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23/10/07

"Io c'ero" di Anais

Sabato, 20 ottobre 2007, alla manifestazione organizzata da Rifondazione e dal Manifesto, Io c'ero.
Non ero in veste di manifestante, sono andata a fare foto, ma, riuscchiata da quel mare rosso, ho finito per ricordare ciò che avevo dimenticato..
L'emozione che ho provato ad esser lì è stata tanta, in primis era la mia prima esperienza in questa situazione come pseudoreporter. Sono andata sola, ci sono partita dall'Alessandrino perché volevo esserci. Fotografare questi eventi non è semplice, molte sono le foto facili e, come dire, dovute ma anche volute per le persone e i cordoni del corteo che ci tengono a far vedere la propria presenza, il proprio slogan, la proria sezione. Più difficile invece, in quel contesto vivo e frenetico, cogliere l'attimo, cogliere l'espressione vera, catturare l'idea che quel manifesto l'ha creato, il pensiero e il lavoro nascosti nel cuore di chi sui quegli striscioni non ci ha passato una notte o una settimana, ma ci ha combattuto una vita.
Ricreare l'impeto, fotografare l'ideologia, la voglia, l'incazzatura, la delusione, rincorrere la speranza e fissarla in un sorriso o in un vecchio e rugoso pugno alzato.
Impressionare la Politica, quello è stato difficile.
E perché, a stare lì, ero emozionata. Ero io.
Ho visto sui carri ballare e baciarsi giovani adolescenti, quelli delle occupazioni, delle versioni di latino e greco, delle magliette di Che Guevara e dei Nirvana e ho rivisto una vecchia me e li ho invidiati un pò, nella loro stravagnaza e inconsapevolezza di un futuro per cui combattono ma che, tutto sommato, è ancora lontano. Ho rivisto la mia adolescenza e ho rivisto da dove vengo e, soprattutto, come sono arrivata ad essere lì, con quello spirito.
Il mio approccio alla politica è arrivato a tempo debito, con l'iscrizione ad una scuola, pubblica, nettamente di sinistra. Prima dei 14 anni non sapevo nulla, ricordo ancora quando in prima media passeggiavo per lo struscio del Corso con una delle mie più care amiche e le chiesi: cosa vuol dire che sei di destra? E lei mi disse: che sono fascista ed io, chissà come mai, le risposi: ma che razza di bastarda!
Nei primi anni, se non vuoi esser troppo emarginata, diciamo che in certi giri ti ci trovi. Ma, nonostante sembrassi out se non portassi tuta adidas, felpa con cappuccio e koefia, mi son abituata presto a sentirmi di sinistra dentro, non fuori. A tuttoggi so che, il più delle volte, vengo scambiata per una ragazza di destra da chi ancora giudica l'essere politico sull'abbigliamento. Per intendersi avere un cappotto da 50 euro può sembrare di destra, averne uno vintage strappato da 180 fa molto sinistra.
Ho iniziato presto ad isolarmi da queste associazioni e tuttora continuo. Per combattere le accuse, ho iniziato a studiare. Ho iniziato a sentirmi viva grazie ad una professoressa che mi ha fatto conoscere Marx e scordare Dio. Ho accettato le conseguenze intime di una catechesi inculcata ma mai digerita. Ho eliminato il peso del Paradiso che mai potrei conquistare abbracciando la certezza del limite della materia e del mio corpo. Ho pianto la mia disperazione senza sapere a chi appellarmi, senza drograrmi di un oppio più dolce, ma tirandomi sempre su le mie maniche. Ho frequentato i collettivi marxisti-leninsti. Ho scelto sociologia e ho continuato a studiare Marx e sulle teorie dello strutturalismo sociale mi sono quasi commossa. Ho fatto le mie occupazioni prendendomi la responsabilità di studiare e fare i compiti al mio rientro a casa. Non ho mai fatto sciopero anzi, ricordo un'interrogazione di greco proprio per esser entrata. Son passata da Krumira solo perché, a 17 anni, non mi sentivo in diritto di scioperare con i sindacati ed obbedivo a mio padre. Ho superato gli attacchi dei miei compagni di classe perché, alla famosa amica fascista figlia di un importante senatore continuavo a volere bene. Ho trovato i miei modi di essere di sinistra nel sacrificare il mio tempo per gli altri, e lo faccio da quasi 10 anni. Ho trovato il mio modo di essere di sinistra in una famiglia con una sorella che ha studiato e mi ha fatto leggere testi sacri, con un padre che fatica ad arrivare a fine mese ed è cresciuto orfano nella San Lorenzo più cattiva senza fare il 68 e che mi ha schiaffeggiato quando il padre della famosa fascista le impedì di venire con me a vedere Schindler's list. Ho imparato ad esserlo con una madre cristiana prima, democristiana poi, democratica adesso, sena mai permettermi di entrare nelle sue scelte. Ho imparato ad esserlo in mezzo a colleghi anziani, in mezzo agli anziani che andavo ad accudire e le manifestazioni vere le facevano con le spranghe perché morivano di fame.
Ho imparato ad essere di sinistra tra gli autonomi operari, a capire quello che c'era di giusto e quello di sbagliato tra le parole di mio fratello Giuliano e i suoi anni da Majana. Ho imparato a stare a Via dei Volsci, ma a stare al mio posto. Ho messo la mia sciarpa dello scudetto sulla tomba di Carlo Giuliani. Sono affascinata dalle brigate rosse e dal delirio che li ha mossi.
Ho imparato che non è una questione di politica, ma è una questione di vita, che spesso tocca lo stile, dalla scelta di un film a quella del matrimonio, ed è questo che non mi fa amare una persona di destra, non una tessera di partito. Eppure ieri ho avuto il coraggio di vedere l'ultimo di Loach con un ragazzo di destra, ci discuto,sempre, ci si scontra, su tutto ma è pur sempre una persona che, nelle nostre diversità, stimo. Ho imparato ada andare alle manifestazione da grande, quando sapevo per cosa si doveva urlare. Ho appesa la foto di Piazzale Loreto nel mio armadio e ho fatto volantinaggio sotto la pioggia, anche se ho una borsa firmata. Ho applicato la mia scala di grigi ad una politica rossa.
Non ho mai saltato un'elezione da quando posso votare e mai lo farò perché è nei miei diritti e doveri.
Mi sono commossa a vedere un anziano col pugno alzato da mezzora per farsi fotografare, ad 80 anni, ancora in marcia.
Continuo a rileggere il manifesto, continuo a sperare che il comunismo possa essere un modello e non una didattura. A Berlino mi sono commossa tra le strade di una città meravigliosa e ancora divisa in due nel modello di come un uomo possa deviare un'idea.
Ho saltato le votazioni del PD perché all'unità della sinistra non ci credo né voglio credere. Credo alle mie molteplici idee, al mio essere di sinistra e compagna, al mio essere uno nessuno e centomila e al rivendicare la valenza delle mille correnti che quel giorno erano lì.
Credo che chi nasce tondo non diverrà mai quadrato, che la varietà vada esaltata non compressa e se questo vuol dire stare nell'opposizione, far parte dei perdenti, lo rivendicherò per sempre. Credo di preferire la piazza alla poltrona perché finché ci sarà piazza arriverà, prima o poi, qualcuno che questa piazza la ascolerà e su quella poltrona saprà che deve fare. Io ci credo ancora. Ho sentito di preferire essere lì, vera, che essere a Montecitorio, finta e tradita.
Penso che persone come me non cambieranno mai le cose, ma confido che prima o poi qualcuno mi darà la voglia, ancora, di poterci provare.
Faccio parte di una piccola schiera di persone che, guardando Rocky, sotto sotto, sperava che fosse Ivan Drago a vincere quel combattimento.
E in questa minoranza io credo, e questa minoranza l'ho vista, sabato, in qualche sguardo, vero.
Perché è questa minoranza che, sabato, mi ha messo una bandiera al collo che avevo dismesso e, nonostante il freddo che faceva, ho iniziato a sudare.

Fonte testo: http://anaisanais.splinder.com/

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