole assegnate a questa parte di universo, al nostro sistema solare.”
"Guardate che questo non è un posto sicuro"
Le bombolette erano già pronte, ma a due passi dalla centrale dei carabinieri scrivere su quel muro un gigantesco "No alle basi" era proprio una gran cazzata. Rimasi a controllare mentre Umberto iniziava, Nello continuava ad agitare la seconda bomboletta per quella che era ormai la sua firma, un pugno chiuso con una chiave inglese. Una maestria degna del miglior Giotto.
Me li trovai alle spalle, riuscii solo a vedere il No che gocciolava e le bombolette a terra, poi vi fu solo la macchina, con Umberto, e il maresciallo.

Vincenzo Vasile (sull'Unità)

“Violo dopo tanti anni il vecchio comandamento del cronista: non apparire. Per dire che qualche ora dopo ci sarei stato anch’io su quella macchina. La Fiat 131 che vidi sforacchiata e zuppa di sangue alle 9,30 del 30 aprile 1982 in piazza generale Turba, a Palermo. La gamba di Pio penzolava dal finestrino, e pensai: almeno li ha presi a calci. E Rosario alla guida sembrava dormisse a bocca aperta, il capo sul poggiatesta e un buco rosso.[...] “
La mattina è ancora un po' fredda. Prima della scuola e dopo la lunga nottata passata a dialogare con i caramba mi fermo per un involtino ripieno di crema. Scotta. Da lontano i giornali sembrano riportare un'unica notizia. Pago alla cassa poi attraverso la strada e mi avvicino per leggere meglio.
"Ucciso il dirigente comunista Pio La Torre e l'autista Rosario Di Salvo"
La crema densa scivola sulla mia mano e cade a terra con uno strano rumore. Mi ritrovo a correre verso la scuola. Ecco qui a destra, ci siamo quasi. Poi mi blocco.
Sul muro, dove ieri ci hanno fermato, una scritta, enorme: "Nora ti amo"

08/10/07

Tapallara - 5 -

Erano già quasi usciti. Vincenzo pigghiò le chiavi per chiudere la porta ma poi saccorse che nella stanza doverano stati era rimasta addumata la cannila.
Rientrò veloceveloce e lastutò tra le dita.

Un paio di ore prima tenendola per mano aveva guidato Ninuzza in mezzo allombre dell'ingresso e solo quando erano arrivati davanti a quellultima porta aveva tirato fuori dalla tasca della giacca per addumarlo quel pezzo di cira che sera portato da casa. Erano entrati così in camera da letto. Come in una processione. Poi lui aveva posato il lumino e i pospira sopra al comò e aveva iniziato a baciarla.

La sua faccia era russa come quella del diavolo ma le sue dita erano fredde a sentirle dentro le mutanne di tila. A Ninuzza ci scappò una risata muta quando Vincenzo iniziò a trafficare con i ganci del reggipetto che pareva un carusittu della chiesa. Uno di quelli che non lanno conosciuta e tuccata mai una fimmina vera.
Ummuttau sopra il letto e astutò quella fiamma traditrice. Poi voltandosi cominciò a spugghiarisi lentalenta.
Quel giorno sava misu una camicetta tutta ianca con gli sbuffi nel collo e una gonnellina blu rittaritta che celaveva regalata una vicina di casa.
Cera rimasta male per questo quando serano incontrati. Lui non ciaveva fatto nemmeno un complimento. Come se lei non ciavesse studiato tanto prima di scegliere e mittirisi quelle cose.
Voleva sembrare bella. Farlo sentire orgoglioso. E invece...
Aveva comunque fatto finta di niente per quella scortesia e laveva seguito come se non ciavesse avuto importanza. Ora però voleva stare solo attenta a posarli bene quei vestiti. Poteva sempre capitare che quacche conoscente virennula nella strada si fissassi a taliari una piega di troppo della sua gonna per poi cuntari cose strane in giro oppure che nella foga Vincenzo strappasse quacche cosa.
Ma la causa più vera di quello scuro era che Ninuzza saffruntava di livarisi tutto davanti a lui. Di ristari a nura davanti a un masculo. Quando finì però si rese conto che locchi oramai serano abituati addù niuru e vutannusi saccorse anche che a Vincenzo non cera dispiaciuto assai di taliare. Anzi. Tutto a nura e senza cummigghiarisi dove cera bisogno pareva un signore messo comodo in prima fila a teatro.
Tirò un sospiro la palummedda. Oramai non poteva più tornare indietro. Era tardi. E non voleva correre il rischio darritirarisi di nuovo a casa con la faccia russa che quando cera capitato dopo che erano andati al cinema ciaveva dovuto raccontare minchiate supra a minchiate a suo madre. Per non metterla in agitazione. Per continuare a nesciri.
Senza parlare addumau di nuovo la cannila e poi si sdraiò vicino a iddu aspettando con locchi chiusi.
Laveva sempre immaginato quel momento e anche se laveva visto fare allanimali quella cosa e aveva sentito le voci e i sospiri dei cristiani quando si cuccavano la notte e conosceva bene le puccarie che voleva farci fare il vecchio ancora non lo sapeva veramente quello che succedeva nellamore. Quello vero intendo. Pensava a baci e carizzi. A giochi e parole. Vincenzo invece pareva addivintato muto. Con una mano ci fece aprire le cosce e poi ciacchianau di sopra. Non è che Ninuzza sentì dolore assai. No chistu no. Anzi forse nemmeno ci dispiaciu. Ma quando iddu si levò che aveva finito lei era come se non ciaveva più parole per lui. E continuò.

07/10/07

Istituto Case Popolari

Stamattina è arrivata una dellistituto delle case e accuminciau a suonare a tutti i campanelli:
"Buongiorno. Sono Amanda Accaria dell'Istituto Case Popolari, potrebbe essere così gentile da scendere? Cosa? Sì! Debbo presentare a tutti i condomini del palazzo alcune importanti comunicazioni dell'Ente"
Non è che tutti i capenu quelle parole però nel giro di mezzora ci fu una confusione come quando siamo scappati per il terremoto. E cera cu bestemmiava. Cu si visteva nelle scale. Cu napprofittava per lamentarisi dellascensore. Cu ci tuccava u culu a Margherita.
Era una settimana che quelli dellistituto telefonavano per annunciare la visita dellincaricato e accussì eravamo tutti tannicchia curiosi.
Quando accuminciao a parlare si fece silenzio però bastanu due parole per fare volare subito tappine e sigarette addumate. Una era spese e laltra aumento.
La signora sembrava che selaspettava. Forse anche se era nuova qualcuno allistituto ciaveva avuto pietà e laveva avvettita. Sammucciò di corsa dietro alle spalle del Cavaliere che era vicino a lei ma quando spuntò fuori da quel rifugio non cera più nessuno a sentirla tranne a me e a Arcidiacono.
Non disse nenti. Mancu salutau.
Tutta russa nisciu dal portone e menumali che la macchina laveva messa a due metri da lì pecchè allimprovviso ci arrivò tutta la munnizza dai balconi che i cani ancora stanno festeggiando e lei puliziando il parabrezza.

Fonte immagine: http://lubna.altervista.org

06/10/07

05/10/07

gioco in b


Mi alzai una mattina e non esisteva più la seconda lettera, la prima consonante, insomma quell'utilità che mi permetteva di riconoscere il luogo della mia prima sosta mattutina appena uscito da casa. Sparito. Tutto ciò che la conteneva si era dissolto come neve. Persi improvvisamente un tot d'amici e conoscenti, parti varie del corpo, la mia asciugasete preferita, il compagno fedele della mia marmellata d'arance.
Che cosa fare? A chi chiedere?
Ripassai mentalmente le primarie necessità: mangiare, scopare, vivere. Quasi tutto funzionava. Avrei potuto assumere acqua dagli alimenti iniettati in vena dalla giugulare, praticare sesso pur senza importanti "varianti", sopravvivere su una confortevole sedia a rotelle.
Telefonai euforico a tutti i segnali orari del mondo, più nulla da pagare pensai, poi crollai in un sonno profondo. Mai più, mai più avrei avuto quei terrificanti sogni che da giorni parevano perseguitarmi.

03/10/07

Prossemica


Continui a parlar d’altro
ché questo è ciò che ci slega
ma stringi le dita
a catena
e ti accorgi
e riprendi del nulla a narrare
che passi l’attesa
il momento
la cenere fredda
dello stupore

30 Marzo 2001

02/10/07

Tapallara - 4 -

La strada niura di lava e fatica scottava sotto i calcagni. Non ci voleva assai per arrivare allangolo della strada e lacqua ca nisceva dalla fontana era frisca e sapurusa quasi come il ciauru dei gelsomini.
"Ninuzza chiffai mu runi un vasuni?"
Ciaveva tre denti doro Alfio il cestaro. E una moglie. E cinque figghi. Ma "u pacchiu e duci" ci diceva allamici e rideva. E "a parrari non si fanno puttusa" aggiungeva. Già loro nel frattempo serano tutti lanciati a babbiare di corna e di futtuti.
Ogni matina però quella fimminedda ci canciava il cuore. Le cose che ci diceva a idda ci nascevano nella testa senza malizia. Come quando taliava un suo travagghio ben fatto e ci veniva vogghia di tenerselo per se e di accarezzallo e di dire grazie a Dio e a tutti i Santi per quella gioia. Ninuzza queste cose non le poteva sapere tutte ma capiva lo stesso e arrireva a quellimpertinente e ci passava di nascosto sopra con locchi a quelle dita di seta come se non avessero padrona. Certo sua madre ci ripeteva che "su talii la strada non sbagghi traversa" macchì ci poteva fare lei se ogni tanto inciampava e poi quel giorno cerano un paio di causi di signore vicino a Alfio. E scarpe lucidate. E una cammisa bianca. E mani pulite. E occhi sopra i suoi occhi. E lamore.
"No. No. Non vogghiu. Non mi piaciunu sti iochi".
Era la prima vota che si vedevano ammucciuni.
Laveva portata al cinema che facevano "Due soldi di speranza" e lei pensava che quellattore... come si chiamava? Musolino! Era proprio un belluomo quello. E poi si chiamava come al suo zito. Vincenzo. Di diverso cera che quello nel filmi non ciaveva le mani lunghe come al suo. E mancu gli stessi soddi. Che la famigghia del suo zito savamisu a fare il mercato con la guerra e ora ciavevano negozi e campagne che potevano scegliere loro che cosa mangiare e quando travagghiari.

La mamma sua invece non lo sapeva che lei era al cinema.
"Sugnu a casa di Agata checciaiutu a fare le pulizie" ciaveva detto.
Ma Agata era unamica e ci faceva il cummogghio. Era stata lei a pristarici un vestito bellissimo tutto scampanato con i quadretti bianchi e neri che se non stava attenta a muoversi si vedevano le minne pecchè le sue erano grosse e non ci stavano tutte dentro come a quelle dellaltra.
Ninuzza però ora nello scuro della sala si sinteva più tranquilla.
Di sicuro nessuno che la conosceva laveva vista. Il cinema era lontano dal centro e non ciandava molta gente a quellora. Ciaveva pensato tanto prima dincontrarlo a questo rischio e anche al fatto che non sapeva come si sarebbe comportato du masculu appena si fossero astutate le luci.
Le cose in pochi giorni erano andate avanti velociveloci. Vincenzo sera presentato la mattina dopo che serano visti la prima vota e lei ciaveva sorriso e ciaveva parlato. Lui era uno abituato a farisi rispettare e lei non cera riuscita a dirci di no quando dopo una settimana lui ciaveva detto:
"Domani andiamo al cinema".
Ci piaceva quando Vincenzo parlava in italiano come i signori e si vireva che era uno importante pecchè aveva fatto le scuole che era maestro e lo venivano a trovare dal continente per fare affari. Anche Alfio lo diceva a tutti di comera muntuato e preciso e simpatico quel suo cliente.
Le mani addosso però non li voleva. Ci pareva di essere una tapallara. Come se il suo patrigno ciavesse raggione quando quelle volte che arrinisceva a pigghiarla a solo le diceva piano naricchi:
"Si na buttana comu a to matri e tu giuru prima o poi macari tu ma suchi!".
No! Non era accussì! Lei era riuscita a non farceli fare mai i propri comodi addu poccu. Macari se lui per ripicca con la scusa di darici leducazione la prendeva sempre a pugni e cauci facendola chianciri tutti i ionna.

Lei non li voleva fare questi iochi. Lei sognava. E vireva principi e principesse e fiori e castelli.
Ma quando arrivò la prima manata del suo zito ci passò tutta questa poesia. E Vincenzo non era più Musolino. E lei non era più la stessa fimmina del filmi. E il cinema non era più il cinema.

01/10/07

Sui quaderni

Sui quaderni
geometriche farfalle
chiudevano fatiche.
Colorati fiocchi di neve
le accompagnavano, a volte,
in pianti ed incubi.
Lentamente s'arrivava alla festa,
cantando,
scrivendo e sperando
in regali.
Mai quelli giusti.
Il treno, i pedali, i cowboy, gli indiani
sfumavano in un rosso di lana
eppure bastava
serviva ai giochi più belli
che continuo a giocare.

13 Dicembre 1999
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