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30/09/07

Datalife


Se rinasco sarò velluto
altro che pietre e scarafaggi sui muri
e forse imparerò l'inglese
anche se non è mai stato importante.

Se rinasco avrò cinque angoli
per sognarti prima dei risvegli
e mi rifarò ancora
anche se non mi è mai piaciuto.

Se rinasco ti mozzerò braccia e gambe
saltellando sul bordo di un'amaca
e brucerò incenso a dei e ricordi
anche se non ci ho mai creduto.

9 Novembre 2002

29/09/07

Didascalica

A un certo punto putissimu riri ca finisci tuttu.
Na stu sirrari di cosce. Na stu vuoto
c'acchiana fino alla testa. Na sta luci
c'adduma locchi. Che fa tempesta.
C'è chi giura.
Come se l'amuri fussi sulu stu piscari.
E cu piscaturi e cu pisci
na stu mari.
No. No sacciu comu ci arrinesci a diri chistu l'altra gente.
Cetto. A un certo punto putissimu riri ca finisci tuttu
ma io e tu u sapemu ca non è accussì. Che no.
Non è veru nenti.

Tardo pomeriggio


Vorrei, al mio Dio, parlare a cazzo,
raccontargli qualcosa per cui rida,
non solo narrare la fatica
o lo stupido agitarsi, lo schiamazzo.

Vorrei, a questo Dio, dire del mondo,
per come io lo vedo (che lui l'ha fatto),
parlare del mio bello e del suo brutto
come vecchi, giù al molo, che stan giocando.

24 Settembre 2002

Fonte immagine: http://noodleoodle.com.au

28/09/07

Foto


Qui tutti sono senza volto. E' un'antica foto d'inizio '900, "Officina Fiat a Torino" recita la didascalia, peccato ci siano solo persone, e fanciulli davanti, fantasmi.

La seconda è del '17, "Corso Dante: reparto apparecchi elettrici", son tutte donne, alcune giovanissime, poche guardano verso la macchina... la nostra attenzione, invece, corre tra quelle forme, insegue dettagli: un medaglione sul collo; un sorriso paziente; forse qualcuna di loro è tra quelle che, in una foto del '23, eseguono lunghi conti su strane macchine, calcolatrici, diremmo oggi, ma dietro quelle dita scattanti, lì, in fondo, sagome nere, e due cravatte.

Del '35, invece, è una foto da soviet -Fiat lingotto, Reparto grandi presse- con il dio dentato in attesa di sacrifici e quel povero emulo dell'eroe staliniano.

"Operai! Uscendo di qui dimenticate quanto avete fatto, visto, e saputo. Chi parla, anche con i propri intimi, tradisce i fratelli che combattono per la Patria!"

All'O.s.r. si lavora di piccone, è il '57, se non sapessi che la foto ritrae uno spicchio di fabbrica penserei al carcere, ma l'Officina sussidiaria ricambi rimarrà sempre l'Officina Stella Rossa.

Tra le bandierine c'è la 600, "Torino: family Day", e bimbi, e signore, e volti sbarbati, il boom è vicino, ma, quasi venti anni dopo, altri ragazzi, in un'altra foto, ben più felici e sinceri: "Torino: figli di operai davanti al Lingotto, 1973".

L'ultima foto è di Melfi, ed ecco l'uomo scompare.



Le immagini sono presenti su: Liliana Lanzardo (a cura di), Storia fotografica della società italiana: dalla bottega artigiana alla fabbrica, Editori Riuniti.

27/09/07

Tapallara - 3 -

Passò il tempo e passò macari la faccia tunna collelmetto e la guerra dellamericani. Ora era arrivata la libettà. O almeno accussì dicevano.
Quaccuno a dire il vero non sera fatto incantare da sta badda e come se niente fosse aveva proseguito la sua vita. La maggiopparte della gente invece sera misa a sognare di terra e di giustizia come a quando era arrivato Garibbaddi. E aveva accuminciato a movirisi anche.
Pensavano che tutto poteva essere diverso.
Non lavevano considerato il fatto che per i puvirazzi le cose che succedono supra a questa terra pari ca si ripetono sempre i stissi. Senza guadagno.
"Dui su i putenti. Cu ciavi assai e cu non ciavi nenti". Accussì dice il proverbio e accussì ripetevano loro quando si incontravano. Ma come a centanni prima tanta gente prima di svigghiarisi senza mutanni si ritrovò in carcere o peggio ancora suttaterra. A comandare mancu a dirlo tornarono presto i panzi di canigghia. Le stesse facce di prima insomma. Che così fino ad ora è sempre successo.
Queste cose Ninuzza in quel momento non li sapeva e non sapeva nemmeno che poi un giorno a lei ci sarebbe piaciuto leggerla nei libri la vita che aveva fatto quandera nica anche se non tutto quello che cera scritto era come lei se lo ricordava. Forse pecchè è sempre stato ca è cu teni u vastuni che poi ti cunta la novena o forse pecchè alla fine tutta la vita è come la nostalgia dellemigrante e se pensi alla mela russa sopra allalbero capita che ti scordi del verme che se la mangiava. Comunque. Cangiamo discorso.
Quella carusidda era proprio bedda quando sinniieva a prendere lacqua alla fontana che già i primi occhi si furiavano e le mani incominciavano a farsi pesanti. Come quelle del suo patrigno che cercava ogni scusa pinfilaraccilli in mezzo alle cosce o quelle di sua madre che quando lei non ci rispondeva scangiava i pizzicuni che ci dava per carezze.

"Ninuzza. Ninuzza. Veniccà!"
"Chiccè papà?"
"Fatti viriri... sei fatta grande. Dimmi... cillai u zito?"
"Ma no papà. Macchidici"
"Megghiu accussì... veni. Avvicinati. Ti fazzu viriri una cosa. Avvicinati. U viri chistu? U sai acchì serve? Veni... tocca. Talia comu è cauru!"
"Ma..."
"Veni ti rissi! E isiti sta gonna... fatti viriri megghiu... Si fatta ranni oramai"
"No. No papà! Ma chiffai? Papà..."
"Finiscila. Non ti rissi nenti to o ma'? Non cinnè sangue mio ne to vini. Non sugnu capace dicono. Però tu si mia u stissu! Comu a idda! Comu a sta seggia! Comu a sta casa! Ti pari ca taia crisciutu per niente? Veni! Fatti tuccari!"
"No! Fermo! Fermo!"
"Non fari vuci! Non fari vuci e non ti fari sentiri ca ora ti fazzu una bella visita... comu u dutturi..."
"Lassami! Lassami!"
"Ahia! Bastarda! Sì. Sì. Scappa. Scappa. Tantu sempri cà ti trovo. Bastarda!"

Crisciu lo stesso la picciridda. Senza troppe puccarie. Bedda e pulita come un ciuri di campo. E sammucciava sempre quando era sola a casa pecchè cercava di evitarli quei guai con il patrigno e faceva la muta con sua madre pecchè sperava che lei non capisse. Non vedesse. Non sapesse niente di quelle cose.
Finì le scuole anche. A leggere e a scrivere ciarrinisceva oramai e non serviva altro a una fimmina onesta. Questo ci fece capire un giorno a scoppole quelluomo che Ninuzza nonostante tutto continuava a chiamare papà. Poi però ci fu un momento macari che tutti i cosi pigghianu culuri.

25/09/07

La guerra

Me dispiaciuto per il signor Amaddio.
Quando visti suo nipote celo detto che il nonno era una persona gentile e educata. Cetto anche lautista che selaveva messo sotto ciaveva avuto i suoi guai ma poi tutto sera risolto pecchè avevano visto che la colpa non era di quel mischino.
Amaddio con la storia dellinaugurazione sera caricato come uno scecco.
Per questo aveva perso lequilibrio mentre lautobussu pattiva che lautista sera mosso solo pecchè era già in ritardo e si voleva spicciare.
Cose cammattunu.
Me lo ricordo come fosse ora al vecchio. La vestaglia. Le scarpe di lana. Il berretto di pelo.
Quando entravo in casa sua cera un freddo che sembrava la siberia. E lui ogni volta me lo raccontava che cera stato in quel posto. Con leseccito. Nei tempi di quandera giovane che però tunnau vecchio.
"La stufa costa e il freddo tonifica il corpo."
Accussì mi diceva quando mi vedeva tremare.
Ma dinverno io alla sua casa ci trasevo solo se era veramente necessario.
A volte che ero lì di pomeriggio dopo il caffè lo vedevo che lui liberava il tavolo della cucina e accuminciava a metterci tutte le carte dei supermercati. Poi pigghiava gli occhiali più doppi per vedere bene e leggeva.
Prima di ritirarisi dalla scuola dove faceva il bidello sera preso una bella cartina gigante della città e sera sistemato la stanza per attaccarla al muro.
Ciaveva disegnato i percorsi dellautobussu che quando li cambiavano cera da consumare una gomma intera. Ciaveva scritto i nomi di tutti i supermeccati. E vicino al muro ciaveva messo anche una vaschetta dove teneva tante bandierine colorate.
Rossa per le buatte di pomodoro. Bianca per la pasta. Verde per la frutta e la verdura e griggia per la carne. Cenera pure una tutta dorata per laquisti speciali. Era novanova.
Sarà che fine hanno fatto tutte queste cose.


Fonte immagine: http://lubna.altervista.org

festina lente



Il neon, alla finestra dei vicini, indicò il mattino.

Ciò che più non ci apparteneva si era liquefatto nell'irrealtà del nostro aggrapparci, sulle tue piccole mammelle, tra le mie mani, nella guazza d'insanguinate bucce.

"Circonderemo di nenie il tramonto per non più sorridere al dispento?".
"E tu saprai odiarmi? Diverranno brandelli d'arcobaleno le tue ferite?".

Fu allora che la porta apparve intristita cornice. E io l'attraversai, e tu mi precedesti. Nessun rumore.

In noi la pioggia.



Fonte immagine: Edward Hopper, Summer Interior

24/09/07

Tapallara - 2 -

"Non cantu l'armi; li lassamu stari
in manu di li vappi e spataccini.
Li fimmini, li masculi, l'amuri,
li purcarii, l'audaci imprisi iu cantu."

Così cera scritto in un quadro allingresso della sua casa con la firma di Micio Tempio a fianco e sotto a una figura di un masculo e di una fimmina che cera poco da immaginare quello che stavano facendo.
Ma in fondo non era una mala persona Don Iano.
Quando era stato giovane prima di trasferirsi nella città sera sposato con una bedda carusidda della sua strada che lui però già allora superava la trentina mentre lei pareva sua figghia tanto era ancora un bocciolo. Tutti erano rimasti contenti di quel matrimonio. Le famigghie erano ricche e muntuate e dentro il paese uno per bene non si poteva desiderare altro dalle cose del mondo.
Ma non era solo questo il motivo di tanta cuntintizza pecchè anche gli sposini i loro i primi anni li avevano campati felici nel miele e tra li carizzi. Ma tutti lo sanno che unnicè il grano cè anche la gramigna e che linvidia come la fame è facile a spuntari.
Il fatto grave fu il tempo che passava.
I figghi non arrivavano e la gente cominciava a parrari e diceva che era lui che non era buono pecchè lei era ancora giovane e china. Forse per questo a quelluomo cera pigghiata la fantasia del fottere in zi chitanza o forse anche pecchè sua moglie con il tempo la sera faceva sempre di più la santuzza devota e senza vogghia. Comunque sia a picca a picca tutti accuminciarono a sapere delle sue uscite fatte con la iaggia aperta e le femmine della città pigghiarono a spiarlo ammucciuni quando lo vedevano passare tutto elegante in mezzo alla strada che un poco facevano loneste e un poco lo sticchio ciavvampava. Quando la sposa morì con la spagnola a Don Iano per quacche tempo ci passano i spittizzi che anche per lui letà cera e oramai quasi solo con i soldi sastutava la cannila.
Larrivo di quella palummedda però ci diede di nuovo fuoco.
Tutto ci passi come una vota. Fresco e pulito. Macari quella figghia attruvata che allinizio mezzo arrirennu e mezzo serio faceva vedere a tutti. "Minnii a fare un giro in campagna e mi tunnau la simenza" diceva. Macari quella fimmina che nellamore non ciaveva più niente da imparare ma che ci stava accanto fedele e che senza lamintarisi in tutti i modi lo faceva contento.
Fu però in questa sua ultima impresa che perse petto e baddi. Forse pecchè a scoprirsi vecchio rimase muto e sincattiviu. Oppure fu solo il troppo sburrari che cullanni ci salì alla testa. Fatto sta che sempre più spesso infatti capitò che stava giornate intere davanti allo specchio della camera da letto tutto a nura. E si taliava. E sa minava se ci riusciva. E bestemmiava. Fu così che si fece pigghiari dalla morti. Cazzu rittu e mano a pugno per questultima novità che laspettava.
Ma questo successe dopo e ancora non ci siamo arrivati a questo punto della storia. Per ora ci interessa sapere che Ninuzza grazie a quel matrimonio di sua madre non ciaveva avuto tanti problemi di soddi pecchè anche se non era Biancaneve da mangiare cera e ciabbastava e cresceva e accuminciava a darici cauci al patrigno e risposte a sua madre e vedeva come si cucinava e sentiva come si futteva e imparava a capiri comè nasciri fimmina e bastarda.

23/09/07

Aci (a G.L.)



Terra,
pi cummigghiari u focu,
e acqua,
parrusbigghiari i sensi.
Aria, poi,
comu stu ventu ca porta ciauru di meli,
di tia,
di sta notti lucenti,
di sta luna sbirra
ca spogghia, gilusa,
ti talia.

10 Aprile 2001

22/09/07

21/09/07

Tapallara - 1 -

La salma era sopra il letto.
Allicchittiata come a quando era festa Ninuzza guardava il tetto con locchi sirrati. Un crocifisso sopra il petto. Due cannili. Quaccosa però cera che stonava. Cominciai a ridere ammucciuni che non sta bene farlo davanti ai parenti quando ci visti le braccia che erano messe con le mani dietro la testa. Come quando uno si riposa in campagna sotto a un albero che ancora arutta la sasizza e il vino della festa del primo di Maggio. In pace. Beato.
Per un momento pinsai anche di avvicinarmi e di diriccillu di susirisi e di finirla di fare questi scherzi. Per fortuna mi fermai in tempo prima di farla questa minchiata.

E' così che mi ricordo la scena del cunsolo.
"Di chi?" quaccuno si sta spiannu. Lo so! Lo so che accuminciata in questo modo la storia che vi voglio contare non ciavrebbe senso pecchè questa in verità era lultima cosa che vi dovevo dire e ognuno di voi invece giustamente saspettava che fosse questo linizio.
A pensarci bene poi ho anche dimenticato a presentarmi. Ma questo è semplice di riparare. Totò. Come a quello dei filmi.
Bene. Ora che sapete con chi ve la dovete pigghiare se per caso queste vicende non vi parunu raccontate bene possiano continuare. O megghiu. accuminciamo dalla testa che la coda labbiamo vista.

Le campagne di Pedara acchianano sopra u monti. Nel niuro della terra. Lì dove i pampini fanno festa al cielo. Certo ora cenè molta di gente che ci abita in quei posti pecchè Catania è a due passi e laria è ancora pulita ma a quei tempi era un paisittu niconico come a tanti. Una chiesa e qualche casa attorno a farci compagnia.
In questi posti nasciu la morta: Antonia Alimanni. Alimanni sì. Che questo era il cognome di sua madre. E il suo.

Ancora si stava cugghienno la racina e il tempo era bello anche se qualche nuvola ciaveva messo paura al massaro. La nicuzza era stata sfornata sotto a un peri di fico vicino al pagghiaro con laiuto di due coperte e della ZaRosa che ciaveva fatto da levatrici alla madre.

"U sentu! U sentu! Sta arrivannu!"
"Macchiddici Mena! Ancora è prestu. E poi tu rissi ca è fimmina. No viri chi panza tunna cacciai?"
"Aiutatimi! Aiutatimi. Vi prego"
"Aspetta. Assettiti cà ca pigghiu quacche cosa"
"Non mi lassati! Non mi lassati!"
"Eh... santa figghia! Ecchissarammai un furettu sta criatura? Aspetta! Non ti preoccupari!"

Ma forse solo la picciridda non sera preoccupata veramente di nasciri in quel posto. Idda pensava solo a respirare e a chianciri. Sembrava una sampugna. Che se ci levavano la minna di sua madre era capace di farsi sentire nel paese vicino. Niente ci poteva. Né lacrime e né vasuni. Nè preghiere e nè canzuni.

San Filippo d'Argirò
a nica dormi e iu no.
Idda dormi e vui vigghiati
tutti i diavuli ci cacciati

Santu Paulu de li serpenti,
mazzu d'addauru,
spina pungenti,
non muzzicari alla me figghia
caccia li diavuli dalla famigghia

Sant'Aituzza, viniti, viniti,
ca de me minni ciavi siti.
Do me latti è divutedda
sta creatura. Sta figghia bedda.

Quando quella picuredda diventò una signora muntuata quasi nessuno però seppe che era nata paesana pecchè Filumena se la portò subito a Catania per farsela registrare cittadina.
Era stato anche merito del massaro questa cosa. Lei ciaveva bisogno di travagghiare e lui laveva raccomandata ancora incinta frisca al figghio di un suo compaesano che ora viveva nella città in una via vicino a dove cè il liafante.
"Questa è una cortesia che mi dovete fare" ciaveva detto il massaro a quello.
Senza però spiegarici chiossai che tra uomini ci si capisce.

Il nuovo padrone si chiamava Don Iano. Era vedovo da tempo. E senza figghi. Però tutti lo sapevano che sfrazziava con le femmine e i soddi per questo a picca a picca ci stavano finendo. Che ci poteva fare? Ciattisava sempre mischino e non ciaveva pace senza abbagnari.
Prima di pigghiare quella picciotta aveva voluto vederla. Si fidava solo dei suoi occhi e anche quando non era necessario a tutti ci ripeteva che la carne doveva essere frisca per metterla sopra al fuoco e mangiarisilla con gusto. La visità funzionò bene e accussì un paio di giorni dopo il parto decise di chiamare la mammina per cominciare a farci fare le pulizie del palazzo e ci resi
una stanza anche. Vicino al portone grande. Per dommiri e badare alla figghia.
Mena travagghiava lesta e precisa e a Don Iano ci piaceva quella gioventù che furiava casacasa. Quelle minne pesanti e quasi a nura cabballariavano mentre lei puliziava gli specchi. Quei cianchi di iumenta. Fu accussì che una sera ci venne la pensata di provare a farla mettere a picurina. Per vedere se era brava anche a lucidare a caldo il vecchio battagghio.
In verità doveva essere solo il divertimento di una vota ma da quella notte ci tornò così viva la vogghia di sperimentare altri lavori di precisione e fu accussì contento dei risultati che otteneva che decise di portarsela davanti al prete a quella donna.

19/09/07

Giuseppe Allinzi


Gli Allinzi ora sono tanti. Prima della guerra cera solo il vecchio. Vendeva chiova vicino alla putia di Zio Nicola. Poi spittennu sera fatto i soddi cullamericani e con le costruzioni.
Ci vireva bonu u vecchiu. Lui ci dava solo la merce per costruire allimprese. Nenti politica. Nenti appalti o cammurrie varie. Lui vinneva e basta. E dove finiva quello che vendeva non erano fatti sò. Però in questo modo con il tempo sera messo sotto controllo mezza città che allaltra mezza non ci si puteva e doveva arrivari. Amuta amuta che la pubblicità fa danno.
Una decina di anni fa mossi con sua moglie e l'autista. Tutti chiancevano ma finalmente i suoi figghi poterono iniziare a mangiari in santa pace.
Cera chi giocava dazzardo e partiva ogni fine settimana. Chi assicutava fimmini e ci regalava unautomobbile alla commessa bisognosa. Chi faceva finta di travagghiari e manco sapeva unnera.
Tutta sta storia melaveva cuntata Graziella Alfonso. Quella dellottavo piano.
Lei ci stava vendendo la casa a uno dei suoi nipoti. Ma non era solo sta cristiana che vendeva. Pecchè da quando uno si poteva riscattare la casa dallistituto tanta gente ciaveva messo i suoi risparmi per avere la proprietà e a qualcuno celaveva imprestati quello. Giuseppe Allinzi.
E non è che uno sempre ci arrivava a pagare tutte cose. In questo modo u niputeddu già sera fatto padrone di quattro case in quel palazzo.
Non ce nenti chiffari il sangue è sangue.

Fonte immagine: http://www.photomichaelwolf.com

18/09/07

Morte e blog di Maestro Alberto

Leggendo questo post in un blog spagnolo, sebbene datato, sono rimasto molto colpito.Perdonatemi dunque se per una volta non parlerò di web 2.0 o dell’ultima diavoleria della rete.
E’ un po’ di tempo infatti che mi viene da pensare, alla notizia di un decesso, a che cosa può accadere ad un blog nel momento in cui il suo autore, per cause drammatiche, non può più continuare a redigerlo. Esso inevitabilmente cadrebbe in mano altrui.Vi racconto brevemente la storia di Simon, un blogger americano assassinato nel maggio del 2005.
La polizia ha potuto arrestare l’assassino perché prima di morire lo sventurato ragazzo diciannovenne nomina il suo boia nell’ultimo post: “Il ragazzo di mia sorella è qui, sta fumando e girellando dappertutto, spero che se ne vada al più presto”.Questo è stato il suo testamento: soltanto il tempo di cliccare il bottone per pubblicare l’articolo prima di essere ucciso.
L’assassino ammazzò anche la sorella e se ne andò tranquillo a vedere la semifinale dell’NBA. Pensava di non aver lasciato tracce del suo crimine efferato, ignaro che Simon lo aveva menzionato nel suo blog alle 5.05 del pomeriggio, mentre si era impossessato di casa sua fumando, mezzora prima di eliminarlo. Quel post è stato la vendetta postuma al suo crimine.
Simon era un ragazzo come tanti, appassionato d’informatica, che scriveva regolarmente. Il suo penultimo post aveva avuto 10 commenti. L’ultimo, nel momento in cui scrivo, 4261…I commenti post-mortem lo hanno reso in qualche modo famoso.
Una brutta storia di cronaca, come tante altre purtroppo, che m’induce a una effimera riflessione.Quando muore un blogger muore anche la possibilità di modificare il suo blog, esso cessa di appartenere ad una persona viva cominciando a diventare patrimonio di un fantasma e di quanti continuano a redigerlo attraverso i commenti.
Mi viene da pensare che, col tempo, la rete sarà piena di blog privi di un padrone che non potrà più aggiornarli. Blog alla deriva, pieni di post sbiaditi e inconcludenti e di parole ormai prive di contenuto.
Forse i lettori non sapranno mai se il blogger è morto, penseranno che si è stancato o che non vuol più scrivere. Molte storie quotidiane rimarranno congelate, la morte si aggirerà in silenzio, osservando lo spider di Google aggirarsi nel codice.
Il tema, sebbene macabro, mi pare di straordinaria attualità. Un giorno il blog di nostro figlio avrà un link al nostro che non potremo più editare: è la maledetta realtà, non ci possiamo fare proprio nulla…
Cito tra tanti Matt Mullenvweg (creatore di WordPress, la piattaforma con cui edito queste pagine) che in un certo senso, soltanto pochi mesi fa, vagheggiava la tematica sostenendo (in modo molto più leggero del mio) che “entro venti anni ci sarà un presidente che oggi ha un blog e la gente tornerà a leggerlo per vedere ciò che aveva detto“.



Fonte testo: http://www.maestroalberto.it

17/09/07

16/09/07

I sogni di Totò


Sotto la mia casa ce il lotto.
Io ci vado ma solo il martedi a ora di pranzo pecché non ce nessuno e posso parrari con la signora Nunzia.
Mi piaci invintarimi i sogni che ci cuntu però non ce lo dico a lei pecché allora non me li smorfia più e io ci perdo il divertimento.
Nunzia mi ascolta tutta attenta e a volte prende quacche libro pecché lì cè scritto il significato. Quando è così mi fa ripetere pianopiano tutto quello che ci ho detto per capire meglio. Sempre però alla fine lei mi da i numeri e per non farmeli scordare me li scrive in quacche bolletta vecchia.
Ogni tanto capita anche che mi talia e dice:
"Totò mi raccomando giocateli che lattra votta pigghiasti un ambo e ciappizzasti a vincita."
Io calo la testa e ci dico di sì.
Poi la saluto. Infilo la carta nella sacchetta e nesciu per tornare a casa a dormire.

14/09/07

assenze


Su mille riflessi di vetro
si frange il tuo corpo
a sfumare,
come ricordo cumano,
come enigma d'estate.

"Sarà questo tempo" ripeti.

Lo stesso che spinge a cercare
quel nulla che l'onda riporta alla riva.

"Ho freddo" ti dico
"è ora d'andare"

17 Agosto 2001


Fonte immagine: http://www.kullaway.com

13/09/07

12/09/07

La signora Anastasi


Angela Anastasi è una buttana.
Io celavevo detto a Antonio che lavevo vista dalla finestra dellascensore che si faceva pesare le minne dal marocchino dellottavo piano ma lui se le maritata lo stesso e anzi mi disse che orbo come sono mi conveniva starimi muto.
Comunque quaccuno cominciò a scrivere questa cosa in tutti i piani del palazzo e lui continuava a passarici la tempera e mi taliava storto pecchè pensava che ero io che scrivevo.
Oggi venne da me e mi disse se poteva dormire a casa mia.
Lo buttato fuori.
Ce lavevo detto io.
Poi però pensai che non lo potevo lasciare fuori tutta la notte. Insomma mi fece pena e maffacciai nella finestra per chiamarlo. Era ancora sotto che taliava la sua casa e Angela e u niuro che ci buttavano le robbe addosso. Ormai non cera niente che fare. Il danno era fatto. Così fici finta di niente e puliziai le piante di basilico. Poi tirai la tenda e marritirai.


Fonte immagine: http://lubna.altervista.org

11/09/07

11 settembre


Antonio Ammogliato era un carusiddu a posto poi però era successo che in quellundici settembre mentre guardava i cartoni alla televisione qualcuno bontà sua aveva deciso di farici viriri i palazzi che scoppiavano e questo secondo mia ci deve avere la sua importanza perchè da quel giorno a me non mi è sembrato più lo stesso.
Metti laltro giorno per esempio che la notte precisa cera il capodanno e le scuole erano chiuse. Lui era sceso con una busta china di pane duro e subito aveva iniziato a sbriciolarlo nel mezzo della piazza.
Era preciso nelle sue cose. Come uno che se lè studiate assai nelle testa prima di farle.
Insomma lui sbriciola questo pane e poi appena si avvicinano le palumme ne pigghia una e si allontana. Io avevo proprio curiosità di sapere che voleva fare ma dovetti aspettare un bel po' pecchè lui fece cinque o sei volte la stessa cosa prima di cangiare strategia. Poi però iniziò la festa.
Dalla busta del pane pigghiau na para di briosce che stavano o funnu e fici una specie di cerchio in terra con le molliche. Quando tutte le palumme si ittarunu su quel ben di dio lui sparì un attimo tunnannu poi con una cosa caura e viva nelle mani.
Quel povero animale appena si visti nuovamente libero scappau sopra a un muretto poi però non ce la fici proprio a resistere alla grazia del signore.
Avvulau leggero fino al centro del cerchio come una piuma per esplodere proprio nel momento in cui toccava lasfalto.
Antonio guardava soddisfatto e rireva.
Cera ancora tempo prima di menzannotti.

10/09/07

09/09/07

Il signor Aiello


Non ci aveva molti anni il signor Aiello.
Io me lo ricordo bene che portava la vespa di suo fratello più grande e sbatteva muramura con la sua zita che poi era la figghia della signora americana quella che tutti noi volevamo inficcarcela pecchè celaveva raccontato anche Vincenzo che si poteva fare facilefacile come stirarici il collo a una gallina.
Aiello ora aveva fatto i soldi e mi salutava ancora quando usciva dal portone e mi diceva: "Totò si na facci i minchia!" e lui scherzava con me solo che stamattina quando lò visto fuori che era come un amburga aperto gli ho sputato addosso e sono ritornato a dormire prima che gli sbirri venivano a chiedermi quaccosa.


08/09/07

07/09/07

Ciardi


La luce inizia ad incunearsi nella stanza.
Un lampo illumina l'opacità ludica di una birra vuota abbandonata sul pavimento. Raccolgo pigramente le mie cose.
"Quando parti?"
La tua voce si raccoglie a gocce, dentro la mia testa, e si consuma.
" Tra due ore arriverà Fabio per accompagnarmi alla stazione."

PER TUTTO IL MESE DI SETTEMBRE
IL GRANDE SQUALO BIANCO
FRA REALTA' E LEGGENDA

Proseguite il viaggio che vi ha appassionato leggendo l'articolo sulla rivista,
arriverete fin dentro le fauci del più affascinante predatore degli abissi!

Un lungo sterrato conduce al casale. Pago il tassista e scendo.
"Buongiorno dottor Ciardi. La signora non è ancora arrivata. Vuole che le prepari qualcosa?".
Rispondo di sì prima di dirigermi verso lo studio.
Ciardi, Bianco, uomo zigzagante (Catania 1962).
Allievo di D. Dasada si è occupato soprattutto di se stesso e del proprio vivere.
Attento alle discussioni degli altri (è autore di numerosi scritti in cui tenta di rivisitarne il senso), ha accolto anche suggestioni provenienti dalle sue disordinate letture, sviluppando una personale distinzione tra apatia creativa (tendenzialmente rinnovatrice) ed apatia apatica (modernamente omologante).
La sua opera principale è in perenne fase di scrittura. Nel 1999 è divenuto oggetto di un asfissiante e commovente assalto da parte di tal Anselma Saitta, coniugata Saladino.
Da quell'anno, e fino ad oggi, ha concentrato ogni sforzo fisico e mentale nel mettersi in guardia verso il pericolo proveniente dal progetto egemonico della summenzionata donna, pur essendone, in qualche modo, innamorato.

"Sei arrivata finalmente! E' più di un'ora che t'aspetto. "
"Ho un regalo per te."
Guardo le chiavi e sorrido. Poi allungo la mano.
Fra i vari tipi di magli quelli a vapore sono i più potenti. I magli a vapore possono essere a semplice o a doppio effetto. Nei magli a semplice effetto il vapore provoca solamente il sollevamento della mazza, che ricade poi per gravità. Invece nei magli a doppio effetto il vapore, dopo aver sollevato la mazza, agisce anche durante la caduta, esaltando l'efficacia del colpo. La dinamica del maglio a doppio effetto deve dunque tener conto anche del gioco del vapore.

Solo una nuvola a coprire la vetta. Densa.
Il benzinaio dà un'occhiata distratta ai clienti. Si divertiva, un tempo, a dare un proprietario ad
ogni automobile di passaggio nell'area di servizio. Ora non ha più voglia. Troppo facile quel gioco, troppo grande il cielo, troppo vivo. Aldilà della tettoia. Aldilà dell'autostrada. Aldilà del suo sguardo.

"Il pieno, per favore."
"Bella macchina dotto'. E' in rodaggio?"
Fingo di non sentire.


Fonte immagine: http://lattedrinker.blogspot.com/

06/09/07

Pioggia


Potrei a lungo parlarti di questo male
senza trovare parole
senza cercare
nascondendo tra le cose accadute
qualcosa
che ti faccia appassionare
non so
un pasto mancato
un incontro
il latte andato a male.

Potrei dirti
tranquillo
che vado ad uccidere
un amico
qualcuno
oppure di nascosto uscire
ad accompagnare il cane
vorrei però
prima
svelarti un patto
quello tra te e me
segreto
quello che ci impone di restare.

"Sì amore, fuori piove.
E' solo un altro temporale"

25 Novembre 2002

Fonte immagine: http://www.lensculture.com

05/09/07

L'innominabile

Che Craxi sia uomo di grandi capacità e ambizioni, lo si sapeva. Che sia anche uomo di grande coraggio, lo si è visto ieri, quando pronunciava alla Camera il suo discorso di replica. Per due volte si è interrotto alla ricerca di un bicchier d'acqua. Per due volte Andreotti glielo ha riempito o porto. E per due volte lui lo ha bevuto.
(Indro Montanelli da "Controcorrente", ne Il Giornale del 13 agosto 1983)

Arcidiacono macari che io non lo calcolo si fida di me e se cià qualche cosa che vuole dire me la dice senza starisi tanto a preoccupare che lui lo sa che pimmia è lo stesso.
Laltro giorno per esempio sinni nisciu con questa storia che Quello è il diavolo.
Me lo diceva tutto contento come se era una scoperta nuova anche per lui e così mentre parrava si vedeva che era soddisfatto di questa cosa tanto che ci nisciu macari qualche battuta bestia delle sue.
"Totò chiddu è u diavulu. Come te lo spieghi che uno che cianno detto tutte quelle infamie e che anche nelle sentenze lo hanno accusato come te lo spieghi che questo invece di ammucciarisi pigghia e parte in prima e ci fa dare bastonate a tutti quelli che lo accusano che anche quelli volenti o violanti si devono giustificare e non sanno chiù che cosa dire?
Quello è il diavolo Totò e anche Tommasino lo sapeva e per questo non lo voleva nominare che solo guai gli potevano venire. E quando allo Zio lavevano punciutu cè stato chi mi ha detto che non cè nè uscito sangue come se fosse un fantasma ma a questo io non ci credo"
"Cavaleri ma ormai Lui non conta chiù nenti Non cè più alla televisioni" ci dissi fermandolo.
Arcidiacono si riprese come da una futtuta. Si accorse che ero io che avevo parlato e sorrise.
"Totò, tu non ciarriverai mai a capirlo. Prova a taliari una cannila. Chivviri?"
"La luce no?"
"E poi?"
"A cira cavaleri"
"E poi?"
"Lo stoppino"
"E poi?"
"Minchia Cavaleri! Chivvoli ca viru? Chiù nenti cè!"
"Infatti! "
"Cioè? Chivulissiriri? "
"Nenti Totò. Nenti. Sulu che quaccosa cè. Cu a fici!"

04/09/07

Ferragosto


Ha dodici anni Giuseppe e una vespa russa ca ci lassau suo nonno che quando accellera che simpenna pari cavvola.
Quando è arrivato sutta al palazzo suo padre ha spostato il cassonetto della munizza che cè vicino alla fontana per posteggiare più comodo. La messo di lato che tanto oggi non serviva a nessuno e portava solo impaccio. Poi se nè andato.
Assittato supra alla sua lapa ora Giuseppe controlla le marunnuzze i padri pio e le fimmine che quello cià dato da vendere. Cento pezzi di tutte le misure. Acculurati. Bianchi. Con le lampadine.
Me limmagino che gli avrà detto che è giornata buona. Di quelle che ti fai una misata. E in effetti passa un sacco di genti con la machina per andare a buddarisi nellacqua caura della plaia e qualcuno si ferma e Giuseppe guarda e controlla e ci dice i prezzi e non ci leva mancu una lira pecchè allora non ce guadagno e la merce ancora si deve pagare.
Accussì lo vedo per tutta la giornata ogni volta che maffaccio che Giuseppe mancu per mangiare si è spostato che non si può con tutti quei barattelli.
Passa il tempo e si fa scuru. E quasi ora di cena dentro a sti palazzi ca parunu abbandonati. Lui ancora aspetta per tornare a casa.
Non cinnavi prescia che tanto stasira i videogiochi sono chiusi.

03/09/07

ciuàua


Diavolo o draghetto sulla spalla
già scura
sulla puntura
 dell'insetto che reclama
la sua dose quotidiana d'underground televisivo
dal vivo
come i balli accatastati sulla riva
come la pira
di ogni sentimento
che il sesso
lo si legge sul giornale e quel maiale
forse è solo disinformato
un burino insomma
affaticato
 dal sole
dal tormento del suo cazzo nel costume di gran marca ma
è già sera e il falò sulla sabbia
certo dispera
d'ogni incontro che non sia
miraggio o telenovela
 comandata
tristissima scopata

29 Giugno 2003

02/09/07

[ Pubblico e Privato ] Teresa Ricciardi


9 Aprile 1969

Io giocavo con il pallone. Cerano Lucio, Nello, Paolo e Gianni e cera il supertell appena scoppiato. Non lo sapevo per davvero cosa significava morire.

Lucio era quello più magro, però lui mangiava come agli altri e quando passava la lapa con la frutta riusciva sempre a pigghiare qualche cosa per noi senza farsi vedere. Nello invece ciaveva già sette anni. Faceva le scuole e era il doppio di noi, anche se poi quando ci facevamo gli sghezzi di paura attaccava a chianciri come a una fimminedda. Gianni era ponchio come a mia, quasi insomma, un pò di meno pecchè quella mia il dottore aveva detto che era leredità di famigghia. Paolo non parrava. Ci taliava sempre muto e anche se ci facevi lo sgambetto nella partita lui non si lamentava, si vutava e ti dava tanti pugna che tu ti levavi il vizio. Anche quelli grandi lo lasciavano in pace che non ne volevano guai.

Alla radio avevano detto di questa morta e a noi non ce ne fotteva assai solo che lei si chiamava come la madre di Gianni e per questo cera stata tannicchia di discussione

"Pensa se era to o mà"
"No. Non può essiri. Idda non saffaccia mai picchì annunca mio padre ci rumpi lossa"
"E picchì?"
"Dice che ci taliano le cosce"
"Ma cui?"
"Ecchinnisacciu iu?"
"Però che cè di mali?"
"Bho! Iu a viru sempri nura"
"Però è tua madre"
"Certo"
"Perciò non vale"
"E picchì?"
"Bho! Iucamu va"
"Sì. Sì. Acchiappa acchiappa"
"No. A nascondino"
"Va bene. Però iu non mi mettu sutta"
"Nello cunta tu"
"Ma pecchè sempre io?"
"Picchì tu sai i numera"
"Non è giusto però"
"Forza. Però nammucciamu fino al palo che dopo non vale"
"1, 2, 3..."


Fonte immagine: http://www.lestintorecheamleto.net/ricciardi.htm

01/09/07

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